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Shutdown negli Usa, cure domiciliari ferme al palo: si torna giocoforza agli ospedali tradizionali

Occhi puntati sul bilancio federale americano, la “coperta corta” costringe a ridimensionare i programmi Hospital at Home e Telemedicina.

Lo shutdown del governo federale statunitense, scattato il 1° ottobre per la mancata approvazione del bilancio da parte del Congresso, sta avendo conseguenze immediate per milioni di cittadini, in particolare anziani e persone con mobilità ridotta. Lo shutdown è la sospensione parziale di attività considerate non essenziali, congiuntura che si verifica quando in seno al Congresso viene meno l’accordo sul finanziamento di determinati capitoli di spesa. In questo caso, la coperta corta si ripercuote su specifiche voci del servizio sanitario, con sospensione o ridimensionamento di programmi cruciali, quali la telemedicina e l’ospedale domiciliare.

Due iniziative chiave, in particolare, sono state colpite: (1) Telehealth Medicare, che durante la pandemia aveva introdotto flessibilità per permettere visite specialistiche da remoto, con il paziente a casa e (2) Acute Hospital Care at Home, un programma che consentiva agli ospedali certificati di fornire assistenza per acuti direttamente a domicilio, con standard equivalenti a quelli ospedalieri.

Medicare è il programma federale di assicurazione sanitaria per gli over 65 e per alcune categorie di persone con disabilità. Con lo stop ai finanziamenti, milioni di beneficiari hanno perso l’accesso a servizi di telemedicina, soprattutto in aree urbane e tra chi ha difficoltà a spostarsi. I pazienti che ricevevano cure ospedaliere a casa sono in dimissione o rimandati nei reparti di degenza tradizionali, con tutte le conseguenze del caso. Acute Care Hospital at Home era stata finanziata solo fino al termine del 30 settembre, il che significa che saranno necessarie ulteriori misure legislative se si vogliono tenere in piedi le tipologie di servizi che rientrano nel modello del virtual hospital. Negli States entrambi i partiti, democratici e repubblicani, avevano proposto una ulteriore proroga, cioè di estendere le coperture almeno fino a novembre, ma nessuna proposta ha ottenuto il consenso necessario. Le organizzazioni socioassistenziali stanno ora facendo pressione sul Congresso e sul Presidente Trump per ripristinare le flessibilità e garantire rimborsi retroattivi.

Secondo l’American Telemedicine Association, il rischio è che si verifichi un aumento dei costi per gli ospedali, ritardi nelle cure e peggioramento degli esiti clinici. Il programma “Hospital at Home”, avviato in forma sperimentale prima del 2020, aveva dimostrato benefici concreti: riduzione delle complicanze, maggiore soddisfazione dei pazienti, costi inferiori. Durante la pandemia, il governo aveva introdotto deroghe temporanee per renderlo operativo su larga scala. Oggi, il suo futuro è appeso a un filo.

E in Italia? Il modello “ospedale a domicilio” esiste, ma in forma sperimentale o frammentata. La Lombardia ha avviato progetti pilota con monitoraggio da remoto e visite domiciliari. Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana e Veneto hanno sperimentato integrazioni con telemedicina e assistenza infermieristica. A livello nazionale, il PNRR prevede investimenti per potenziare l’assistenza domiciliare, integrandola con Case di Comunità e Centrali Operative Territoriali. Il Ministero della Salute sta individuando linee guida per definire criteri e standard operativi. In teoria il modello italiano prevede: (1) Valutazione clinica per stabilire l’idoneità del paziente. (2) Monitoraggio remoto con dispositivi digitali. (3) Visite domiciliari svolte da medici e infermieri. (4) Diagnostica e terapie a domicilio. (5) Integrazione con servizi sociali e familiari.

Esistono già da anni, per la verità, protocolli attivi come l’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI), l’Assistenza Domiciliare Programmata (ADP) e le Cure Palliative Domiciliari. Per accedervi, è necessario che il medico di famiglia metta in moto la procedura presso l’Azienda sanitaria territoriale. Ma l’ospedale virtuale propriamente detto è un’altra cosa, si sfruttano le tecnologie, i costi si abbattono, i tempi del personale sanitario vengono ottimizzati. Ora il caso americano dimostra quanto sia fragile l’equilibrio tra innovazione e sostenibilità. E quanto, in Italia, sia necessaria una strategia nazionale per estendere il modello di cure domiciliari, strutturandolo in modo che possa essere applicato su larga scala, raggiungendo un numero sempre maggiore di pazienti, applicazioni e territori, senza perdere efficacia, qualità o sostenibilità, facendo in modo che tutti i referti possano confluire nel fascicolo sanitario elettronico e siano facilmente consultabili all’occorrenza. Tutto ciò implica concretamente: (i) standardizzazione: definire protocolli chiari, criteri di eleggibilità e modelli organizzativi replicabili in tutte le regioni. (ii) Infrastrutture digitali: investire in tecnologie di monitoraggio remoto, cartelle cliniche condivise, piattaforme di telemedicina. (iii) Formazione del personale: preparare medici, infermieri e operatori sanitari a gestire cure complesse a domicilio. (iv) Integrazione territoriale: collegare ospedali, medici di famiglia, servizi sociali e caregiver in un sistema coordinato. (v) Finanziamenti stabili: garantire risorse economiche continuative, non solo sperimentali o legate a progetti temporanei. (vi) Equità geografica: assicurare che il servizio sia disponibile anche in aree rurali o meno servite, evitando disparità regionali. In sintesi, significa passare da iniziative isolate o sporadiche a un modello nazionale strutturato, accessibile e sostenibile, capace di rispondere alle esigenze di una popolazione sempre più anziana e con patologie croniche.

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