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Suicidio medicalmente assistito fra pronunce giurisprudenziali e vuoto normativo

di Alessandra Carimati*

Con la sentenza n. 242/2019 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 c.p., nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che la medesima reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli.
Ciò, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente.
Con tale sentenza, anticipata dall’ordinanza 207 del 2018, è stato, dunque, introdotto nel territorio nazionale la possibilità di accedere al suicidio medicalmente assistito, procedura in base alla quale un terzo fornisce al paziente un supporto per consentirgli di porre fine alla propria vita.
Le condizioni delineate dalla predetta sentenza per l’accesso al suicidio medicalmente assistito sono sostanzialmente quattro, le quali devono sussistere congiuntamente e, precisamente:
a) la persona che domanda il suicidio medicalmente assistito deve essere affetta da una patologia irreversibile;
b) tale patologia deve essere fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che la persona che ne è affetta ritiene assolutamente intollerabili;
c) la persona affetta dalla sopra indicata patologia è tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale;
d) la persona affetta dalla sopra indicata patologia deve essere capace di prendere decisioni libere e consapevi.
Accanto a tali requisiti si pongono, poi, quelli procedurali, rappresentati dal fatto che le suddette condizioni e le modalità di esecuzione vengano verificate, nell’ambito della “procedura medicalizzata” di cui alla Legge 219 del 2017, da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente.
L’iter giurisprudenziale, iniziato con la sentenza del 2019, è proseguito e, recentemente, sono intervenute due importanti pronunce della Corte Costituzionale, che meglio definiscono il quadro per poter accedere al suicidio medicalmente assistito.
In particolare, con la sentenza n. 135 del 2024 la Corte ha dettagliato il concetto di “trattamenti di sostegno vitale”, precisando che in tale nozione devono essere ricomprese tutte quelle procedure che si rivelino, in concreto, necessarie ad assicurare l’espletamento di funzioni vitali del paziente, al punto che la loro omissione o interruzione ne determinerebbe prevedibilmente la morte in un breve lasso di tempo.
In tale accezione, dunque, possono essere ricomprese anche procedure quali l’evacuazione manuale dell’intestino del paziente, l’inserimento di cateteri urinari o l’aspirazione del muco dalle vie bronchiali, trattamenti che, prima dei chiarimenti della Corte, ponevano dubbi circa la possibile inclusione nel concetto di “trattamenti di sostegno vitale” e che, ora, invece, devono essere considerati al pari dell’alimentazione o della ventilazione artificiali o di terapie farmacologiche salvavita.

Con la recente sentenza n. 66 del 2025, la Corte Costituzionale ha, inoltre, effettuato un’ulteriore e significativa precisazione in ordine ai requisiti che debbono sussistere per l’ammissione al suicidio assistito.
In detta sentenza, richiamando principi già anticipati nella precedente pronuncia del 2024, la Corte afferma che non vi può essere distinzione tra la situazione del paziente già sottoposto a trattamenti di sostegno vitale, di cui può pretendere l’interruzione, e quella del paziente che, per sopravvivere, necessiti, in base a valutazione medica, dell’attivazione di simili trattamenti.
Di conseguenza, nella misura in cui sussista una indicazione medica di necessità dell’attivazione di un trattamento di sostegno vitale, il paziente può rifiutarlo e, comunque, accedere al suicidio assistito, ferma la sussistenza di tutti gli altri requisiti sostanziali e procedurali indicati dalla sentenza n. 242 del 2019.
All’evoluzione giurisprudenziale sopra esposta si contrappone, a livello legislativo, un grande vuoto normativo.
Diversi progetti di legge sono stati presentati per regolamentare la materia, ma finora nessuno ha ottenuto l’approvazione del Parlamento e, ad oggi, non vi è una normativa nazionale che disciplini il suicidio medicalmente assistito, creando gravi incertezze, sia per i pazienti che per gli operatori del settore sanitario.
A livello regionale, invece, una prima iniziativa normativa è stata assunta dalla Regione Toscana con la Legge n. 16 del 2025, contenente le «Modalità organizzative per l’attuazione delle sentenze della Corte Costituzionale n. 242/2019 e n. 135/2024».
Detta normativa ha lo scopo di fornire un iter regolamentato ed uniforme per l’ammissione al fine vita, dettando i ruoli, le modalità esecutive, i tempi e le condizioni per l’accesso ad una morte volontaria.
Tale normativa è stata, tuttavia, impugnata su delibera del Consiglio dei Ministri, che eccepisce, in particolare, una lesione della competenza esclusiva dello Stato e di riparto di competenze.
L’obiettivo di giungere ad una regolamentazione chiara ed unitaria a livello nazionale, sebbene richiesta da più fronti, pare, dunque, ancora lontano.
La stessa Chiesa Cattolica, pur ribadendo la sacralità della vita umana e il proprio no al suicidio assistito, ha affermato l’opportunità di un intervento del legislatore nazionale, anche per evitare derive.
In questo complesso quadro non si può, pertanto, che aderire all’auspicio, più volte espresso dalla Corte Costituzionale, che il legislatore e il servizio sanitario nazionale intervengano prontamente ad assicurare la concreta e puntuale attuazione di quanto stabilito dalla sentenza n. 242, ormai sei anni fa, così da fornire finalmente risposte chiare ed univoche, in primis, a tutela dei diritti del malato.

*Counsel di A&A – Albè e Associati

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