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Dal Ceinge di Napoli nuova scoperta sull’atrofia muscolare spinale (SMA): alla base della malattia la neuroinfiammazione

Atrofia muscolare spinale: per la prima volta nella storia di questa malattia viene scoperta l’esistenza di una incisiva neuroinfiammazione resistente ai farmaci.

La scoperta è di alcuni ricercatori napoletani e potrebbe rivoluzionare la cura di questa grave malattia genetica. Ora ci saranno da fare trial clinici per dimostrare che gli antinfiammatori hanno un effetto migliorativo ancora non raggiungibili con il solo farmaco attualmente disponibile. Ci saranno da fare trial clinici nel dimostrare che il farmaco stesso più gli antinfiammatori hanno un effetto mitigante sulle anomalie genetiche che sono alla base della distruzione dei motoneuroni e ancora non raggiungibile con il solo farmaco attualmente in uso.

Atrofia muscolare spinale, in acronimo SMA; al solo pronunciarla tremano vene e polsi. Parliamo di una malattia neurodegenerativa, genetica, ereditaria, autosomica recessiva che si presenta alla nascita con varie forme di gravità. Tutte determinano gravi conseguenze per i bambini che hanno nella migliore delle ipotesi una vita costellata di disabilità. Esistono cinque differenti forme di Sma: il tipo 0, il tipo 1, il tipo 2, il tipo 3 e il tipo 4. Le prime tre tipologie sono molto gravi e causano la morte prematura del paziente; il tipo 3 e il tipo 4 sono varianti più lievi, che pregiudicano il tenore di vita del malato, senza però provocarne il decesso anticipato.
Per la diagnosi di Sma serve un test genetico su un campione di sangue.
Le cure? Basate su poche opzioni: la Sma è causata a mutazioni a carico del gene Smn1 o del gene Smn2, il cui scopo è produrre una proteina che serve a garantire la sopravvivenza dei motoneuroni. Attualmente, la terapia si basa principalmente su trattamenti sintomatici, mirati ad alleviare i disturbi e a controllare le complicanze. È disponibile una cura, fondata sui principi della terapia genica, ma si tratta di una soluzione molto costosa e applicabile solo a determinati pazienti.

LA NOVITÀ

Arrivano dalla ricerca tuttavia nuove speranze di cura. Fari puntati in particolare sula neuroinfiammazione che sottenderebbe tutte le altre espressioni della patologia ma finora poco considerata. 

Esiste infatti una correlazione tra i livelli di neuroinfiammazione e severità dell’Atrofia Muscolare Spinale: a scoprirlo un gruppo di ricercatori napoletani che studiando il liquido cerebrospinale dei bambini affetti dalla forma più grave della SMA hanno compreso che vi sono aspetti della malattia legati appunto alla deplezione di interleuchina 2 e disordini relativi alle altre citochine che governo il processo infiammatorio cronico che sembra essere l’aspetto determinante per l’espressione della conseguenze della patologia. 

Lo studio è stato pubblicato su Communications Medicine del gruppo Nature “Nusinersen mitigates neuroinflammation in severe spinal muscular atrophy patients” il titolo della pubblicazione fermata da Tommaso Nuzzo, Rosita Russo, Francesco Errico, Adele D’Amico, Awet G. Tewelde, Mariangela Valletta, Amber Hassan, Michele Tosi, Chiara Panicucci, Claudio Bruno, Enrico Bertini, Angela Chambery, Livio Pellizzoni & Alessandro Usiello. 

Sono stati presi in considerazione 49 pazienti Sma degli Ospedali Bambino Gesù di Roma e Giannina Gaslini di Genova. L’Editor in Chief di Nature Reviews Neurology ha chiesto di fare il News and Views della scoperta. Una cosa più unica che rara essere contattati dal Chief Editor di Nature Reviews…con un Impact Factor di 43. 

L’INFIAMMAZIONE

Associare l’utilizzo di agenti antinfiammatori mirati alla terapia farmacologica con Nusinersen, potrebbe migliorare i benefici clinici del trattamento. 

