Da un lato si segnala la previsione di un’impennata di casi di cancro, dall’altro l’ipotesi che l’incremento nei giovani sia dovuto a sovradiagnosi. Due analisi recenti, una sola domanda: cosa sta davvero accadendo?
L’incidenza dei tumori nel mondo è davvero in aumento? La risposta, come spesso accade in medicina, non è univoca. Dipende da cosa si misura, da quali popolazioni si osservano e da quali tumori si prendono in considerazione. A distanza di pochi giorni, due studi scientifici di rilievo internazionale hanno offerto letture apparentemente contraddittorie del fenomeno globale, alimentando un dibattito che merita un approfondimento.
La prima analisi, pubblicata sulla rivista The Lancet e frutto del lavoro del consorzio internazionale Global Burden of Disease Study Cancer Collaborators avverte che da qui al 2050, il numero annuo di nuovi casi di cancro passerà da 18,5 a oltre 30 milioni, con un incremento del 61%. I decessi, nello stesso arco di tempo, saliranno del 75%, passando da 10,4 a 18,6 milioni. A determinare questa crescita, secondo le proiezioni, sono tre fattori principali: l’aumento della popolazione mondiale, il progressivo invecchiamento e la diffusione di comportamenti (stili di vita e contesto ambientale) che potranno favorire l’insorgenza delle neoplasie.
“Il cancro contribuisce in maniera importante al carico di malattia a livello globale e il nostro studio evidenzia come si preveda una crescita sostanziale nei prossimi decenni, che interesserà in maniera sproporzionata i Paesi con risorse limitate”, ha dichiarato Lisa Force, autrice principale dello studio e docente all’Università di Washington. I dati storici confermano la tendenza: tra il 1990 e il 2023, il numero di casi diagnosticati è più che raddoppiato, mentre i decessi sono aumentati del 74%. Le neoplasie più temibili restano quelle del polmone, del colon, dello stomaco, del seno e dell’esofago.
Il quadro in prospettiva, se non cambiano le cose, è preoccupante: oltre la metà dei nuovi casi di tumore e due terzi dei decessi si verificheranno nei Paesi a basso e medio reddito. “L’aumento del cancro in queste aree appare imminente”, ha affermato Meghnath Dhimal del Nepal Health Research Council. Eppure, secondo gli autori, esistono interventi economicamente vantaggiosi, capaci di prevenire milioni di esiti infausti. Lo studio evidenzia che il 42% dei decessi per cancro nel 2023 era attribuibile a 44 fattori di rischio modificabili, con il consumo di tabacco in testa (responsabile del 21% dei decessi), seguito da dieta scorretta, alcol, inquinamento, obesità e comportamenti sessuali a rischio.
A questa visione globale e allarmante fa da contraltare uno studio recente, pubblicato su Jama Internal Medicine e condotto alla Harvard Medical School di Boston, che invita alla cautela nell’interpretare i dati relativi al prevedibile aumento dei tumori a esordio precoce, cioè quelli diagnosticati nei giovani adulti sotto i 50 anni. Secondo gli autori, l’incremento dell’incidenza potrebbe essere in larga parte spiegato da un fenomeno noto come “eccesso di procedure diagnostiche” o sovradiagnosi: un dato che non corrisponde necessariamente a un aumento reale della malattia clinicamente significativa.
Lo studio ha analizzato la mortalità per otto tipi di tumore (tra cui tiroide, rene, intestino tenue, colon-retto, endometrio, pancreas e mieloma), tipologie di cancro che negli ultimi 30 anni hanno mostrato un forte aumento di incidenza negli under-50. Il risultato? La mortalità è rimasta stabile per la maggior parte di questi tumori, con solo il colon-retto e l’endometrio che mostrano un lieve incremento. “La mortalità è l’unico indicatore che rende l’idea del carico di malattia rappresentato da un tumore”, sottolineano gli autori.
Il trend, spiegano, potrebbe essere dovuto a una maggiore capacità diagnostica, all’uso più diffuso di test di imaging e endoscopia, alla rilevazione di lesioni sempre più piccole e all’adozione di soglie diagnostiche più basse. In alcuni casi, come per il tumore della tiroide e del rene, l’eccesso diagnostico è già stato ben documentato. Per altri, la diagnosi accidentale durante esami per altri motivi può spiegare l’aumento apparente.
Sebbene una piccola parte dell’incremento dei tumori giovanili sia probabilmente clinicamente rilevante, gli autori ritengono che il fenomeno sia circoscritto a poche sedi anatomiche. “Gran parte dell’aumento sembra riflettere un maggiore controllo diagnostico”, avvertono.
Il confronto tra i due studi evidenzia quanto sia importante analizzare i dati con rigore e contestualizzare le informazioni. Da un lato, l’aumento globale dei tumori è reale e preoccupante, soprattutto nei Paesi con sistemi sanitari fragili. Dall’altro, l’apparente epidemia tra i giovani potrebbe essere in parte il frutto di una medicina sempre più precisa, ma anche più incline a etichettare come “cancro” lesioni che in passato sarebbero rimaste silenti.
In conclusione, la domanda iniziale – l’incidenza dei tumori è in aumento, sì o no? – trova una risposta articolata. Sì, se si guarda al mondo nel suo complesso e ai trend demografici. Ma no, o almeno non del tutto, se si analizzano con attenzione i dati sui tumori giovanili e si considera il ruolo della diagnostica. Come sempre, in medicina, è fondamentale ascoltare tutte le voci e non fermarsi alla prima versione. Solo così si evita di prendere cantonate.





