Fermare l’epidemia da Hiv è ancora possibile: l’appello proviene anche dall’HIV Summit che si è svolto nei giorni scorsi a Roma, un confronto tra istituzioni, comunità scientifica e associazioni di pazienti per rilanciare prevenzione, informazione e lotta allo stigma e per riportare la lotta al virus al centro dell’agenda politico-sanitaria italiana e migliorare l’accesso ai trattamenti con politiche mirate e la collaborazione con le comunità scientifiche e civili, possiamo raggiungere l’obiettivo di porre fine all’epidemia e migliorare la vita delle persone che vivono con l’HIV.
Ma qual è la situazione dell’epidemia nelle Regioni italiane? Cominciamo dalla Campania: gli ultimi dati resi disponibili dal Cerifarc (Centro di riferimento Aids Regione Campania) diretto dal professor Guglielmo Borgia, sono quelli del 2023.
I dati segnalano un aumento dei casi confermati e aggiornati dalle “antenne” territoriali rappresentate dai centri di screening in anonimato e dalle unità di malattie infettive del Cotugno, polo infettivologico monospecialistico di Napoli e dalle unità di cura e ricerca universitarie. «In Campania abbiamo un gran numero di giovani, in media sui 25 anni, affetti da HIV ma inconsapevoli di aver contratto l’infezione. È un enorme problema, sia per la salute di questi ragazzi, sia perché per anni possono inconsapevolmente trasmettere il virus. È determinante riuscire a fare diagnosi tempestive e più prevenzione». A parlare è Nicola Coppola, direttore dell’Unità Operativa Complessa di Malattie Infettive presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Napoli Luigi Vanvitelli.
In Campania sono una mezza dozzina i centri che eseguono lo screening in anonimato anche su minori: sono il centro di malattie infettive del policlinico di Napoli Federico II, l’unità attiva all’ospedale Cotugno, il centro dell’ospedale Moscati di Avellino, dell’ospedale San Pio di Benevento, del Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta e del Ruggi di Salerno. Insomma in ogni provincia c’è almeno una struttura hub dedicata con alcune altre satelliti presenti anche in alcuni presidi ospedalieri delle Asl. Ogni anno in regione vengono fatte poco meno di 200 nuove diagnosi a pazienti che hanno un’età media di 37 anni e che sono portatori del virus dell’HIV ormai da circa 7 o 8 anni.
I referenti del sistema di sorveglianza regionale coordinati da Borgia sono Giuseppina Dell’Aquila per il Moscati, Giovanna D’Alessio
per il San Pio, Filomena Simeone
per l’ospedale di Caserta, Alfonso Masullo per il Ruggi di Salerno, Vincenzo Esposito per il Cotugno, Giovanni Di Filippo
per il policlinico Federico II, Alfredo Guarino per la Pediatria universitaria dello stesso Ateneo e Nicola Coppola per la Vanvitelli.
“La sorveglianza dei casi di Aids rimane una preziosa fonte di dati – avverte il professore Borgia – appare evidente che il monitoraggio delle nuove diagnosi di infezioni da HIV rappresenta il metodo migliore per descrivere le modificazioni in atto nell‘epidemia, nonché per fornire gli strumenti necessari a pianificare interventi di prevenzione primaria e secondaria. Sin dalla prima metà degli anni ‘80 del resto il sistema di sorveglianza dei nuovi casi di AIDS ha rappresentato la pietra miliare per guidare gli sforzi nazionali nel controllo dell‘epidemia di AIDS/HIV e per attivare programmi di prevenzione e corretta gestione dei servizi socio-sanitari. Con l’introduzione dei potenti regimi di terapia antiretrovirale (Haart) nella pratica clinica a partire dalla metà degli anni ’90, anche in Italia nel corso del 1996 si osservava una diminuzione dei nuovi casi di Aids (- 12%) e dei decessi correlati all‘Aids (- 10%) rispetto al 1995. Da allora si è osservato un continuo decremento delle diagnosi e dei decessi, principalmente attribuibile all‘aumento della sopravvivenza e del periodo libero da malattia conclamata piuttosto che ad una diminuzione delle infezioni. Tali variazioni hanno reso tuttavia sempre più difficile ottenere una stima delle infezioni da Hiv sulla base delle segnalazioni dei casi di Aids”.
