La Società Italiana di Neurologia commenta con favore l’approvazione del farmaco da parte del Comitato per i Medicinali dell’EMA. “È una pietra miliare, ora puntare su rete diagnostica, accesso ai biomarcatori e formazione clinica”
È l’inizio di una nuova pagina nella lotta all’Alzheimer. Con il parere positivo espresso dal Comitato per i Medicinali per Uso Umano (CHMP) dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) sul farmaco Donanemab, la medicina compie un passo decisivo verso la possibilità di rallentare la progressione dell’Alzheimer nella fase iniziale. Un momento definito storico dai neurologi, che però rilanciano: “Ora occorre un ripensamento radicale del modello italiano di presa in carico del paziente”.
Con l’approvazione da parte dell’EMA, Donanemab, terapia già autorizzata negli Stati Uniti e in Giappone, si inserisce ufficialmente nel panorama delle terapie “modificanti l’andamento della malattia” per l’Alzheimer. Una definizione che segna un cambio di paradigma, poiché non si tratta più soltanto di gestire i sintomi, ma di intervenire sul decorso.
A sottolineare l’importanza della notizia è Alessandro Padovani, Presidente della Società Italiana di Neurologia (SIN): «Siamo di fronte a una svolta: anche in Europa viene riconosciuta una terapia in grado di rallentare la progressione della patologia nei pazienti con accumulo documentato di beta-amiloide». Per Padovani, questo traguardo impone una revisione del modello assistenziale italiano, affinché la disponibilità del farmaco non si traduca in diseguaglianze di accesso. Marco Bozzali, Presidente della Società Italiana per le Demenze (SINDEM), indica tre priorità operative: rafforzare la rete della diagnosi precoce, fondamentale per intercettare i pazienti in fase iniziale, garantire un accesso omogeneo ai biomarcatori, compresi quelli plasmatici, oggi sempre più attendibili, formare i professionisti per gestire trattamenti complessi con sicurezza e appropriatezza.
L’approvazione di Donanemab rappresenta anche una validazione scientifica di lungo corso, frutto di decenni di studi sui meccanismi neuropatologici dell’Alzheimer. L’attenzione al ruolo dell’amiloide e della tau, le proteine responsabili dell’accumulo cerebrale, ha dato vita a una strategia di intervento mirata nelle fasi precoci della malattia.
I professori Padovani e Bozzali lanciano un appello congiunto: «Dobbiamo garantire che l’Italia non resti indietro. Servono investimenti nella ricerca traslazionale e nella sperimentazione clinica su scala nazionale, perché nuove molecole sono già in fase avanzata di sviluppo». I presidenti delle società scientifiche si dichiarano da subito disponibili a collaborare con AIFA, Ministero della Salute e Regioni per definire percorsi condivisi di accesso, monitoraggio e appropriatezza. L’appello dei neurologi contiene una esortazione rivolta ai decisori: «Non è più il tempo della rassegnazione: è il tempo della responsabilità e della costruzione. Donanemab non è la cura definitiva, ma è la prova che l’Alzheimer può essere rallentato».
La sfida è dunque anche organizzativa e culturale. Per trasformare la novità in una opportunità per tutti i pazienti, servono politiche lungimiranti, una rete diagnostica efficace e un’alleanza tra società scientifiche e istituzioni, capace di ridisegnare l’assistenza.





