L’infiammazione cronica di basso grado è un fattore trasversale a molte malattie della senescenza, combatterla oggi può aiutare a prevenire malattie cardiovascolari, cancro, diabete e demenze
Negli ultimi anni, la ricerca ha identificato nella cosiddetta inflammaging uno dei principali determinanti dell’invecchiamento biologico. Si tratta di una condizione di infiammazione cronica di basso grado, poco o per nulla apparente, che aumenta con l’età e che contribuisce al declino funzionale logorando in silenzio organi e tessuti. L’inflammaging è associato a fragilità, debolezza muscolare, osteoporosi, malattie cardiovascolari, patologie neurodegenerative e ridotta risposta immunitaria. Secondo la gerontologa statunitense Judith Campisi, pioniera nello studio dell’invecchiamento cellulare, “l’infiammazione cronica è un volano dell’invecchiamento: spegnere questo fuoco silenzioso significa guadagnare anni di vita in buona salute”. Intervenire sull’infiammazione non è quindi solo una strategia di prevenzione delle malattie croniche, ma un vero investimento sulla longevità. Dieta mediterranea, esercizio fisico regolare, sonno adeguato e riduzione dello stress sono oggi considerati pilastri fondamentali per rallentare l’inflammaging e favorire un invecchiamento più sano e attivo.
L’infiammazione è un meccanismo essenziale di difesa: ci protegge dalle infezioni, ripara i tessuti danneggiati, sostiene la risposta immunitaria. È un alleato indispensabile per la sopravvivenza della specie umana. Ma quando questo processo fisiologico si trasforma in uno stimolo costante, silenzioso e poco appariscente, può diventare un nemico subdolo. L’infiammazione cronica di basso grado è oggi riconosciuta come uno dei principali responsabili dell’innesco di malattie cardiovascolari, tumori, diabete di tipo 2, patologie neurodegenerative e disturbi autoimmuni. Secondo un’analisi pubblicata su Frontiers in Medicine, l’infiammazione è direttamente associata a una vasta gamma di affezioni: malattie cardiovascolari, diabete, cancro e disturbi autoimmuni.
Il dato più impressionante è che tre persone su cinque nel mondo soffrono per una malattia correlata all’infiammazione. Una cifra che rende evidente quanto sia urgente intervenire prima che questo processo, inizialmente silente, comprometta organi e funzioni vitali. L’infiammazione cronica non si manifesta con sintomi evidenti, ma agisce come un fuoco lento che, nel tempo, altera il metabolismo, danneggia i vasi sanguigni, modifica la risposta immunitaria e accelera l’invecchiamento cellulare. “L’infiammazione è un filo rosso che collega molte delle principali malattie croniche moderne” osserva il professor Frank A. Orlando, esperto di medicina di comunità dell’Università della Florida, autore di un editoriale dedicato al tema. “Comprendere e modulare questo processo è una delle sfide più importanti della medicina contemporanea”.
Tra i primi organi a risentire dell’infiammazione cronica c’è il cuore. L’infiammazione partecipa a ogni fase della malattia aterosclerotica: dall’accumulo di placche lipidiche alla loro instabilità, fino alla formazione di trombi responsabili di infarto e ictus. Studi recenti hanno dimostrato che un semplice esame del sangue, la proteina C‑reattiva ultrasensibile (hs‑CRP), può identificare precocemente il rischio di malattia cardiovascolare legata all’infiammazione. Interventi mirati sullo stile di vita, come l’attività fisica regolare e una dieta ricca di fibre e antiossidanti, possono ridurre significativamente questo rischio.
Il cervello non è da meno. L’infiammazione sistemica è oggi considerata un fattore chiave nel declino cognitivo, nella depressione e nelle demenze, incluso l’Alzheimer. Una recente analisi pubblicata sull’European Journal of Preventive Cardiology ha evidenziato come le condizioni cardiovascolari e metaboliche associate a infiammazione aumentino il rischio di demenza nella popolazione generale. “La prevenzione dell’infiammazione è anche prevenzione del declino cognitivo” sottolinea il cardiologo Michael Maeng, coautore dello studio.
