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Aggressioni ai medici, la ricetta di Filippo Anelli

Controlli agli accessi in ospedale per malati e familiari, consegna dei documenti e arresto in flagranza differita

Filippo Anelli, presidente della Federazione degli Ordini dei medici di tutte le province italiane è preoccupato per la escalation di casi di violenza esercitata ormai non solo nelle prime linee dei pronto soccorso ma anche nelle retrovie dei reparti e finanche nei presidi di guardia medica, come l’altra sera a Melito di Napoli.

Dottore Anelli, cosa sta succedendo?

“Assistiamo a una vera e propria crisi tra malati e operatori sanitari improntata alla violenza. Questi episodi che alimentano la paura e l’angoscia spingeranno sempre più i professionisti che curano le persone ad abbandonare il Servizio sanitario pubblico. L’effetto sarà la compromissione non solo della qualità e dell’universalità dell’assistenza ma anche della stabilità sociale, così importante in questo momento storico».

Quali misure bisognerebbe attuare per frenare questi casi?

“Abbiamo proposto nei mesi scorsi, e il ministro della Salute ci sta lavorando insieme al governo, di poter arrestare entro 48 ore chi, ripreso da una telecamera e quindi di fronte a prove inoppugnabili, ha commesso violenze nei confronti di un operatore sanitario”.

La legge 113, dello scorso aprile, sulla procedibilità d’ufficio anche senza querela di parte non è sufficiente?

  “Parliamo di un’ottima ottima legge ma i risultati non si vedono subito. Molti esponenti delle forze dell’ordine e anche della magistratura non applicano questa norma, la conoscono poco, non lo sanno i violenti e quindi ci vorrà tempo affinché si vedano gli effetti sul tessuto sociale diffuso”.

E l’arresto differito come agirà?

“Al primo arresto vero ci sarebbe un enorme effetto di deterrenza culturale ma servono tempi rapidi per la sua approvazione. Non c’è tempo per l’iter ordinario delle leggi parlamentari”.

Suggerite un decreto?

“Sì con una breve fase preparatoria per portare a regime la dotazione di sistemi di videosorveglianza previsti dal Pnrr che destina un investimento di 75 milioni di euro a questo scopo”.

Basterà questo adeguamento tecnologico o pensate ad altre soluzioni?

“Resta aperta la questione dell’accesso alle strutture sanitarie che oggi è libero, senza alcun controllo né verifica di documenti. Ciò ha consentito solo due sere fa a Bolzano, di accoltellare alle spalle un sanitario in servizio mentre la collega psichiatra Barbaro Capovani è stata uccisa con 57 accoltellate un anno e mezzo fa”.

Le strutture di psichiatria sono più esposte.

“Certo e anche in questo settore va considerato che non tutti i reati violenti sono frutto di malattia mentale ma solo di comportamenti e disturbi antisociali di cui l’autore di reato ha piena consapevolezza”

E quindi cosa proponete?.

“Bisogna regolamentare l’accesso alle strutture sanitarie. Abbiamo resi sicuri gli stadi, è ora di agire per la sicurezza degli ospedali e dei luoghi di lavoro del personale sanitario. Su questo tema devono lavorare gli esperti della sicurezza anche ripensando dal punto di vista edilizio le strutture di front office e gli accessi. Per ora basterebbe dover depositare i documenti alla guardiania di accompagnatori e pazienti”.  

Non si rischia di militarizzare le corsie?

“Non vogliamo avere un impatto di militarizzazione della Sanità. Ci sono gli architetti per ridisegnare gli accessi nelle strutture sanitarie senza percepire costrizioni ma la sicurezza è indispensabile. Se non creiamo le condizioni per lavorare in tranquillità la Sanità pubblica muore, si abbasserà sempre più la qualità e gli operatori migliori che hanno alternative andranno via tutti. I colleghi hanno diritto a contare su sistemi di sicurezza. E’ tempo di risolvere questo nodo negli ospedali e sul territorio”. 

E per ricucire la fiducia tra medici, operatori e malati?