Negli ultimi anni la situazione epidemiologica è radicalmente cambiata con l‘evidente impatto della trasmissione per via sessuale e la riduzione di quella legata all‘uso di droghe per cui oggi non si può più parlare di vere e proprie categorie a rischio e la trasmissione riguarda sia i giovani che gli adulti sessualmente attivi. Da rilevare però ci sono i successi dei trattamenti farmacologici dell‘infezione da Hiv che hanno contribuito a determinare la riduzione dell‘incidenza di Aids. Così come la possibilità di offrire agli individui infetti, ma ancora asintomatici, terapie efficaci nel ritardare l‘evoluzione in Aids e nel migliorare la qualità della vita. La maggiore sopravvivenza delle persone Hiv-positive si è poi tradotto in un numero sempre più elevato di persone infette viventi.
Gli elementi salienti da considerare sono tuttavia l‘insufficienza delle informazioni fornite dalla sorveglianza dei casi di Aids nel descrivere l‘epidemia da Hiv a fronte della disponibilità di nuove terapie che consentono di allungare la sopravvivenza dei soggetti Hiv positivi, migliorando altresì la loro qualità di vita. Intanto un numero progressivamente crescente di persone Hiv-positive viventi prelude ad un’ulteriore diffusione dell‘epidemia alimentata anche dalla maggiore mobilità di persone provenienti da aree ad alta endemia di Hiv. La principale raccomandazione di organizzazioni internazionali (Oms, Unaids, Ue, Ecdc) è quella di istituire sistemi di sorveglianza per l‘infezione da Hiv a copertura nazionale e l‘esigenza di riorganizzare e razionalizzare l‘offerta del test Hiv sul territorio.
In base agli ultimi dati disponibili in Campania nel 2023 si è verificato un incremento del numero delle nuove diagnosi, dato che conferma un trend iniziato ma da confermare nei prossimi report. Infatti potrebbe essere ancora imputabile all’impatto della pandemia da Covid-19 che potrebbe aver indotto un ritardo diagnostico negli ultimi tre anni, con un progressivo incremento delle diagnosi nei primi anni post-pandemici. Ad ogni modo l’incidenza delle nuove infezioni risulta sostanzialmente stabile negli ultimi dieci anni. Un altro dato particolarmente interessante riscontrato nel 2023 riguarda l’incremento delle nuove diagnosi di infezione da Hiv osservato tra la popolazione di nazionalità italiana, confermando il trend già osservato nel 2022.
Nel 2023 si conferma che la maggior parte delle nuove diagnosi di infezione da Hiv in Campania e’ attribuibile a rapporti sessuali e al contempo si osserva una drastica riduzione della percentuale di soggetti che riferiscono l’uso di sostanze stupefacenti per via endovenosa quale fattore di rischio di acquisizione dell‘infezione. In particolare, negli ultimi anni dello scorso decennio l’uso di sostanze stupefacenti per via endovenosa risultava essere la modalità di contagio in circa il 20% delle nuove diagnosi; quest’anno si è confermato il trend in discesa degli ultimi anni con un 4% di pazienti che riferiva essere questo il comportamento a rischio associato alla trasmissione dell’infezione. Tale comportamento a rischio la cui elevata frequenza era sempre stata una caratteristica peculiare della Regione Campania, risulta ormai allineato al dato nazionale.
In considerazione delle attività di screening come uno dei principali motivi di esecuzione del test, nel 2023 il motivo prevalente di esecuzione del test è stato rappresentato dal timore di un rapporto sessuale non protetto.
Dato particolarmente interessante è il riscontro di un nuovo incremento della percentuale di pazienti che si presenta alla diagnosi come late presenters (<350 CD4 alla diagnosi di HIV o concomitante diagnosi di Hiv/Aids indipendentemente dalla conta dei CD4). Seppur numerose e diverse iniziative sono state attuate negli ultimi anni al fine di una diagnosi precoce, tale dato evidenzia come bisogna ancora insistere e perseverare per raggiungere e migliorare l’obiettivo di individuare e rilevare nella maggior parte dei casi i pazienti in fase precoce di infezione. Ciò andrebbe ovviamente ad impattare sulla prognosi del paziente e sui costi derivanti da una diagnosi tardiva per la collettività.
