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Gastroenterologia pediatrica: il 60% dei reparti intercetta segni di malnutrizione al ricovero

Un’indagine nazionale denuncia le lacune nell’applicazione dei test di screening nutrizionale raccomandati. Il rischio? Trascurare un terzo dei bambini ospedalizzati.



In un Paese come l’Italia, dove l’accesso alle cure pediatriche è garantito e diffuso, ci si aspetterebbe che anche la valutazione dello stato nutrizionale dei bambini ricoverati fosse una prassi consolidata. Eppure, nonostante le raccomandazioni europee e la disponibilità di strumenti diagnostici efficaci, la realtà è ben diversa. La malnutrizione, sia per difetto che per eccesso, continua a essere sottovalutata nei reparti pediatrici, con conseguenze potenzialmente gravi per la salute dei piccoli pazienti.

A lanciare l’allarme è un’indagine presentata al congresso della Società Italiana di Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica (SIGENP), concluso recentemente a Roma. Lo studio, condotto tra dicembre 2023 e gennaio 2024, ha coinvolto 31 ospedali distribuiti in 14 regioni italiane, con una rappresentanza del 45% dal Nord, 32% dal Centro e 23% dal Sud. Il questionario, composto da 11 domande, è stato elaborato dal gruppo di lavoro in dietetica della SIGENP e dal gruppo di pediatria di ASAND (Associazione tecnico-scientifica dell’Alimentazione, Nutrizione e Dietetica dei Dietisti).

I risultati sono eloquenti: solo il 60% dei reparti pediatrici e il 50% degli ospedali pediatrici italiani applicano i test di screening nutrizionale pediatrico (PNST) al momento del ricovero. Si tratta di valutazioni raccomandate dalla ESPGHAN (European Society for Paediatrics, Gastroenterology, Hepatology and Nutrition), che vanno ben oltre il semplice rilevamento di peso e altezza. “Prendere peso e altezza all’ingresso in reparto non basta, sono necessari ulteriori accertamenti con strumenti in grado di determinare esattamente lo stato di nutrizione del bambino. Ma questo oggi, soprattutto per mancanza di tempo, viene fatto solo nel 50 – 60 % dei casi”, ha spiegato Mirella Elia, dietista all’Ospedale Bambino Gesù di Roma e responsabile della nutrizione artificiale domiciliare (NAD), nonché coautrice della survey.

La malnutrizione, in tutte le sue forme, riguarda circa un terzo dei bambini ospedalizzati. Un dato che impone una riflessione urgente. “Bisogna che questi test diventino abituali, di routine perché la malnutrizione, in eccesso o in difetto, è molto frequente. Il dietista può migliorare non solo lo stato di salute generale ma anche l’efficacia delle terapie”, ha sottolineato Elia.

Claudio Romano, presidente SIGENP, ha evidenziato come oggi, in un Paese ad alto livello di sviluppo, ci si trovi a fronteggiare due condizioni opposte: l’obesità e la malnutrizione per difetto. “Che è meno frequente ma che è in aumento per accesso più agevole alle diete e conseguenti disturbi del comportamento alimentare tra gli adolescenti. Data la diffusione di questi problemi, è importante utilizzare sempre gli screening di malnutrizione”, ha dichiarato Romano.

La valutazione dello stato nutrizionale, infatti, non può limitarsi a parametri antropometrici. “Il paziente può essere magro per peso e statura, o per costituzione, e quindi occorre una valutazione non solo antropometrica. Solo avendo un quadro preciso della sua situazione si possono curare al meglio patologie croniche come insufficienza renale o cardiopatia, malattie oncologiche o da malassorbimento”, ha aggiunto Elia. Un esempio emblematico è quello della leucemia linfoblastica, in cui la terapia cortisonica può aggravare problemi di peso già esistenti.

Quando le regole ESPGHAN vengono applicate correttamente, la malnutrizione può essere intercettata tempestivamente e affrontata con interventi mirati. Il ruolo del dietista diventa cruciale, non solo per la valutazione clinica, ma anche per il counseling nutrizionale, che aiuta a comprendere le cause del problema e a intervenire con sedute di 20-30 minuti ripetute nel tempo. “Il medico ospedaliero spesso non può identificare esattamente lo stato di malnutrizione. Eppure oggi i mezzi per individuarla e trattarla non mancano: ci sono strumenti diagnostici accurati, appunto i test di screening PNST e poi, se occorrono, il trattamento nutrizionale può essere integrato con supplementi orali, i cosiddetti ONS che i bambini accettano bene”, ha concluso Elia.

L’indagine mette in luce una lacuna sistemica che va colmata con urgenza. La malnutrizione pediatrica non è un problema marginale, né una questione da relegare alla sola sfera dietetica. È una condizione clinica che incide sugli esiti terapeutici, sulla qualità della vita e sul futuro dei bambini. E per affrontarla, serve un cambio di passo culturale e organizzativo: rendere lo screening nutrizionale una prassi consolidata, ovunque e per tutti. Solo così si potrà garantire a ogni bambino ricoverato una cura davvero completa.

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