Uno studio retrospettivo ripercorre 15 anni di cambiamenti alimentari: più snack e salumi, meno legumi e proteine vegetali
L’alimentazione è uno specchio fedele delle abitudini di una società. In Italia, patria della dieta mediterranea, il modello nutrizionale tradizionale sembra cedere il passo a scelte sempre più condizionate da velocità, praticità e gusto immediato. A confermarlo è una ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità, che ha analizzato l’evoluzione dei consumi alimentari degli italiani negli ultimi quindici anni. Il quadro che emerge è quello di scelte nutrizionali in caduta libera, con un aumento significativo nel consumo di alimenti ultra-processati e una riduzione dell’aderenza alle raccomandazioni dietetiche.
Lo studio, coordinato da Laura Rossi, Direttrice del Reparto Alimentazione, Nutrizione e Salute dell’ISS, è stato pubblicato sulla rivista Frontiers in Nutrition e ha coinvolto un campione rappresentativo di adulti e anziani italiani tra il 2005–2006 e il 2018–2020. I dati raccolti su oltre 3.400 persone sono stati analizzati utilizzando due indicatori: l’Adherence to Italian Dietary Guidelines Indicator (AIDGI) e il World Index for Sustainability and Health (WISH2.0).
I risultati sono disarmanti: i punteggi ottenuti si attestano intorno al 50% del massimo teorico, segnalando ampi margini di miglioramento. “I risultati della nostra ricerca indicano un lieve peggioramento dell’aderenza alle raccomandazioni, con un eccesso di consumi di alimenti di origine animale, in particolare carne rossa e salumi, e uno scarso consumo di alimenti vegetali, come i legumi”, spiega la coordinatrice.
A preoccupare è soprattutto l’aumento del consumo di alimenti ultra-processati (UPF), ovvero quei prodotti molto lavorati a livello industriale, spesso ricchi di additivi, coloranti, zuccheri e grassi. Sebbene in termini di peso rappresentino solo il 6% del totale del cibo consumato, nel periodo 2018–2020 gli UPF hanno contribuito al 23% dell’apporto energetico giornaliero. Un dato quasi raddoppiato rispetto al 2005–2006, quando il consumo era al 5% e l’apporto energetico al 12%.
Tra gli UPF più diffusi sulle tavole italiane figurano bevande zuccherate, snack dolci e salati, caramelle, cioccolatini, carne e pesce trasformati, piatti pronti. “Tendiamo a criminalizzare i carboidrati e a consumare molti alimenti voluttuari come snack dolci e salati, vino e birra. In particolare questo è vero per gli adulti, mentre per gli anziani e le donne la situazione è lievemente migliore”, osserva Rossi.
Lo studio evidenzia infatti che gli italiani tra i 65 e i 74 anni, soprattutto le donne, seguono abitudini alimentari più sane rispetto agli adulti tra i 18 e i 64 anni. Mentre gli anziani hanno migliorato la loro dieta nel tempo, gli adulti hanno mostrato un peggioramento.
“La categoria degli alimenti ultra-processati comprende una vasta gamma di prodotti, la cui eterogeneità compositiva e tecnologica rende difficile un giudizio univoco sul loro impatto sulla salute”, sottolinea Rossi. “In Italia, dove il consumo di UPF è ancora relativamente contenuto ma in crescita, le Linee guida nutrizionali dovrebbero evolvere verso un approccio più sfumato, che non si limiti a demonizzare il livello di trasformazione, ma valorizzi la qualità nutrizionale e la matrice alimentare”.
Alcuni sottogruppi di UPF, come i cereali integrali o le alternative vegetali alla carne, possono persino associarsi a un rischio inferiore per la salute rispetto ad altri, come le bevande zuccherate o certi prodotti animali ultra-processati.
Da qui, l’appello dell’ISS a una strategia di sanità pubblica più articolata e consapevole. Cinque le indicazioni essenziali:
- Leggere le etichette e valutare gli ingredienti.
- Preferire prodotti senza zuccheri aggiunti, con poco sale e meno additivi.
- Consumare prodotti industriali in modo oculato, prediligere alimenti freschi.
- Ridurre gradualmente il consumo di bevande zuccherate o dolcificate.
- Prestare attenzione agli additivi nei prodotti apparentemente tradizionali.





