Un maxi-studio internazionale rivela le basi genetiche del balbettio, aprendo la strada a diagnosi precoci e nuovi approcci terapeutici per oltre 400 milioni di persone nel mondo
Ci sono parole che non vogliono uscire, suoni che si inceppano, frasi che si spezzano prima di prendere vita. Per milioni di persone nel mondo, la balbuzie non è solo un disturbo del linguaggio: è una sfida quotidiana che si insinua nei dialoghi, nei rapporti sociali, persino nella propria identità. Ma dietro a queste difficoltà potrebbe esserci una mappa genetica complessa e sorprendente. E recentemente, grazie a un’imponente ricerca internazionale, questa mappa comincia a prendere forma, con la scoperta di 48 geni coinvolti nell’origine della balbuzie.
Il disturbo dell’eloquenza per antonomasia, che colpisce oltre 400 milioni di persone nel mondo, ha finalmente una traccia biologica più definita. Lo rivela uno studio pubblicato sulla rivista Nature Genetics, che ha analizzato i dati genetici di oltre un milione di individui. L’indagine, la più estesa mai condotta sulla balbuzie, è stata resa possibile grazie alla collaborazione tra diversi centri di ricerca e alla società americana 23andMe Inc., specializzata nell’analisi del DNA su larga scala.
“Questi risultati forniscono una base per ulteriori ricerche che potrebbero portare alla diagnosi precoce o a progressi terapeutici nella balbuzie”, ha dichiarato Jennifer Below, genetista e direttrice del Vanderbilt Genetics Institute del Vanderbilt University Medical Center. Il suo team ha guidato l’analisi, partendo dai dati raccolti attraverso questionari genetici a cui hanno risposto oltre 99.000 persone con esperienza di balbuzie e oltre un milione di soggetti di controllo.
Lo studio ha identificato 57 loci genomici distinti, che si mappano su 48 geni associati al rischio di balbuzie. Le firme genetiche individuate mostrano anche un’interessante differenza tra i sessi: “Le variazioni genetiche riscontrate differivano tra maschi e femmine, il che potrebbe essere correlato alla balbuzie persistente più comune nei maschi”, spiega Below. Questa discrepanza si riflette anche nell’epidemiologia del disturbo: se all’esordio tra i 2 e i 5 anni i bambini maschi e femmine sono colpiti in egual misura, in età adolescenziale e adulta il rapporto diventa 4:1 a favore dei maschi, con l’80% dei casi infantili che tende a risolversi spontaneamente.
Il percorso che ha portato a questi risultati ha richiesto anni di raccolta e analisi. Il Progetto Internazionale sulla Balbuzie (International Stuttering Project) ha contribuito con campioni di sangue e saliva da oltre 1.800 persone affette dal disturbo. Tuttavia, questo numero non era sufficiente per un’indagine genomica di ampia scala. È stata quindi fondamentale la collaborazione con 23andMe Inc., che ha permesso di ampliare l’analisi genetica e rendere lo studio statisticamente robusto.
Un altro elemento rivoluzionario dello studio è stato lo sviluppo di un punteggio di rischio poligenico, una sorta di indicatore che consente di stimare la probabilità che un individuo manifesti la balbuzie. Questo punteggio è stato applicato sia al gruppo clinico del progetto internazionale, sia a un secondo gruppo basato sull’autovalutazione (Add Health). I risultati hanno mostrato che il punteggio genetico è in grado di predire la balbuzie con buona accuratezza, aprendo nuovi scenari sia per la prevenzione sia per l’approccio terapeutico.
La balbuzie, fino a ieri considerata in gran parte frutto di fattori ambientali e psicologici, rivela dunque un fondamento biologico e genetico molto più profondo e articolato. La ricerca non promette soluzioni immediate, ma rappresenta un passo decisivo verso la comprensione del disturbo e verso l’elaborazione di strategie personalizzate di intervento. Ed è proprio da questa nuova consapevolezza, silenziosa e potente, che potrebbe iniziare la liberazione di tante voci interrotte.