Si tratta dei risultati ottenuti nel laboratorio di Neuroscienze traslazionali del CEINGE-Biotecnologie avanzate Franco Salvatore, in collaborazione con la Columbia University di New York e le Università campane Luigi Vanvitelli e Federico II, insieme agli Ospedali pediatrici Bambino Gesù di Roma e Giannina Gaslini di Genova.

La SMA è una patologia neuromuscolare rara contraddistinta dalla precoce morte dei motoneuroni, ovvero le cellule nervose che trasportano i segnali dal sistema nervoso centrale ai muscoli, controllandone la struttura, la forza e il movimento. Per questo motivo, la malattia determina atrofia muscolare progressiva e debolezza, che colpisce, in modo preponderante, gli arti inferiori e i muscoli respiratori. È noto, inoltre, che nel 95% dei casi, la patologia è causata da specifiche mutazioni nel gene SMN1, che codifica per la proteina SMN (Survival Motor Neuron), essenziale per la sopravvivenza e il normale funzionamento dei motoneuroni. 

«Nonostante gli straordinari progressi della medicina e miglioramenti clinici ottenuti nei pazienti grazie alle nuove terapie, è ormai ampiamente accettato che non esiste ancora una vera e propria cura per la malattia – chiarisce Alessandro Usiello, professore di Biochimica Clinica e Biologia Molecolare Clinica dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, direttore del Laboratorio di Neuroscienze Traslazionali del CEINGE e ideatore della ricerca –. Per questa ragione, l’identificazione di specifiche alterazioni biochimiche e molecolari che correlino con la gravità della malattia nei bambini malati di SMA e riflettano accuratamente il miglioramento clinico o l’assenza di miglioramento da parte delle terapie attuali è fondamentale, non solo per spiegare le differenze nella risposta clinica, ma anche per guidare lo sviluppo futuro di nuovi farmaci. Mentre è oggi dimostrato in modo inequivocabile che la neuro-infiammazione gioca un ruolo determinante per la progressione delle malattie neurodegenerative della terza età come il Parkinson e l’Alzheimer, fino ad oggi nella SMA non vi erano evidenze sperimentali che indicassero se la degenerazione precoce dei motoneuroni determinasse o si accompagnasse ad uno stato neuroinfiammatorio». 

«Sebbene altre ricerche cliniche di questo tipo sono assolutamente necessarie –, continua il professor Usiello – i nostri risultati rivelano per la prima volta l’esistenza di una condizione di neuroinfiammazione specificamente presente nel liquido cerebrospinale dei bambini affetti dalla forma più grave della malattia (SMA1) ma non nelle forme meno gravi (SMA2 e SMA3) e che veniva solo parzialmente attenuata dalla terapia con Nusinersen».

«In particolare, abbiamo riscontrato un aumento significativo dei livelli di diverse citochine pro-infiammatorie (IL-6, IFN-γ, TNF-α, IL-2, IL-17) e di fattori neurotrofici (PDGF-BB e VEGF) nel liquor dei pazienti SMA1, quando comparato a quello dei pazienti SMA2 e SMA3, che presentano livelli di queste molecole comparabili a bambini sani», specifica Francesco Errico, associato di Biochimica dell’Università Federico II-Dipartimento di Agraria e Co-Direttore del Lab di Neuroscienze Traslazionali CEINGE.

«Abbiamo scoperto che il trattamento con Nusinersen riduce significativamente i livelli liquorali solo di alcune citochine pro-infiammatorie nei pazienti SMA1 – spiega Tommaso Nuzzo, primo autore del lavoro, ricercatore di biochimica clinica dell’Università Vanvitelli, post doc presso il lab di Neuroscienze del CEINGE – ciò ci suggerisce che l’utilizzo di agenti antinfiammatori mirati potrebbe contribuire a migliorare i benefici clinici del farmaco stesso e, eventualmente, di altri trattamenti in grado di favorire l’aumento di SMN (Survival Motor Neuron)».

