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Malattie cardiovascolari: pazienti curati sul territorio con il sistema “Controllo remoto”. Piemonte capofila in Italia

La pandemia Covid-19 ha acuito la necessità di gestire a livello territoriale le malattie cardiovascolari croniche come la cardiopatia ischemica cronica, i portatori di dispositivi elettronici impiantabili (pacemaker e defibrillatori) e lo scompenso cardiaco cronico.

È da molti ritenuto rilevante inoltre pensare all’ospedale come un gestore della fase acuta del processo di cura e il territorio come un luogo di controllo dove seguire i pazienti vicino al proprio domicilio e ricorrendo all’ospedale solo se presente una riacutizzazione o instabilizzazione della situazione.

Vari sono i modelli organizzativi atti a gestire questi scenari, molto diversi dal punto di vista operativo, a seconda della tipologia di argomento. Il processo diagnostico terapeutico del “Controllo remoto dei dispositivi impiantabili” rappresenta un campo nel quale la tecnologia e l’organizzazione possono contribuire a costruire un modello virtuoso che permetta la gestione territoriale di pazienti altrimenti destinati a recarsi periodicamente in ospedale.

Durante la Winter School 2022 di Pollenzo, dal titolo ‘Oltre la logica dei silos per un’offerta integrata di salute’, organizzata da Motore Sanità, in collaborazione con l’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche, evento di alto profilo in ambito sanitario questo modello è stato presentato da Massimo Giammaria, Direttore SC Cardiologia 1 Ospedale Maria Vittoria di Torino.

Ad oggi nella Cardiologia del Maria Vittoria vengono seguiti in controllo remoto circa 2.000 pazienti con soddisfazione reciproca degli operatori e dei pazienti. La Regione Piemonte ha recentemente riconosciuto la prestazione di controllo remoto garantendone una rimborsabilità e ponendosi come capofila in Italia di questo sistema organizzativo in equilibrio tra ospedale e territorio.

“Nel prossimo futuro vorremmo ulteriormente implementare il nostro servizio con le visite in telemedicina per i nostri pazienti già trattati con il controllo remoto e stiamo organizzando un tavolo di lavoro col Politecnico di Torino per studiare modelli gestionali efficienti e sicuri per questo contesto” spiega il dottor Massimo Giammaria.

Nella situazione classica, in assenza della tecnologia di controllo remoto, il controllo di un dispositivo impiantato avviene durante una visita cardiologica in ospedale, mediante un computer per controllare il pacemaker, chiamato programmatore del pacemaker. La cadenza delle visite dipende dalla complessità del dispositivo impiantato, variando da una visita all’anno per i pacemaker e a 4 visite all’anno per i defibrillatori più complessi.

Le visite sono in numero maggiore nel primo anno dell’impianto, poi si attestano tra uno e 4 controlli all’anno per poi nuovamente aumentare via via che ci si avvicini al tempo di sostituzione della batteria. Si tratta di un carico notevole considerando che in una Cardiologia come quella del Maria Vittoria, si impiantano circa 300 nuovi dispositivi all’anno che si sommano a tutti quelli impiantati negli anni precedenti e che saranno seguiti dai numerosi che verranno impiantati negli anni successivi.

“È frequente trovare sale di attesa piene di 15-20 pazienti generalmente anziani della settima e ottava decade, accompagnati da uno o più famigliari, in attesa della visita. È facile intuire come il Covid abbia sconsigliato tali assembramenti. Inoltre si tratta di pazienti fragili, sovente con difficoltà di deambulazione e con necessità di assistenza continua, e con la necessità di avvalersi di accompagnatori che sovente devono ottenere giornate di permesso da dedicare al proprio parente.

Non è inoltre da sottovalutare l’impegno del personale medico e infermieristico tanto che in molte strutture la quantità di tempo da dedicare ai controlli sta iniziando a soverchiare le capacità di gestione del servizio – prosegue il dottor Giammaria -. Il controllo remoto invece, permette di controllare i dispositivi impiantati direttamente dal domicilio del paziente evitando impegno e sovraffollamento degli ambienti ospedalieri, riducendo il rischio che durante la pandemia abbiamo imparato bene a identificare”.

I costi dell’hardware sono compresi nell’acquisto dei dispositivi impiantati, la tecnologia si basa sul percorso dell’informazione via gsm, non viene richiesta particolare interazione tecnologica al paziente. Operativamente i pazienti vengono dotati a domicilio di un dispositivo (il dispositivo di controllo remoto) in grado di interrogare in sicurezza il dispositivo impiantato sotto pelle e di trasmettere l’informazione alla piattaforma web del produttore.

“In ospedale abbiamo le credenziali per poter accedere alla piattaforma web e poter consultare le informazioni ricevute che in tutto e per tutto sono le stesse che si potrebbero ottenere nel controllo “de visu” col paziente in ospedale – prosegue Gianmaria -. La gestione di questa informazione comporta un’organizzazione del lavoro specifica e differente dalla classica organizzazione del controllo pacemaker in ospedale. Il controllo remoto comporta innanzitutto la gestione in team del paziente con forte collegamento tra medici aritmologi e infermieri specializzati.

È infatti necessaria la partecipazione di infermieri specializzati nella lettura delle informazioni e nello screening delle trasmissioni, che lavorino in squadra con i medici aritmologi che supervisionano il processo. Non è semplice implementare un modello organizzativo efficiente perché l’impegno è il controllo di tutte le trasmissioni entro 2 giorni lavorativi. Appare evidente che questo tipo di organizzazione con queste premesse non si ponga in sostituzione del 112 – Servizio di emergenza, ma rappresenti un sistema valido e sicuro per il controllo domiciliare dei dispositivi impiantati.

I controlli cosi organizzati permettono di rilevare prontamente eventuali malfunzioni dei dispositivi, la presenza di aritmie ventricolari minacciose o l’attività salvavita dei defibrillatori. Inoltre è possibile identificare la presenza di fibrillazione atriale sovente non avvertita dal paziente, che ci permette di iniziare prontamente trattamenti farmacologici atti a prevenire l’ictus cerebrale. È possibile inoltre monitorare alcuni parametri dello scompenso cardiaco per cercare di identificarne prontamente l’insorgenza e iniziare il trattamento più indicato”.

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