Per salvare il Servizio sanitario pubblico non c’è dubbio che per prima cosa sia indispensabile adeguare il finanziamento del sistema in relazione al Pil almeno alla media dei Paesi Ocse. Nemmeno questo, tuttavia, basterebbe se non si cambia approccio
Secondo l’ultimo rapporto FNOMCeO-Censis, il Servizio sanitario, infatti, non è minacciato solo da risorse insufficienti, ma anche dall’approccio aziendalista che fa prevalere i vincoli di bilancio su criteri di valutazione basati sulla necessità e l’appropriatezza delle prestazioni per la salute dei cittadini.
La Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri ha voluto presentare il documento la scorsa settimana a Roma nell’ambito di un evento il cui titolo è esplicativo: “’Dall’economia al primato della persona”. E in una nota la Federazione aggiunge: “Le diffuse esperienze degli italiani di liste di attesa molto lunghe per l’accesso a prestazioni sanitarie nelle strutture pubbliche o del privato accreditato, e il relativo inevitabile ricorso al privato puro per accorciare i tempi di accesso, o anche quelle in strutture e servizi intasati e non in linea con gli standard attesi di qualità, hanno reso drammaticamente attuale l’urgenza sociale di un diverso approccio alla sanità”.
L’aumento del fabbisogno (legato soprattutto – ma non solo – all’invecchiamento della popolazione) cui corrisponde, invece che un potenziamento, un definanziamento del sistema, associato alla priorità del bilancio sui bisogni dei pazienti comporta inevitabilmente un aumento della spesa “out-of-pocket” da parte delle famiglie. Ciò compromette così uno dei principi fondamentale del sistema sanitario italiano, quella base di universalità che dovrebbe garantire a ciascuno le prestazioni necessarie, indipendentemente dalle sue possibilità.