Il report Agenas pone sfide complesse e da approfondire
Ricoveri ospedalieri, grandi differenze nei costi lungo lo Stivale quelli certificati da Agenas che, nel suo rapporto relativo al 2023, mostra forti disparità nei costi dei ricoveri tra Nord e Sud che apparentemente non possono essere giustificati dalla complessità dei casi trattati. Come si evince dalla tabelle analizzando i costi medi per giornata di degenza pesata per complessità nelle aziende ospedaliero universitarie, la Vanvitelli di Napoli risulta la più costosa con 1.399 auro al giorno di media per ciascun ricovero seguita dal Giaccone di Palermo (889 euro) e dalla Federico II (731 euro). Al contrario le strutture meno costose sono tutte nelle regioni del Nord. Il San Matteo di Pavia (400 euro), il San Luigi Gonzaga di Torino (425 euro) e l’azienda di Padova (457 euro). Anche nelle aziende ospedaliere non universitarie si riscontra la stessa tendenza: il Papardo di Messina costa 1.031,6 euro giornalieri, seguito dal san Pio di Benevento (915,3 euro) e dal San Giovanni Addolorata di Roma (734,7 euro). Sul versante opposto il Mauriziano di Torin si ferma a 509, il Santa Maria di Terni a 493 euro e il Santa Croce e Carle di Cuneo risulta il più economico con 413 euro al giorno. Le differenze sono rilevanti anche all’interno della stessa città: a Napoli la Vanvitelli infatti costa quasi il doppio della Federico II (1.399 contro 731) nonostante la vicinanza geografica. Sebbene i pazienti non paghino direttamente di tasca propria questi costi gravano sui bilanci pubblici e quindi anche sulle tasche dei contribuenti. Le possibili cause di questa disparità? Sono complesse da decifrare e includono probabilmente costi fissi strutturali più alti al sud anche se in termini di personale la Campania ha ad esempio la minore dotazione del paese per 10 mila abitanti. Magari contano le strutture obsolete, sovradimensionate o poco utilizzate? Spiegazioni che però non reggono differenze così marcate che in alcuni casi arrivano al triplo l’una dell’altra come abbiamo visto per la Vanvitelli.
La premessa da cui partire è che i dati Agenas tengono già conto della complessità clinica dei pazienti pesati e quindi l’ipotesi che al Sud curino casi più complicati e con un case mix maggiore è da scartare o non sostenibile. E allora? E’ un problema strutturale che richiede una revisione del sistema? Poiché il sud in questo caso potrebbe sprecare risorse o il Nord operare con risorse eccessivamente ristrette.
Potrebbe essere una questione di capacità gestionale unita al fatto che al Sud si lavori su un binario di spesa storica eccessiva e mai veramente sottoposta a revisione? Non sarebbe accettabile per il sistema sanitario nel suo complesso. Sarebbe comunque utile arrivare a dei costi standard, magari con un minimo di elasticità e un po’ di tempo per adeguarsi indipendentemente dell’autonomia e dalla regionalizzazione.
I temi sono due: la spesa per unità di ricovero o prestazione ambulatoriale poco controllata (ai fini dalla razionalizzazione dei costi) oppure la bassa produzione (ricoveri o ambulatoriale) per unità di spesa (in questo caso si potrebbero aumentare i ricavi) e in questo caso il calcolo dei costi standard potrebbe dare una spinta alla diminuzione dei primi o aumento dei secondi.
Ma forse ci sono anche altri aspetti contingenti da considerare: i due policlinici napoletani hanno un problema particolare, provengono da un modello a gestione diretta dell’Università che solo con i recenti (un anno fa) protocolli di intesa con la Regione si sta provando a superare, andando verso il modello unico di azienda integrata con il Servizio sanitario regionale. il Ruggi di Salerno ad esempio è già un’azienda ospedaliera universitaria da anni più simile a quelle del resto del Paese. La Vanvitelli, poi, è quella dove la presenza e la gestione diretta della Università (rispetto anche a Federico II) è stata storicamente ancora più pronunciata.
In generale, però, anche per quanto riguarda le aziende ospedaliere non universitarie, bisognerebbe decifrare il calcolo dei costi. Prendere il totale costi da conto economico e dividerlo per i dati di produzione ospedaliera pesata per la complessità non considera lo squilibrio di fondo tra Asl e Aziende ospedaliere spesso in alcune regioni segnatamente in Campania caricate di costi maggiorati per la carenza cronica di assistenza territoriale. Quello che nelle regioni del Nord si fa nelle Asl al Sud spesso e volentieri si eroga, colpevolmente e inappropriatamente, nelle aziende ospedaliere. E allora il nodo da sciogliere è la ripartizione delle attività tra Asl e territorio e aziende ospedaliere.
Non si spiegherebbe altrimenti il costo pro-capite più basso di tutte le regioni di Italia in Campania (con la minora quota procapite di accesso al Fondo sanitario nazionale) e, al contempo, insieme a Lombardia, Veneto e Marche l’essere collocata la Campania tra le pochissime regioni in equilibrio economico-finanziario strutturale e continuativo dal 2013 al 2024. Il costo unitario porrebbe la Campania irrimediabilmente in disavanzo, cosa che invece non è. L’analisi dei dati è dunque complessa, interessante e da approfondire alla luce di flussi di informazioni che comprendano altri parametri ed aspetti che la fotografia dell’Agenas allo stato non prende in considerazione.
Un tema sicuramente complicato e da approfondire, soprattutto per capire e non giudicare (cosa molto difficile in Italia dove lo sport nazionale è quello delle classifiche). Molto interessante e leggere la metodologia utilizzata almeno per alcuni indicatori. Un’occasione come momento di verifica in ogni azienda sanitaria per consentire ai direttori generali di correggere la rotta.

