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Una sola dose di psilocibina allevia depressione e ansia nei pazienti oncologici

Secondo lo studio, gli effetti positivi su depressione e ansia si mantengono nel tempo in circa la metà dei pazienti oncologici trattati con psilocibina e supporto psicologico

Una singola somministrazione di 25 mg di psilocibina, associata a un percorso terapeutico guidato da uno psicoterapeuta, ha prodotto miglioramenti clinicamente rilevanti e prolungati nei sintomi di depressione e ansia in persone con tumore. È quanto emerge da uno studio di fase 2 pubblicato sulla rivista CANCER, edita da Wiley per l’American Cancer Society, che ha monitorato l’andamento dei sintomi fino a due anni dopo il trattamento.

Fino a un quarto dei pazienti oncologici sviluppa un disturbo depressivo maggiore, una condizione che può compromettere la qualità della vita, ridurre l’aderenza alle terapie e persino influenzare la sopravvivenza. Gli antidepressivi comunemente prescritti, come gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), mostrano tassi di risposta relativamente bassi in questa popolazione, oscillando tra il 20 e il 30%. Questo scenario spiega l’interesse crescente verso approcci terapeutici alternativi, in grado di offrire benefici anche laddove le terapie convenzionali risultano insufficienti.

La psilocibina è un composto psichedelico naturale presente in diverse specie di funghi del genere Psilocybe. Nell’organismo, viene convertita in psilocina, una molecola attiva che si lega al recettore serotoninergico 5-HT2A. Questo recettore è coinvolto nella regolazione dell’umore, della percezione e della coscienza di sé. Oltre agli effetti acuti durante l’assunzione, la psilocibina sembra promuovere la neuroplasticità, cioè la capacità del cervello di riorganizzare le sue connessioni, un meccanismo potenzialmente utile nel trattamento della depressione. Nel 2019, la Food and Drug Administration statunitense ha riconosciuto alla psilocibina lo status di “breakthrough therapy” per la depressione resistente, accelerando così il percorso di ricerca e approvazione.

Lo studio è stato condotto da Manish Agrawal e dal suo team presso Sunstone Therapies, a Rockville, nel Maryland. Ha coinvolto 30 pazienti adulti affetti da neoplasie solide o ematologiche, tutti con diagnosi di disturbo depressivo maggiore. Ventotto partecipanti hanno completato il follow-up a 24 mesi. Il trattamento è stato eseguito in un contesto oncologico “community-based”, ovvero un centro non universitario ma radicato nel territorio, a conferma della fattibilità in ambiti clinici reali.

Il protocollo si è articolato in tre fasi principali: una preparazione psicologica iniziale, con alcuni colloqui per inquadrare le aspettative e costruire un’alleanza terapeutica; la sessione con psilocibina, in cui la dose da 25 mg è stata somministrata in un ambiente controllato, con due terapeuti presenti, cuffie musicali e mascherina per gli occhi per favorire un’esperienza interiore; e infine una fase di integrazione post-trattamento, con incontri dedicati all’elaborazione dell’esperienza e all’identificazione di strategie di adattamento.

L’efficacia è stata valutata tramite due scale cliniche standardizzate: la Montgomery-Åsberg Depression Rating Scale (MADRS), per i sintomi depressivi, e la Hamilton Anxiety Rating Scale (HAM-A), per l’ansia. In genere, una variazione di 6-8 punti in queste scale è considerata clinicamente significativa.

Dopo due anni, 15 dei 28 pazienti (53,6%) hanno registrato una riduzione significativa della depressione, con un miglioramento medio di 15 punti sulla scala MADRS rispetto ai valori iniziali. Quattordici persone (50%) hanno mantenuto questo miglioramento nel tempo, configurando una remissione duratura. Per quanto riguarda l’ansia, 13 partecipanti (46,4%) hanno ottenuto una riduzione significativa dei sintomi, con un miglioramento medio di 13,9 punti nella scala HAM-A. Dodici di loro (42,9%) hanno mantenuto il beneficio a lungo termine.

La tollerabilità del trattamento è risultata complessivamente buona. Gli eventi avversi riportati durante le sessioni includevano nausea lieve, momenti di ansia transitoria e un aumento della pressione sanguigna, tutti risolti spontaneamente senza interventi farmacologici. Non si sono verificati effetti collaterali gravi attribuibili alla psilocibina durante i due anni di osservazione.

Gli studi di fase 2 sono progettati per valutare la sicurezza e l’efficacia preliminare di un trattamento su un numero limitato di partecipanti, prima di procedere a sperimentazioni più ampie e controllate.

Attualmente è in corso un nuovo studio clinico randomizzato e in doppio cieco, in cui i partecipanti ricevono una o due dosi di 25 mg di psilocibina oppure un placebo attivo (la difenidramina, un antistaminico sedativo). Questo trial mira a verificare se la ripetizione del trattamento possa aumentare il numero di remissioni, mantenendo al contempo un profilo di sicurezza favorevole.

Lo studio di Agrawal presenta diversi punti di forza. Tra questi, la lunga durata del follow-up (24 mesi), piuttosto rara negli studi sulle sostanze psichedeliche, e l’integrazione strutturata del supporto psicologico, ritenuto elemento cruciale per massimizzare l’efficacia del trattamento. Tuttavia, non mancano i limiti: l’assenza di un gruppo di controllo impedisce di escludere completamente l’effetto placebo o l’impatto della psicoterapia da sola; il campione è ristretto e selezionato, con diagnosi e stadi di malattia eterogenei; e infine potrebbe esserci un bias di autoselezione, poiché chi sceglie di partecipare a uno studio psichedelico potrebbe essere più motivato o predisposto a trarne beneficio.

Se i risultati degli studi controllati in corso verranno confermati, la psilocibina, somministrata in una o due sessioni strutturate, offrirebbe una modalità di intervento profondamente diversa rispetto ai trattamenti antidepressivi tradizionali, basati su somministrazioni quotidiane prolungate. L’impiego mirato e a bassa frequenza potrebbe rispondere a esigenze specifiche di alcuni pazienti oncologici, riducendo il carico farmacologico e integrandosi in modo funzionale con il supporto psicologico.

Fino a nuova evidenza, la psilocibina resta una sostanza sperimentale, il cui impiego clinico è consentito solo all’interno di studi approvati da comitati etici e autorità regolatorie. Tuttavia, il lavoro di ricerca in corso contribuisce ad alimentare il dibattito su come ripensare la gestione della sofferenza psicologica in oncologia, integrando strumenti farmacologici innovativi con un forte sostegno psicoterapeutico.

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