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Resistenza agli antibiotici: nel 2050 ci saranno fino a 10 milioni di morti all’anno per infezioni da germi antibiotico-resistenti.

Intervista al Professor Nicola Petrosillo, Infettivologo, Responsabile del Servizio Prevenzione e Controllo delle Infezioni della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma

L’antimicrobico-resistenza (AMR) non è una malattia, ma una condizione per la quale i batteri si modificano e sviluppano meccanismi che gli consentono di resistere agli effetti degli antibiotici, che in genere sono veleni per i microbi. Questo avviene sia in comunità sia, soprattutto, nelle strutture sanitarie (ospedali, case di riposo, lungodegenze). “Si tratta di un problema globale che interessa tutti i Paesi del mondo, con un impatto sulla società paragonabile a quello di influenza, tubercolosi e HIV/AIDS insieme”, precisa il Professor Nicola Petrosillo, Infettivologo, Responsabile del Servizio Prevenzione e Controllo delle Infezioni della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma.Alcuni report dichiarano che nel 2050 ci saranno fino a 10 milioni di morti all’anno per infezioni da germi antibiotico-resistenti”. 

Qual è la situazione in Italia?

“A livello di antibiotico-resistenza l’Italia è tra i paesi con i maggiori tassi di antibiotico-resistenza in Europa: la superano solo la Romania e la Grecia”, replica Petrosillo. “I numeri sono impressionati: un report redatto dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) riporta che circa la metà dei morti europei per infezioni ospedaliere da batteri resistenti agli antibiotici avviene in Italia. Il risultato finale è che, chi entra in ospedale rischia, nel 6-7 % dei casi, di contrarre una infezione ospedaliera. Come se non bastasse, molto frequentemente i germi in causa sono resistenti agli antibiotici, rendendo più difficile la terapia di queste infezioni”. 

Assumiamo troppi antibiotici

“Tra le cause che favoriscono l’evoluzione dei batteri resistenti – continua l’esperto -, rientra l’impiego scorretto dei farmaci: il 30% delle assunzioni di antibiotici in Italia sarebbe inappropriato, perché gli antibiotici vengono spesso presi per infezioni virali come influenza, raffreddore, faringite o Covid-19. Gli antibiotici non agiscono sui virus! L’automedicazione (ovvero la scelta in autonomia di assumere un farmaco) non è però l’unico responsabile delle resistenze antimicrobiche. Si può favorire la creazione di “super batteri” antibiotico-resistenti anche quando non si rispettano gli intervalli di tempo tra una dose e l’altra, non si completa la cura, si usano dosi basse perché magari le si condividono con altre persone. Essenziale dunque evitare il fai da te per gli antibiotici, che vanno prescritti e utilizzati in maniera appropriata”. 

Incide anche quello che mangiamo?

“Il fenomeno dell’antibiotico resistenza è molto complesso – risponde il professore – e riguarda non solo l’uso degli antibiotici in ospedale, ma anche l’uso degli antibiotici in agricoltura e nella zootecnia. Quindi le strategie da mettere in campo devono necessariamente essere globali, o come si dice oggi “One Health”. Da sottolineare, a tutela dei consumatori, che oggi in Italia esistono leggi severe che regolano l’uso degli antibiotici negli allevamenti animali, ma in altri Paesi non è sempre così. Se consumiamo carne, frutta e ortaggi importati da Paesi dove si fa un uso incontrollato e sconsiderato di antibiotici, il rischio effettivamente esiste. Succede la stessa cosa anche nella pescicoltura. Ci sono allevamenti di pesci dove questi vengono nutriti con antibiotici per evitare che si ammalino, scongiurando un conseguente danno economico agli allevatori. È un fenomeno molto ridotto nel nostro Paese, ma in altri continenti, es. quello asiatico, dove il controllo è minore, il rischio esiste”. 

Quanto è importante lavarsi le mani?

“Importante che vengano attuate strategie e programmi chiari e intelligenti per l’uso corretto e appropriato degli antibiotici in campo umano (in campo animale e ambientale esistono già norme di legge molto strette a riguardo)”, conclude l’infettivologo. “Occorre perciò mettere in atto misure di ottimizzazione dell’uso degli antibiotici che facciano sì che gli antibiotici vengano dati solo quando necessari, per il tempo necessario e nella maniera adeguata. Oggi è questa l’unica maniera per porre un freno, soprattutto nelle strutture sanitarie, al dilagare del fenomeno della resistenza, insieme a misure di controllo igienico-sanitario, per impedire che i germi in generale, e quelli antibiotico-resistenti in particolare, si trasmettano da un paziente all’altro. A tal fine è fondamentale il lavaggio delle mani, l’uso dei dispositivi di protezione e le misure di isolamento appropriate: ovvero tutte quelle misure di prevenzione e controllo delle infezioni che in ogni struttura assistenziale non possono e non debbono mancare”.

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