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I dazi sui farmaci negli States potrebbero costare 76 miliardi all’industria europea

Marcello Cattani, presidente Farmindustria: uno scenario da evitare, rinnoviamo la fiducia nell’azione del Governo italiano e della UE

Un giro di vite negli scambi tra le due sponde dell’Atlantico sembra ormai inevitabile. I provvedimenti annunciati negli States dal presidente Donald Trump vanno avanti, e uno dei settori più colpiti, arrivati a questo punto, potrebbe essere quello della produzione farmaceutica europea destinata all’export. L’applicazione di dazi reciproci al 25%, secondo i calcoli, avrebbe un impatto piuttosto pesante sull’intero settore, con costi stimati in 76,6 miliardi di dollari per le aziende europee che producono medicinali destinati agli Usa. Due miliardi e mezzo la stima dei contraccolpi a carico delle imprese farmaceutiche che operano in Italia. Una vera batosta per un’industria già provata da sfide globali (basti pensare alla partita che stanno giocando la Cina e l’India in questo quadro, per quanto riguarda la produzione di principi attivi). La tempesta all’orizzonte rischierebbe di stravolgere il delicatissimo equilibrio tra ricerca, produzione e distribuzione, principalmente nel campo delle terapie innovative.

Marcello Cattani, presidente Farmindustria, ha descritto la situazione che si sta profilando senza mezzi termini: “La minaccia di dazi è un rischio concreto per le nostre aziende e per l’intera filiera manifatturiera farmaceutica. Avrebbe però contraccolpi anche per gli Stati Uniti e per i suoi cittadini”. Il ragionamento di Cattani è supportato da dati economici precisi: nel 2024 l’Italia prevedeva di esportare verso gli Stati Uniti farmaci e vaccini per un valore di oltre 10 miliardi di euro. Finora, sulla quasi totalità di questi prodotti, non gravava alcun dazio. Nella ipotesi in cui i dazi al 25% venissero effettivamente applicati, le conseguenze sarebbero sconcertanti, con costi aggiuntivi superiori a 2,5 miliardi per l’Italia, e tutte le conseguenze del caso.

Senza indugiare nel pessimismo, il numero uno Farmindustria ha sottolineato l’importanza di un’azione concertata da parte delle istituzioni, per scongiurare il peggio, con conseguenze che sarebbero deleterie per tutte le parti coinvolte. “Dal nostro punto di vista – ha dichiarato all’Ansa il presidente Cattani – sarà importante l’opera forte di convincimento e moral suasion da parte della Commissione europea e del Governo italiano, che molto sta facendo per scongiurare questo scenario, che non farebbe bene a nessuno”. “Avviare una nuova produzione farmaceutica, soprattutto per quei farmaci che vengono esportati in Usa, che sono farmaci a grande valore aggiunto come quelli biotecnologici e i vaccini, è molto complesso e richiederebbe anni”, aggiunge. La qualità del Made in Italy, in qualche modo, ci mette al riparo dalle conseguenze peggiori: “L’Italia è un campione europeo e mondiale nella produzione di farmaci ad alto valore aggiunto e vaccini. Questo è un grande punto di forza nel proteggere il nostro export, perché non siamo facilmente sostituibili”, ha concluso Cattani.

Ma non solo l’Italia rischia di subire le conseguenze di questa situazione. Secondo un’analisi condotta dall’economista Fabrizio Gianfrate (docente di marketing farmaceutico all’Università di Ferrara, collabora con l’ Università Luiss di Roma e la Cattolica di Milano) l’industria farmaceutica statunitense, che movimenta farmaci per un valore complessivo di 306,4 miliardi di dollari, sarebbe, a sua volta, gravemente colpita. Di questi, 94,4 miliardi rappresentano importazioni, mentre 212 miliardi sono esportazioni verso il resto del mondo. Se i dazi reciproci al 25% venissero confermati, si tradurrebbero in un trasferimento complessivo di 76,6 miliardi di dollari dall’industria agli Stati, di cui 23,6 miliardi andrebbero nelle casse del governo americano e 53 miliardi in quelle degli altri Paesi coinvolti.

Un dato significativo è l’impatto sull’export statunitense: l’Europa rappresenta quasi un quarto del mercato, con i farmaci importati dagli Stati Uniti dai Paesi Ue che valgono 48,2 miliardi di dollari. Questo si traduce in 12 miliardi di costi per le aziende americane verso i Paesi europei, con circa 790 milioni che ricadrebbero direttamente sull’Italia.

L’economista mette in guardia sugli effetti collaterali dei dazi, che rischiano di produrre ripercussioni negative su larga scala. “Almeno una parte dell’aggravio dei costi in carico alle aziende verrebbe trasferita sul prezzo dei farmaci, gravando sui pazienti o sugli Stati”, avverte Gianfrate. La conseguenza più preoccupante potrebbe però essere la ritirata dal mercato di alcuni medicinali, che diventerebbero non più profittevoli a causa dell’aumento dei costi, con il rischio concreto di carenze di farmaci essenziali.

La situazione attuale è quindi complessa e richiede un’attenzione continua da parte di tutti gli attori coinvolti. Farmindustria confida in un intervento decisivo da parte dell’Unione Europea, e dell’Italia. Si presume che sia possibile un ravvedimento, che corregga almeno in parte la rotta tracciata, e possa mitigare gli effetti negativi annunciati. Resta da vedere se questa aspettativa, e gli sforzi per negoziare una soluzione meno onerosa, possano sortire risultati concreti. In un contesto globale interconnesso, ogni decisione avrà ripercussioni che si estenderanno ben oltre i confini nazionali, influenzando la salute e il benessere di milioni di persone in tutto il mondo. L’auspicio è che la ragione e il buon senso finiscano per prevalere, scongiurando un epilogo che non gioverebbe a nessuno.

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