L’infiammazione è inoltre un attore centrale nel diabete di tipo 2 e nella sindrome metabolica. L’insulino‑resistenza, caratteristica di queste condizioni, è alimentata da un ambiente infiammatorio persistente. Ricercatori di Harvard hanno dimostrato che modifiche dietetiche mirate – come l’aumento di alimenti integrali, legumi, pesce e grassi insaturi – possono ridurre l’infiammazione e migliorare il controllo glicemico. In alcuni casi, interventi di chirurgia bariatrica hanno portato alla remissione del diabete, proprio grazie alla drastica riduzione dell’infiammazione sistemica.
Il legame tra infiammazione e cancro è altrettanto significativo. Si stima che fino al 20 per cento dei tumori tragga origine da processi infiammatori cronici. L’infiammazione può danneggiare il DNA, favorire la proliferazione cellulare incontrollata e creare un microambiente favorevole alla crescita tumorale. Le terapie immunitarie più avanzate, come gli inibitori dei checkpoint immunitari, sfruttano proprio la modulazione dell’infiammazione per potenziare la risposta antitumorale. “L’infiammazione è un acceleratore biologico che può trasformare un tessuto vulnerabile in un terreno fertile per il cancro” afferma la ricercatrice Fiona Vaz, autrice di un’analisi sul tema pubblicata nel 2025.
Le malattie autoimmuni rappresentano un altro fronte in cui l’infiammazione è protagonista. Patologie come artrite reumatoide, lupus, sclerosi multipla, psoriasi e malattie infiammatorie intestinali sono caratterizzate da un sistema immunitario che attacca i propri tessuti, generando un’infiammazione persistente. Le terapie biologiche e i farmaci immunomodulanti hanno rivoluzionato la gestione di queste condizioni, ma la ricerca continua a esplorare strategie complementari, incluse modifiche dello stile di vita, per ridurre l’attivazione immunitaria.
Accanto ai trattamenti farmacologici, la scienza sta confermando il ruolo cruciale di interventi quotidiani e accessibili. Una dieta anti‑infiammatoria, ricca di frutta, verdura, cereali integrali, pesce e olio extravergine d’oliva, è associata a una riduzione significativa dei marcatori infiammatori. L’attività fisica regolare, il sonno adeguato e la gestione dello stress contribuiscono a modulare la risposta immunitaria. “La prevenzione dell’infiammazione cronica passa anche da scelte quotidiane, non solo da farmaci” ricorda Arch G. Mainous III, professore di medicina interna all’Università della Florida.
L’incremento della vita media è una delle conquiste più rilevanti della medicina moderna, ma vivere più a lungo non significa necessariamente vivere meglio. Una giornata di studi organizzata su iniziativa dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma, sostenuta con un contributo incondizionato da Named Group nell’ambito del progetto Wellongevity e patrocinata da AGGEI (Associazione Giovani Gastroenterologi e Endoscopisti italiani) e Sinut (Società italiana di Nutraceutica) ha affrontato le moderne strategie per un invecchiamento sano, attivo e il più possibile privo di disabilità. A stimolare il dibattito sono state due figure chiave in ambito accademico: Francesco Landi, ordinario di medicina interna alla Cattolica, Direttore del Dipartimento Scienze dell’Invecchiamento, Ortopediche e Reumatologiche del Gemelli, e Giovanni Scapagnini, professore di nutrizione clinica presso l’Università del Molise. Tra i temi all’ordine del giorno figurano gli approfondimenti sui meccanismi noti come hallmarks of aging, con un focus sulle interazioni tra stress ossidativo, l’infiammazione cronica (inflammaging), la senescenza cellulare e la medicina rigenerativa. Si è discusso anche del ruolo del microbiota intestinale nella regolazione dell’invecchiamento sistemico, e delle indicazioni alla prescrizione di alimenti fermentati, probiotici e metaboliti postbiotici.
L’infiammazione è dunque un fenomeno complesso, con una doppia faccia: essenziale per la sopravvivenza, ma potenzialmente lesivo quando diventa cronica. La buona notizia è che oggi disponiamo di strumenti efficaci per riconoscerla, modularla e prevenirne gli effetti più dannosi. La sfida è trasformare queste conoscenze in azioni concrete, consigliandosi con il medico di fiducia, in modo da contrastare l’inflammaging con i comportamenti giusti.