La ricerca, pubblicata su Communications Medicine (Nature Group)*, si è svolta in collaborazione con uno dei massimi esperti al mondo di SMA, Dr Livio Pellizzoni, Capo Laboratorio presso il Motoneuron Center della Columbia University (New York), Angela Chambery, professore ordinario di Biochimica Generale della Università Vanvitelli e i neurologi e pediatri Dr Enrico Bertini, Dottoressa Adele D’Amico e Dr Claudio Bruno, degli Ospedali Pediatrici Bambino Gesù di Roma e Giannina Gaslini di Genova, massimi esperti italiani di SMA.

L’INCIDENZA 

La SMA ha un’incidenza di circa 1 paziente su 11mila nati vivi. Nel 95% dei casi, la patologia è causata da specifiche mutazioni nel gene SMN1, che codifica per la proteina SMN (Survival Motor Neuron), essenziale per la sopravvivenza e il normale funzionamento dei motoneuroni.  I pazienti affetti da SMA hanno un numero variabile di copie di un secondo gene, SMN2, che codifica per una forma tronca della proteina SMN, caratterizzata da una funzionalità ridotta rispetto alla proteina SMN completa (quella codificata dal gene SMN1 sano). Il numero di copie del gene SMN2 ( variabile in ciascuno di noi) è quindi alla base della grande variabilità della patologia, con forme più o meno gravi e un ventaglio sintomatico molto ampio. 

LE VARIANTI
Sulla base dell’età d’esordio della malattia e della gravità dei sintomi, sono state distinte 5iverse varianti di atrofia muscolare spinale. I pazienti con SMA di tipo 0 e 1 (SMA0 e 1), le forme più grave di SMA, producono pochissima proteina SMN. In questo caso, la patologia esordisce prima dei 6 mesi d’età, compromette l’acquisizione delle capacità motorie, la respirazione e la deglutizione, e i bambini che ne sono affetti non sono in grado di vivere oltre i 2 anni senza supporto respiratorio. I pazienti con SMA di tipo 2 e di tipo 3 presentano, generalmente, un maggior numero di copie del gene SMN2, producono maggiori quantità di SMN e quindi presentano varianti meno severe della condizione. L’esordio della SMA2 avviene, indicativamente, tra i 6 e i 18 mesi di vita, mentre la SMA3 compare dopo i 12 mesi di vita (solitamente tra l’infanzia e l’adolescenza). La SMA di tipo 4 (SMA4), infine, esordisce in età adulta e rappresenta, in assoluto, la forma meno grave di atrofia muscolare spinale. 

LA DIAGNOSI

La diagnosi di SMA si basa sull’esame clinico dei pazienti, e può essere confermata da test genetici. La diagnosi prenatale può essere effettuata con l’analisi molecolare sugli amniociti o sui villi coriali. Fino al 2016-2017, il trattamento della SMA era esclusivamente sintomatico, basato su approcci multidisciplinari e finalizzato a migliorare la qualità di vita dei pazienti. Oggi, invece, sono state approvate tre terapie specifiche per questa malattia: l’oligonucleotide antisenso nusinersen e il farmaco orale risdiplam, progettati per agire sul gene SMN2 e permettere la produzione di una proteina SMN funzionale, e la terapia genica onasemnogene abeparvovec, concepita per fornire all’organismo una versione sana del gene SMN1.

LA CLINICA

Nonostante gli straordinari progressi della medicina e miglioramenti clinici ottenuti nei pazienti grazie alle nuove terapie, è ormai ampiamente accettato che né il nusinersen né altre terapie per la SMA rappresentano una cura per la malattia. Infatti, la correzione incompleta dei sintomi della malattia, unita alla variabilità della risposta clinica al trattamento, rappresentano ancora un limite invalicabile. Per questa ragione, l’identificazione di specifiche alterazioni biochimiche e molecolari che correlino con la gravità della malattia nei bambini malati di SMA e riflettano accuratamente il miglioramento clinico o l’assenza di miglioramento da parte delle terapie attuali è fondamentale, non solo per spiegare le differenze nella risposta clinica, ma anche per guidare lo sviluppo futuro di nuovi farmaci.  

