Il 6 ottobre scorso è stato il bicentenario della morte: un’occasione per andare alla ricoperta di Domenico Cotugno a 200 anni dalla scomparsa di un grande clinico che lega indissolubilmente il suo nome all’ospedale partenopeo, polo infettivologico campano, ritornato agli onori delle cronache durante la pandemia. Ovvero l’applicazione, nella pratica clinica quotidiana, dei principi e delle procedure dell’Evidence based practice.
Imponente la partecipazione alla celebrazione del bicentenario della morte di Domenico Cotugno che l’Ordine dei medici di Napoli e provincia ha voluto celebrare il 14 novembre alla Riviera di Chiaia.
“L’opera di Domenico Cotugno – ha commentato il presidente Bruno Zuccarelli – è stata una rivoluzione del mondo scientifico che ha prodotto benefici duraturi e per molti aspetti attuali da ricordare anche alla luce della recente pandemia da Covid 19. il bicentenario della sua morte è stata l’occasione per sottolineare quanto la sua illustre opera sia un faro anche oggi”. Nelle foto che pubblichiamo in pagina la scansione di un momento di approfondimento gradito e apprezzato da tutti. Il nostro grazie ai numerosissimi colleghi che, con la loro presenza, ci spingono ad impegnarci sempre di più per la Comunicazione e la Formazione in Medicina.
IL PROFILO
Domenico Cotugno nato a Ruvo di Puglia il 29 gennaio 1736 e morto a Napoli il 6 ottobre 1822 è stato un anatomista e chirurgo italiano, soprannominato “l’Ippocrate napoletano”. Durante gli ultimi anni della sua vita era così famoso che si diceva che a Napoli “nessuno poteva morire senza il suo permesso”. È considerato uno dei padri della medicina moderna. Di famiglia modesta si dedicò, per lo più da autodidatta, alla matematica e alla filosofia. Nel frattempo crebbe in lui la passione per le scienze naturali e per la medicina. All’età di 16 anni si trasferì a Napoli, dove fu introdotto alla fisica e alla medicina, e da allora Cotugno non ritornò più nella cittadina pugliese. Nella città campana conobbe Antonio Genovesi, che lodò il giovane per «la bella scoperta degli acquedotti dell’orecchio». Dal 1754 divenne prima assistente poi medico dell’Ospedale degli Incurabili, che fu la sua vera palestra di sperimentazione medico-scientifica, dove sostituì il titolare di chirurgia, ammalato. Tale esperienza gli fornì l’occasione di sperimentare lo stretto legame tra anatomia e chirurgia.
Conseguita la laurea presso la Scuola medica salernitana nel 1756, incominciò ad impartire lezioni private di medicina, prima di tentare dei concorsi per l’insegnamento universitario, in particolare presso l’ateneo di Napoli. Qui, nel 1758, fu associato alla cattedra di notomia (anatomia descrittiva e patologica), della quale più tardi, appena trentenne, nel 1766, ottenne la titolarità. Ciò avvenne un anno dopo il suo viaggio, di circa tre mesi, per l’Italia. A Bologna incontrò gli accademici del posto mentre a Padova conobbe Giovanni Battista Morgagni. Sul celebre medico forlivese, una volta rientrato a Napoli, scrisse: «Egli è un uomo quanto savio tanto d’ottimo cuore, e sono a lui vivamente obbligato, e lo sarò eternamente per le vere dimostrazioni d’amicizia, e cordialità che mi ha date». A Venezia si incontrò con l’abate Stella, il quale descrisse a un Cotugno scettico le sue capacità di curare il mal di petto, facilitare il parto e rinvigorire le forze vitali. Ma, nella descrizione di quest’incontro, è come se il medico di Ruvo volesse evidenziare la differenza tra le cure fondate sulla conoscenza scientifica e quelle fondate sui miracoli dei ciarlatani. Nel 1781, quando Anton Mario Lorgna decise di ampliare la cosiddetta Accademia dei XL (delle Scienze) e fu incluso anche Cotugno.
Originariamente non era compreso nel progetto e la scarsa presenza degli scienziati del Meridione era confermata dai primi scritti della società, tutti di autori di area centro-settentrionale. Ma Anton Mario Lorgna era convinto della necessità di coinvolgere scienziati di ogni parte del Paese, polemizzando con quanti volessero sceglierli esclusivamente nel Veneto. Divenne medico di corte al seguito di re Ferdinando IV di Napoli. A Roma ebbe in cura nobili, cardinali, frequentò uomini di cultura e ottenne una lunga udienza dal Papa. La sua fama toccò l’apice durante il viaggio a Vienna: fece parte del seguito reale a causa dell’improvvisa malattia di Giuseppe Vairo, medico di camera e suo amico.
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