Nella maggior parte dei centri dotati di screening in anonimato la presa in carico del paziente con HIV avviene a 360 gradi. «Non solo nel trattamento clinico delle persone che vivono con l’HIV – avverte Coppola della Vanvitelli – ma anche nell’offrire un’assistenza completa che considera il paziente nella sua totalità, occupandosi di gestire problematiche metaboliche come il diabete e l’ipercolesterolemia, di effettuare diagnosi precoci di lesioni precancerose associate all’infezione da HPV, di fornire programmi vaccinali e di affrontare patologie legate all’invecchiamento, oltre ad altre condizioni che possono emergere durante il percorso di cura».
Oltre alla gestione clinica tradizionale ci sono sempre ambulatori dedicati alla prevenzione, inclusa la profilassi pre-esposizione (PrEP), che è una strategia preventiva che consiste nell’assunzione regolare di farmaci antiretrovirali da parte di persone Hiv-negative ad alto rischio di infezione e che può ridurre il rischio di contrarre l’Hiv fino al 99% se assunta correttamente, oltre i servizi di screening essenziali per la diagnosi tempestiva di diverse malattie infettive a trasmissione sessuale, compreso l’Hiv. «Strumenti cruciali nella prevenzione dell’HIV, nonché strategie raccomandate dalle linee guida europee e italiane sono, oltre alla PrEP, anche la PEP (Profilassi Post-Esposizione), ovvero un trattamento d’emergenza che deve essere iniziato entro 72 ore da una potenziale esposizione all’HIV, come rapporti sessuali non protetti o esposizione professionale».
Oggi i soggetti affetti da infezione di HIV hanno una prognosi ed una qualità della vita sovrapponibile a quella della popolazione senza tale infezione grazie alla terapia antiretrovirale (ART), ma è fondamentale la diagnosi precoce. Secondo le linee guida europee dell’EACS (European AIDS Clinical Society), l’inizio precoce di tale trattamento può sopprimere la replicazione virale a livelli non rilevabili nel sangue, prevenendo la progressione dell’infezione verso l’AIDS e permettendo alle persone che ne sono affette di avere un’aspettativa di vita simile a quella della popolazione generale. Nonostante l’enorme efficacia del trattamento dell’infezione oggi, un aspetto preoccupante resta quello legato alla sua diagnosi, poiché oltre il 60% di queste diagnosi avviene in fase tardiva, quando il sistema immunitario è già compromesso o, peggio, nel 28% dei casi, quando si è già sviluppato l’AIDS, con un aumentato rischio di complicanze cliniche per il paziente e di trasmissione del virus ad altri soggetti. Questo sottolinea l’importanza di strategie efficaci per promuovere il testing precoce e regolare tra le popolazioni a rischio. Le diagnosi tardive sono spesso il risultato di una bassa percezione del rischio, della mancanza di sintomi specifici nelle fasi iniziali dell’infezione e dello stigma associato all’HIV. Per migliorare questa situazione, è fondamentale aumentare la consapevolezza pubblica sull’importanza del testing regolare, promuovere campagne di sensibilizzazione e ridurre lo stigma attraverso l’informazione. «Lo screening precoce dell’HIV – conclude Coppola – è accessibile e può essere effettuato attraverso test rapidi disponibili in centri sanitari, ospedali, associazioni e alcune farmacie oppure con test su siero presso strutture ospedaliere o centri convenzionati».
L’evento romano “Ending the HIV Epidemic in Italy” che ha riacceso i riflettori sulla pandemia dimenticata è anche l’indicazione di una visione concreta in un’Italia in cui nessuno sia lasciato indietro, in cui parlare di HIV sia finalmente normale e in cui la prevenzione, i giusti trattamenti e la dignità siano garantiti a tutti.







