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West Nile, virus migrante silenzioso: gli uccelli, le zanzare e il clima alla base del ciclo epidemico

Dai focolai nel centro-sud alla trasmissione transovarica. Esperti a confronto, tra sorveglianza animale e bonifiche territoriali

Il virus West Nile, tornato a circolare in Italia come ogni estate, mostra un volto epidemiologico in costante evoluzione. Gli uccelli migratori provenienti dall’Africa sub-sahariana continuano a essere il serbatoio primario dell’infezione, riattivando ogni anno la trasmissione virale sul territorio europeo. Ma oggi il quadro è più complesso: l’infezione coinvolge anche uccelli stanziali – corvi, cornacchie, gabbiani – capaci di infettare le zanzare, principali vettori della malattia. E mentre i focolai si espandono dal nord verso il centro-sud, si rafforza la consapevolezza che il virus non scompaia con il cambio di stagione, ma persista silenziosamente, alimentato da fattori ecologici e biologici poco controllabili.

A delineare l’andamento è stato Gianni Rezza, professore straordinario di Igiene all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, che ha sottolineato come la previsione delle dinamiche epidemiche sia ancora difficile. “Il punto è che non abbiamo dati sufficienti per capire come si muove questa infezione: bisognerebbe monitorare con precisione gli uccelli, ma non disponiamo di tracciamenti adeguati”, spiega. L’indicatore più affidabile resta la diffusione della zanzara comune (Culex) e la prevalenza di positività tra gli esemplari analizzati. “Il controllo del vettore è la cosa più importante da fare: disinfestazioni mirate, uso di zanzariere e repellenti sono misure indispensabili, anche se non sufficienti in presenza di focolai stabiliti”. E aggiunge: “La trasmissione è difficile da interrompere, e anche se a livello nazionale non c’è allarme, la sorveglianza nelle aree attive resta fondamentale, insieme al monitoraggio delle zone contigue. L’estate è ancora lunga”.

La distribuzione geografica dell’infezione sta cambiando. Storicamente localizzato nella pianura padana, il virus oggi mostra focolai emergenti nel centro-sud, con due episodi attivi segnalati tra Anzio e Latina, e un altro in Campania. Al contrario, in Emilia Romagna e nel nord Italia i casi risultano contenuti. Un andamento che conferma il carattere stagionale e mediterraneo dell’infezione: “In estate siamo un paese tropicale part-time”, osserva ironicamente Rezza.

La letalità resta entro i parametri consueti. “Identifichiamo soprattutto i casi gravi, che finiscono in ospedale, quindi il tasso può sembrare più alto”, precisa il professore. Ma i decessi sono purtroppo attesi, e rientrano nel ciclo di picco che si verifica regolarmente tra luglio e agosto, prima del calo autunnale.

A rafforzare la complessità del quadro interviene una seconda componente, ancora più insidiosa: la trasmissione transovarica del virus. A evidenziarne la rilevanza è Maurizio Ferri, coordinatore scientifico della Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva (Simevep), che spiega come le zanzare femmine infette siano in grado di trasmettere il virus direttamente alle loro uova, perpetuando il contagio anche senza l’intermediazione degli uccelli-serbatoio. “Ogni zanzara vive circa due mesi e può deporre fino a 300 uova ogni 1-2 settimane. Questo significa che anche un piccolo numero di zanzare infette può generare una moltiplicazione virale esponenziale”.

Il ciclo virale parte dagli uccelli selvatici, migratori o stanziali, asintomatici ma contagiosi. La zanzara, pungendoli, si contamina e diventa a sua volta vettore per altri animali, tra cui i cavalli, estremamente vulnerabili e spesso soggetti a sintomi neurologici gravi. Proprio il cavallo è considerato un “animale sentinella” nelle strategie di sorveglianza, inserito nei programmi di monitoraggio coordinati dagli istituti zooprofilattici e dalle ASL veterinarie.

Ma non basta. La circolazione virale si mantiene e cresce soprattutto grazie alle condizioni climatiche. “Con le temperature calde che perdurano ormai fino a novembre, il periodo riproduttivo delle zanzare si estende – avverte Ferri – e questo rende il virus autoctono, capace di sopravvivere nel territorio anche oltre la stagione estiva”.

A fronte di tutto ciò, l’unica strategia realmente efficace è la prevenzione, basata su sorveglianza veterinaria, identificazione precoce dei serbatoi animali e disinfestazione mirata dei territori. Attualmente sono impegnati centinaia di veterinari del Servizio sanitario nazionale, che operano nei luoghi teatro dei focolai recenti per prelevare campioni e analizzare la presenza virale. La sorveglianza dovrebbe essere anticipata ai mesi primaverili, dato il nuovo andamento climatico, e estesa a porti e aeroporti, dove le zanzare infette possono viaggiare insieme alle merci.

“Si tratta di un’attività cruciale”, conclude Ferri, “che consente di mappare le zone a rischio e di pianificare interventi rapidi per proteggere la salute umana.” Perché, in assenza di vaccini o farmaci specifici, l’unico antidoto al West Nile rimane una rete integrata di sorveglianza scientifica, sanitaria e ambientale, capace di intercettare la minaccia prima che diventi epidemia.

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