La neurodegenerazioneMentre è oggi dimostrato in modo inequivocabile che la neuro-infiammazione gioca un ruolo determinante per la progressione delle malattie neurodegenerative della terza età come il Parkinson’s Disease e Alzheimer’s disease, fino ad oggi nella SMA non vi erano evidenze sperimentali che indicassero se la degenerazione precoce dei motoneuroni determinasse o si accompagnasse ad uno stato infiammatorio.

Per fare luce su questa importante questione clinica, commenta: “Alessandro Usiello, Direttore del Laboratorio di Neuroscienze Traslazionali al Ceinge Biotecnologie Avanzate Franco Salvatore, e ordinario di Biochimica Clinica dell’ Università Vanvitelli, ideatore della ricerca, abbiamo voluto investigare insieme al mio amico Livio Pellizzoni (Capo Laboratorio presso il Motoneuron Center, alla Columbia University New York) i livelli liquorali delle molecole direttamente implicate con la neuro-infiammazione nei bambini malati di SMA prima e dopo la terapia con nusinersen. Inoltre, aggiunge Alessandro Usiello, lo studio è stato possibile grazie alla straordinaria collaborazione con Angela Chambery Professore Ordinario di Biochimica della Università Vanvitelli e i Neurologi e Pediatri Enrico Bertini, Adele D’Amico e Claudio Bruno, degli Ospedali Pediatrici Bambino Gesù di Roma e Giannina Gaslini di Genova, massimi esperti italiani di SMA, che grazie a loro contributo abbiamo potuto analizzare quarantotto neonati e bambini di età compresa tra 1 e 15 anni con diagnosi di SMA1, SMA2 e SMA3.

Queste investigazioni di Biochimica Clinica sono state effettuate attraverso un’analisi quantitativa mirata per un’ampia gamma di citochine pro- e anti-infiammatorie (chemochine, interferoni, interleuchine, linfochine e fattori di necrosi tumorale) e di fattori neurotrofici nel liquido cerebrospinale della coorte dei bambini SMA in studio prima e dopo il trattamento con nusinersen. Sottolinea, Francesco Errico, Co-Direttore del Laboratorio di Neuroscienze Traslazionali al Ceinge e Professore Associato di Biochimica presso l’Università di Napoli Federico II, di Portici,” abbiamo riscontrato un aumento significativo dei livelli di diverse citochine pro-infiammatorie (IL-6, IFN-γ, TNF-α, IL-2, IL-17) e di fattori neurotrofici (PDGF-BB e VEGF) nel liquor dei pazienti SMA1 (forma più grave della malattia) quando comparato a quello dei pazienti SMA2 e SMA3, che presentano livelli di queste molecole comparabili a bambini sani. Inoltre, commenta Tommaso Nuzzo, ricercatore di Biochimica Clinica dell’ Università Vanvitelli e primo firmatario dello studio” la nostra ricerca ha svelato che il trattamento con nusinersen riduceva significativamente i livelli liquorali di alcune citochine pro-infiammatorie nei pazienti gravi SMA1”.

Conclude Alessandro  Usiello, sebbene altre ricerche cliniche di questo tipo sono assolutamente necessarie, i nostri risultati rivelando per la prima volta l’esistenza di una condizione di neuroinfiammazione specificamente presente nel liquido cerebrospinale dei bambini affetti dalla forma più grave della SMA solo parzialmente attenuata dalla terapia con nusinersen, suggeriscono l’utilizzo di agenti antinfiammatori mirati che potrebbe contribuire a migliorare i benefici clinici di nusinersen e, eventualmente, di altri trattamenti che favoriscono l’aumento di SMN nei pazienti SMA.

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