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Fuga dei medici dal servizio pubblico. Più di quattromila defezioni tra i camici bianchi l’anno scorso

Gli ospedali italiani, già messi a dura prova dalla pandemia, si trovano ora di fronte a una crisi strisciante e dolorosa: è in atto da tempo un esodo silenzioso (ma incessante) di medici e infermieri che lasciano il servizio pubblico per cercare di meglio. L’emergenza e il pronto soccorso sono alcuni tra i settori sguarniti. Le statistiche sono impietose: nel 2022, ben 4.349 medici hanno deciso di dare le dimissioni e di uscire dai ranghi del SSN, un incremento drammatico se si considera che sei anni prima, nel 2016, le dimissioni volontarie erano state 1.564. A questa cifra si aggiungono le 6.651 defezioni registrate tra gli infermieri, contribuendo a un quadro allarmante di sofferenza e malessere all’interno del sistema sanitario.

Assalto alla diligenza

La situazione è diventata insostenibile, i camici bianchi si sentono costantemente nel mirino. Aggressioni fisiche e verbali da parte di pazienti e familiari, richieste di risarcimento per motivi spesso pretestuosi, e retribuzioni inferiori rispetto al resto d’Europa hanno trasformato il lavoro in ospedale in una vera e propria battaglia quotidiana. Mariella Mainolfi, direttore generale delle professioni sanitarie e delle risorse umane del Servizio sanitario nazionale, ha sottolineato che la crisi del personale è un fenomeno di lungo periodo, acuitosi ulteriormente dal 2020 in poi.

Ogni giorno, i medici si trovano a dover gestire non solo la pressione dell’assistenza, ma devono pure fare i conti con un clima di sfiducia e aggressività che rende il loro lavoro ancora più difficile. È un assalto alla diligenza nei confronti di chi, ogni giorno, si impegna per salvare vite umane

L’analisi della situazione attuale rivela un quadro complesso. Nonostante l’incremento di circa 35 mila unità di personale sanitario tra il 2017 e il 2022, i rinforzi si rivelano insufficienti, incapaci a fermare la fuga. Anche l’ampliamento dei posti nelle scuole di specializzazione non ha prodotto i risultati sperati: l’anno scorso il 74,9% dei posti messi a disposizione per la specializzazione in medicina d’emergenza urgenza è stato disertato. Specialità fondamentali come chirurgia generale e nefrologia scontano a loro volta una evidente disaffezione: i giovani medici si allontanano dalle specializzazioni che più necessitano di risorse.

Altrettanto preoccupante il trend sul versante degli infermieri. Dopo un periodo di crescita, ora per ogni 100 posti disponibili al primo anno di corso, 15 rimangono liberi. Le iscrizioni, passate da 45 mila nel 2010 a poco più di 20 mila nel 2020, segnalano un crescente disinteresse verso la professione.

Le cause

Cosa spinge i medici e gli infermieri a lasciare il servizio pubblico? Le ragioni sono molteplici e complesse. In primo luogo, la questione retributiva gioca un ruolo cruciale: gli infermieri italiani guadagnano il 19% in meno rispetto ai colleghi europei, mentre i medici percepiscono uno stipendio inferiore del 4%. La mancanza di riconoscimento economico si traduce in una scarsa attrattività della professione, a fronte di carichi di lavoro sempre più pesanti e di una crescente pressione sul posto di lavoro.

In secondo luogo c’è il burnout. La gestione di pazienti complessi e la scarsità di risorse rendono il lavoro in ospedale un’esperienza stressante, che porta molti a considerare alternative lavorative, anche al di fuori del servizio pubblico.

Pierino Di Silverio, segretario nazionale Anaao Assomed, ha evidenziato la necessità urgente di un nuovo “patto della salute” per affrontare questa crisi. “Bisogna agire presto e bene”, ha dichiarato, sottolineando l’importanza di un approccio sistemico per risolvere i problemi del personale sanitario. “Come ripetiamo spesso – afferma in una nota il presidente della Federazione Cimo-Fesmed, Guido Quici – il servizio sanitario nazionale non è più attrattivo. E il problema non riguarda solo i medici, ma anche gli infermieri”.

Le defezioni tra le fila dei medici e degli infermieri dal servizio pubblico non sono solo un problema da risolvere nell’immediato, ma pongono interrogativi sul futuro del welfare in Italia. Occorre migliorare le condizioni di lavoro e per rendere il servizio sanitario nazionale più attrattivo, si dice, altrimenti il rischio sarà quello di trovarsi di fronte a un sistema sanitario impoverito, sguarnito e incapace di rispondere adeguatamente alle esigenze della popolazione.

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