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Leucemia linfatica cronica, c’è un nuovo farmaco

L’Ema fa scattare il semaforo verde ad un nuovo farmaco. E’ destinato ai pazienti refrattari ad altre cure

Nuove cure per le forme aggressive di leucemia linfatica cronica: parliamo del più diffuso tumore del sangue in occidente- La malattia interessa soprattutto l’adulto ed è dovuto alla crescita incontrollata di una linea cellulare del sistema immunitario, i linfociti B, deputati alla produzione di immunoglobuline e anticorpi. Le cellule sono colpite da particolari mutazioni genomiche (tra cui quelli che colpiscono il gene TP53 o anche quelli che specificano per le immunoglobuline (IGHV – e rispondono in maniera anomala a input del microambiente epigenomiche. In definitiva perdono il controllo della divisione cellulare per cui queste cellule invadono i tessuti emopoietici deputati alla loro produzione e maturazione. In particolare, il midollo osseo, i linfonodi, la milza aumentando anche la loro concentrazione nel sangue.
Solitamente la malattia è sub clinica, ovvero ad andamento non aggressivo e con sintomi non preoccupanti sul piano clinico caratterizzata solo da un aumento del livello dei linfociti B. In questi casi e di solito all’esordio non richiede un immediato trattamento al momento della diagnosi e circa il 30% dei pazienti non ha bisogno di trattamenti e cure nel corso della vita. Negli altri casi tuttavia il decorso può essere più o meno aggressivo ed esistono varie opzioni terapeutiche abbastanza efficaci. Una quota di malati manifestano forme molto aggressive progressivamente refrattarie a tutti i trattamenti oggi disponibili (trasformazione di Richter). Questa complicanza è più comune con le recidive successive al primo trattamento, soprattutto se chemioterapico che può indurre mutazioni.
Il nuovo farmaco approvato da Ema, l’agenzia regolatoria europea, agisce in maniera innovativa: pirtobrutinib indicato nelle forme recidivanti o refrattarie nei pazienti adulti già trattati con un inibitore della tirosin-chinasi di Bruton (BTK), è un inibitore non covalente della BTK, 300 volte più selettivo rispetto alla maggior parte delle altre chinasi testate. capace di agire in modo reversibile su diversi aminoacidi dell’enzima, superando così alcune delle resistenze osservate con le terapie precedenti.
“In Italia, sono attesi circa 3 mila nuovi casi all’anno – avverte Giampiero Nitrato Izzo, ematologo della Asl Napoli 1 – ma il dato potrebbe essere sottostimato visto che l’esordio è asintomatico e si arriva alla diagnosi con ritardo anche perché molte di queste forma non vanno nemmeno trattate e restano stabili per anni o per tutta la vita. Ma quando la malattia avanza ed è presente l’anemia, l’ingrossamento dei linfonodi le cure cono necessarie e sono indispensabili nelle forme più aggressive in particolare se ad essere colpiti sono pazienti fragili affetti da comorbilità o perché anziani. Le terapie più utilizzate sono gli inibitori di BTK e BCL-2 molto efficaci e tra le più usate ma effettivamente una quota di pazienti non risponde ed è molto utile avere questo nuove opzioni terapeutiche come abbiamo approfondito nel recente convegno che si è tenuto a Salerno”.
“Nello studio di fase 3, teso a misurare l’efficacia e la tollerabilità del farmaco – aggiunge Fabrjzio Pane ordinario di Ematologia dell’Università Federico II di Napoli- e che ha preceduto il via libera dell’Ema, esperito su pazienti già trattati con un inibitore di BTK, Pirtobrutinib ha dimostrato di ridurre del 46% il rischio di progressione della malattia o di morte rispetto ai trattamenti standard (idelalisib + rituximab o bendamustina + rituximab), con una sopravvivenza libera da progressione mediana di 14 mesi contro 8,7 mesi. È UN buon farmaco. L’efficacia è stata confermata anche nei sottogruppi più difficili da trattare, come i pazienti con mutazioni TP53, delezione 17p, IGHV non mutato o cariotipo complesso”. Insomma un’arma in più a disposizione del clinico per le forme più difficili da controllare a lungo termine visto che questa patologia è da considerare una malattia cronica con lungo sopravvivenza alla diagnosi. Anche il tempo di decesso delle forme terminali raddoppia a 24 mesi con Pirtobrutinib contro 11 mesi per gli altri non trattati con un buon profilo di tollerabilità.
Pirtobrutinib è un farmaco innovativo già approvato per altri linfomi (mantellare recidivante o refrattario) ed è di facile somministrazione per via orale in compresse. La prognosi per la leucemia linfatica cronica dipende da vari fattori: dalla presenza di danno cromosomico (delezioni o duplicazioni di interi tratti di un cromosoma come la delezione 13q, 11p, 17p e la trisomia 12), di mutazioni a carico del gene TP53, dalla presenza di riarrangiamento di geni che specificano per i siti di legame con l’antigene delle Immunoglobuline naturalmente soggette a mutazione per vantaggio evolutivo ma che se colpiscono le catene pesanti della proteina danno luogo ad alcune forme di questa leucemia. Tutti questi aspetti che vanno studiati con l’analisi genetica possono predire la risposta alle cure. Le anomalie del gene TP53 (la delezione 17p e la mutazione del gene) e l’assenza di mutazioni nei geni IGHV, indicano ad esempio la necessità di evitare trattamenti immunochemioterapici e di puntare su terapie innovative mirate. Anemia con una emoglobina inferiore a 10, riduzione delle piastrine, ingrossamento di milza e linfonodi, febbre continua senza infezioni, calo ponderale, sono i segni della necessità di iniziare una terapia più della conta cellulare in quanto tale anche per le conseguenze che queste alterazioni dei parametri ematologici comportano sul piano della alterazione della fisiologia. All’anemia corrisponde infatti la stanchezza e il fiato corto, alla piastrinopenia (riduzione delle piastrine) un possibile seppure non frequente rischio emorragico. L’aumento dei linfociti impedisce, inoltre, la produzione nel midollo osseo delle altre cellule del sistema immunitario. Ecco che emerge una maggiore suscettibilità alle infezioni.
La malattia colpisce circa 5 persone ogni 100 mila e rappresenta circa il 30 per cento di tutti i casi di leucemia. È tipica delle persone anziane e raramente viene diagnosticata prima dei 40. Oltre ai fattori genetici familiari tra i fattori ambientali considerati a rischio ci sono l’esposizione ad alcuni pesticidi, alle radiazioni,
Una linfocitosi persistente, cioè un numero di linfociti nel sangue superiore a 5.000 per millimetro cubo deve sempre far sospettare la malattia in assenza di infezioni. Per la diagnosi definitiva si ricorre alla citofluorimetria o immunofenotipo (eseguito sul sangue periferico), che caratterizza le molecole di superficie delle cellule. La biopsia dei linfonodi può essere utile quando all’ingrossamento non corrispondono altri valori ematici alterati e per una diagnosi differenziale rispetto ad altri tipi di linfomi oppure nelle fasi avanzate di malattia.
A differenza delle altre patologie oncoematologiche, alla diagnosi non sono richiesti l’agoaspirato del midollo osseo né la biopsia ossea. I fattori biologici (assetto dei geni TP53 e IGHV), che hanno una valenza prognostica (in quanto predicono l’andamento della malattia) e predittiva (in quanto predicono la risposta al trattamento), possono essere valutati mediante esami molecolari sul sangue periferico.

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