“Questo è un aspetto culturale più ampio. Abbiamo chiesto al ministro di regolamentare le attività di comunicazione sulla sanità e la scienza. Durante il Covid una serie di persone sono state messe sullo stesso piano degli scienziati pur non avendone le competenze. Ognuno può esprimere le proprie opinioni ma questo aspetto va regolamentato come anche la cronaca della vita ospedaliera non può rispondere alle stesse logiche della cronaca nera”.

A cosa si riferisce esattamente?

“Al tentativo di banalizzare la ricerca scientifica, banalizzare la professione dei medici e degli altri operatori sanitari. Chi va in ospedale pretende risposte nelle modalità apprese su internet e sui social che quasi mai risponde a libere guida ed evidenze scientifiche. Serve formazione e un grande patto con tutti con i cittadini e anche con la stampa che non risponde alle logiche dei social nel comune interesse di salvaguardare il nostro interesse sistema sanitario che riesce a garantire buoni livelli di assistenza, guarire malattie nel passato incurabili, grandi avanzamenti scientifici e tecnologici. Il caos attuale invece si delegittima tutti”.

E le carenze di personale?

“La questione degli investimenti è imprescindibile. La nostra professione si basa su due pilastri: competenze scientifiche acquisite all’università e la comunicazione medico paziente considerando che nahce la legge dice che la comunicazione è un tempo di cura”

E invece?

Invece oggi i medici sono super indaffarati e il rapporto medico paziente è completamente sacrificato a favore della terapia somministrata in maniera ordinatoria e sbrigativa. Questo si traduce in un corto circuito che può fare da innesco alla violenza.  La relazione viene trascurata sacrificata. Così anche di fronte al dolore, alla paura, in pronto soccorso o in ambulatorio non si viene accolti. Parlare con i cittadini non solo è questione di etica ma anche di diritti per decidere cosa fare rispetto alle scelte possibili. Il malato resta nella sua sofferenza e solo di fronte al dramma della malattia. C’è il dovere del medico di comprendere bene il disagio. Se il medico è solo e deve curare decine di pazienti tutto questo è impossibile. Abbiamo chiesto 10 miliardi da investire. Ma c’è anche un dato culturale di fondo che riguarda l’Europa”.

Di cosa si tratta?

“Noi per la giurisprudenza europea siamo considerati imprese e dovremmo fare utili. Ci rifiutiamo: abbiamo giurato di fare il bene del paziente, abbiamo diritto alla giusta retribuzione ma la finalità del nostro lavoro non è questo”..

È fondamentale investire nella videosorveglianza, carente in molte strutture.

Cosa pensa invece dell’ipotesi del Daspo sanitario? Tre anni di cure a pagamento per chi aggredisce il personale ospedaliero.

«Io penso sia un ottimo contrappasso: chi è violento e distrugge l’ospedale, non ha più diritto alla gratuità delle visite programmabili. Gli uffici legali sollevano dubbi sulla costituzionalità di questa ipotesi perché non deve ledere il diritto alle cure per tutti. Inoltre l’iter legislativo per approvarlo sarebbe molto lungo. Quindi diciamo che per ora va bene il decreto legge sull’arresto.

E’ ora di dire basta a tutta questa violenza. Il diritto alla salute che i professionisti della salute garantiscono non può essere disgiunto dal diritto alla sicurezza. Viviamo in una società aggressiva che ha perso tanti valori. Si usa la violenza contro varie figure autorevoli, dagli insegnanti ai giudici, dalle forze dell’ordine ai sanitari. Il medico ha una crisi d’identità».

Il medico ha perso l’autorevolezza?

«Nel tempo sì. È stato un processo lento. I cittadini chiedono efficienza dalla sanità e se non la ottengono sfociano nella rabbia. Ci sono stati tagli al personale deleteri, il tetto delle assunzioni è fermo ai livelli del 2004. In più è stata sbagliata la programmazione dei posti all’università. Dieci anni fa c’erano 10mila iscritti a Medicina e 6mila posti di specializzazione. Ma in pensione ci sono andate 15mila persone. I numeri sono stati corretti solo nel 2020 con il Covid. Ma il personale è poco, i medici fanno i doppi turni, il rischio clinico aumenta. Con tutti questi problemi, i medici hanno meno tempo».

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