La violenza di genere è un fenomeno sociale che si manifesta in molteplici forme, dalle ferite fisiche alle angherie psicologiche, parliamo di cicatrici indelebili, più o meno visibili a occhio nudo, ma i cui effetti possono ripercuotersi a livello genetico. Recenti studi hanno rivelato come le esperienze traumatiche possono lasciare una impronta biologica, modificando l’espressione del Dna umano.
Nel contesto del progetto Epigenetics for Women (Epi-We), realizzato dall’Istituto Superiore di Sanità ISS in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano e la Fondazione Cà Granda dell’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, è emerso che le vittime di violenza subiscono alterazioni molecolari che sono in grado di modificare l’espressione del DNA senza cambiare la sequenza genetica, definendo così un paradigma completamente nuovo nella comprensione degli effetti della violenza.
L’epigenetica studia come fattori ambientali e comportamentali possano modificare l’espressione dei geni. Le esperienze traumatiche, come la violenza, possono innescare meccanismi epigenetici che influenzano la salute fisica e mentale.
Lo studio Epi-We punta ad ampliare il numero di donne monitorate, seguendole per un periodo di 18 mesi. L’obiettivo di questo follow-up è duplice: da un lato, si desidera raccogliere dati precisi su come la violenza influisca sul genoma delle vittime, dall’altro, si intende sviluppare strategie di prevenzione personalizzata.
Se riusciamo a decifrare il codice molecolare della sofferenza causata dalla violenza, possiamo individuare trattamenti mirati che non solo affrontano le conseguenze immediate, ma anche le alterazioni biologiche di fondo.
Questa nuova frontiera della ricerca richiede la partecipazione attiva delle donne, affinché possano contribuire a una causa più grande: il miglioramento dell’assistenza sanitaria e delle politiche sociali destinate a chi ha subito violenza. L’invito rivolto alle vittime di unirsi a questo progetto è fondamentale per acquisire conoscenze che potrebbero trasformare il modo in cui comprendiamo e gestiamo le conseguenze della violenza di genere.
La violenza sulle donne non è solo un problema sociale; è anche una questione di salute pubblica. Le cicatrici invisibili lasciate da esperienze traumatiche potrebbero essere le chiavi per svelare una serie di problemi di salute che si manifestano anni dopo il trauma iniziale. È essenziale, quindi, che le società si attivino non solo per prevenire la violenza, ma anche per affrontare le sue conseguenze in modo competente e scientificamente informato.
La scienza sta aprendo nuove porte nella comprensione dei traumi vissuti dalle donne. È fondamentale che questa ricerca continui a guadagnare attenzione e sostegno, affinché i risultati possano un giorno tradursi in politiche e pratiche efficaci nel sostenere e proteggere le vittime di violenza. La speranza è che tali studi possano non solo trasformare la vita delle donne colpite, ma anche contribuire a una società inclusiva, più giusta e sana.
Gli studi coinvolgono cinque Regioni (Lazio, Lombardia, Campania, Puglia e Liguria). Negli ambulatori, nei presidi di pronto soccorso e nelle case antiviolenza le donne saranno informate sulla possibilità di donare un campione biologico e di tornare per valutare nel tempo gli eventuali mutamenti epigenomici. L’iniziativa che si sta sviluppando nelle cinque Regioni italiane rappresenta un passo significativo nella lotta contro la violenza di genere. Il progetto Epi-We, coordinato da Simona Gaudi, ricercatrice ISS, non solo offre un’opportunità di donazione di campioni biologici, ma cerca anche di tracciare un legame tra la violenza subita e le espressioni dei geni nel tempo. Questo approccio innovativo potrebbe fornire nuove informazioni sui meccanismi biologici che stanno alla base delle conseguenze della violenza, contribuendo così a migliorare le strategie di intervento e assistenza.
Le donne che hanno già aderito al progetto testimoniano la necessità di uno spazio sicuro in cui possa essere riconosciuto e compreso il loro vissuto. Le loro storie, raccolte nel corso del progetto, non solo arricchiscono l’esperienza dei ricercatori, ma sono anche fondamentali per sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo l’impatto duraturo della violenza. “Per noi, e per tutte le donne, è un grande risultato”, afferma Gaudi. Questo è un chiaro segno che, nonostante i traumi, c’è una volontà di partecipare attivamente a un processo che può portare a una maggiore consapevolezza e interventi mirati. Parallelamente, l’impatto della formazione degli operatori sanitari è cruciale. Con oltre 18 mila operatori formati, il progetto si è impegnato a garantire che all’interno dei pronto soccorsi ci siano professionisti capaci di riconoscere e rispondere efficacemente ai segnali di violenza. Anna Colucci, ricercatrice ISS, sottolinea che il riconoscimento della violenza è un compito molto impegnativo.
Il cambiamento culturale che si sta cercando di promuovere dunque richiede la formazione degli operatori e coinvolge l’intera società. In definitiva, il progetto Epi-We e il coinvolgimento dell’Istituto Superiore di Sanità nella formazione degli operatori sono iniziative fondamentali nel panorama della lotta alla violenza di genere. La strada è ancora lunga, ma i primi risultati promettono un futuro in cui ogni donna possa sentirsi supportata e compresa, libero di esprimere la propria storia e di intraprendere un percorso di guarigione. (a.m.)