Ma la soglia di sopravvivenza è a quota 216.
La ricerca è l’anima dello sviluppo di un Paese: dopo gli ultimi anni “dopati” dai fondi Ue del Pnrr (cge dopo il 2026, non saranno più disponibili), l’’Italia deve attrezzarsi per far camminare progetti pilota, laboratori, start-up, Università ed Enti pubblici e privati con le proprie gambe trovando anche una soluzione ai tanti contratti a termine attivati grazie ai fondi Ue che a breve non saranno più disponibili in quanto non strutturali per le assunzioni.
Secondo i dati pubblicati di recente della quinta quinta relazione sulla ricerca e l’innovazione in Italia redatta dal Cnr sarebbe a rischio anche la tenuta della ricerca universitaria e sicuramente senza interventi centrali ne risentirà l’attrattività delle istituzioni scientifiche italiane allontanando l’Accademia dal mondo del lavoro. Anche i brevetti risentono di questo scenario e sono sempre più concentrati nelle aree tradizionali disegnando uno scenario fatto di luci e ombre della ricerca italiana al guado cruciale del passaggio oltre la soglia del sostegno del Pnrr sia a livello universitario che in enti privati.
Il quadro disegnato dal documento del Cnr rimanda a un’Italia a più velocità nel campo della ricerca. Il nostro Paese è diventato infatti più efficiente nella capacità di intercettare i bandi europei per i ricercatori dell’Erc ma non attrae a sufficienza figure senior e i divari territoriali restano una palla al piede sebbene l’area della Campania al Sud e anche la Puglia abbiano fatto registrare un certo fermento. L’Italia si è difesa poi bene nei brevetti legati all’industria manifatturiera mentre fanno peggio le tecnologie emergenti. Uno dei nodi irrisolti è la programmazione del post Piano di ripresa e resilienza con il suo termine, fine 2026, sempre più vicino.
Gli effetti sistemici delle misure del Pnrr (sottomissione 2 della Missione 4) “Dalla ricerca all’impresa”, a maggio 2025 ha rendicontato il 44% degli 8,5 miliardi a disposizione per favorire il trasferimento tecnologico tra università, enti di ricerca e imprese. Ben Il 60% dei fondi è stato però assorbito dal personale (oltre 12.000 nuovi ricercatori assunti, il 47% dei quali donne) che non potrà però rimanere in servizio ed essere stabilizzato a partire dal 2027. data l’assenza di misure strutturali per garantire la continuità occupazionale e il consolidamento dei risultati raggiunti, e per la debole domanda di competenze elevate da parte dell’industria nazionale. Anche l’Accademia resta lontana dal mondo del lavoro con una spesa pubblica inferiore alla media europea, un corpo docente anziano, un basso numero di laureati e una scarsa attrattività internazionale. Senza dimenticare i nodi della denatalità e del calo demografico e la tendenza dei giovani più brillanti ad emigrare.
Su abilitazione scientifica nazionale (Asn) e valutazione della qualità della ricerca (Vqr) c’è un Ddl all’esame della Camera che riforma la prima e il regolamento sulla riorganizzazione dell’Agenzia di valutazione Anvur. Dall’analisi dei brevetti registrati negli Usa nel periodo 2002-2022, l’Italia si colloca in una posizione intermedia nella competizione tecnologica globale. A fronte di una solida presenza nei settori manifatturieri tradizionali (meccanica, trasporti, ingegneria industriale) il nostro Paese rimane in ritardo nelle tecnologie emergenti (digitale, biotech, Ia) con un buon risultato sulla ricerca inerente le materie della biologia molecolare e biologia di base e applicata.
Il disegno di legge per il 2026 sulla ricerca apre uno spiraglio Ma i fondi sono insufficienti e rischiano di vanificare ogni serio progetto di riforma
Il Bilancio 2026, approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 17 ottobre, presentato in Senato il 30 ottobre, all’articolo 107, (Università e ricerca) prevede un Piano triennale e l’istituzione di un Fondo unico per la programmazione della ricerca (FPR). Se la programmazione è un chiaro strumento innovativo il Piatto piange e le risorse sono ammontano appena a 150 milioni di euro da destinare al finanziamento dei bandi per Progetti di Rilevante Interesse Nazionale (PRIN) a decorrere dall’anno 2026 (per confronto, l’ultimo bando PRIN del 2022 è stato di 749 milioni di euro complessivi). PRIN su cui piccoli e grandi gruppi di ricerca e giovani studiosi hanno potuto sviluppare molte idee idee innovative e consolidare collaborazioni scientifiche europee e internazionali e necessari a garantire i contratti e incarichi ai molti giovani talenti della ricerca Quindi la
garanzia di fondi stabili e bandi annuali per i PRIN chiesti a gran voce dall’inizio dell’anno dal mondo della ricerca e dalla senatrice a vita Elena Cattaneo con una mozione sostenuta da una lettera-appello, pubblicata su Scienza in Rete, che in poche ore ha raggiunto oltre 5 mila firme di studiosi, ricercatori, scienziati, tra cui il Premio Nobel Giorgio Parisi e il Professor Silvio Garattini (mozione poi approvata all’unanimità) ha poi però partorito un topolino.
La grande fame di ricerca e il talento di tanti brillanti ricercatori giovani e meno giovani deve ora insomma fare i conti con una borsa vuota anche a fronte della distrazione di risorse su altre poste. La senatrice Cattaneo, in una prima versione della mozione, aveva quantificato in 350 milioni di euro la somma annuale minima da destinare ai PRIN: servono insomma 200 milioni a garantire la sostenibilità dell’ecosistema della ricerca in Italia costruito anche durante questi anni di spinta del Pnrr. Sarebbe un peccato sprecare questa occasione epocale per rendere strutturali le punte di eccellenza raggiunte in tutti i settori della ricerca pubblica avanzata e la perdita di una chance chiave di contare di più negli scenari internazionali in rapida evoluzione tecnologica
e per avvicinare il tasso di successo dei progetti proposti dai ricercatori italiani a quello dei bandi europei. Secondo stime attendibili mancano poi solo 36 milioni alla soglia minima di sopravvivenza del sistema della ricerca da investire sui PRIN (almeno 216 milioni l’anno) che sembravano a portata di mano nel Bilancio se si pensa alle dichiarazioni rese a metà ottobre in Senato nel corso degli Stati generali della ricerca medico-scientifica, un evento che ha riunito istituzioni, mondo accademico, comunità scientifica e rappresentanti del settore sanitario per discutere il futuro della ricerca in Italia.
Dichiarazioni d’intenti, promesse, parole a cui però ora devono conseguire evidenze empiriche, fatti e risorse certe considerando queste ultime non una spesa ma un investimento strategico per la crescita economica e sociale del Paese.





