Il Pansm (Piano d’azione nazionale della salute mentale 2025-2030) presenta elementi propositivi e condivisibili, come la sottolineatura della necessità di un approccio basato sul ciclo di vita, con misure volte a promuovere la salute mentale e il benessere per tutti, la prospettiva di spostarsi dai servizi specialistici a una rete territoriale e preventiva, in un’ottica di prossimità e integrazione, ma anche l’enfasi sull’approccio bio-psico-sociale e sull’importanza dei determinanti sociali della salute mentale, andando oltre la cura della patologia. Tuttavia, le declinazioni attuative del documento sembrano discostarsi da queste declaratorie di intenti, orientandosi verso una concezione più tradizionale e medico-centrica, focalizzata sulla patologia grave piuttosto che sulla prevenzione e sulle azioni trasversali di promozione del benessere”. È quanto afferma in una nota ‘AltraPsicologia’, la più grande associazione di categoria, che rappresenta il 60% degli psicologi italiani e che esprime la guida di nove Ordini regionali (Veneto, Emilia-Romagna, Marche, Abruzzo, Lazio, Campania, Basilicata, Puglia e Sicilia) e di Enpap, l’Ente di previdenza e assistenza per gli psicologi.
“Nello spirito di collaborazione e per garantire una maggiore tutela del benessere delle persone – si spiega nella nota – auspichiamo l’apertura di un dibattito costruttivo sul documento, offrendo alcuni spunti di miglioramento, a cominciare dalla struttura del Piano, fortemente medico-centrica e orientata alla gestione della grave patologia psichiatrica. Nei dati di attività del Piano le prestazioni di tipo psicologico-psicoterapico nei servizi territoriali sono sottorappresentate (7,2%), ben al di sotto dell’attività infermieristica e psichiatrica. Un dato che evidenzia una grave carenza strutturale di personale psicologico nel SSN e di fluidità organizzativa che, oltre a generare stress per i professionisti, si traduce in un minor numero di prestazioni erogate ai cittadini”.
“Un’altra incongruenza riguarda la collocazione dello psicologo di primo livello – si legge ancora nella nota – figura già normata come Psicologo di Base in Campania e già operativa nelle Case di comunità della Regione Emilia-Romagna, che rappresenta un innovativo presidio di promozione della salute e intercettazione precoce del disagio. Le Case di comunità sono il punto di riferimento dell’assistenza territoriale ed è questa l’adeguata collocazione dello psicologo delle cure primarie, per non rallentare le procedure di accesso a un intervento che deve essere rapido e di bassa soglia e coordinato laddove necessario. Viene inoltre citato il modello di cura per la depressione ‘Stepped Care’ ma viene esclusa o marginalizza la figura dello psicologo, che è invece centrale nel modello, a favore della figura medica. Se queste incongruenze non dovessero essere riviste, le liste di attesa potrebbero aumentare, riducendo la tempestività e l’appropriatezza degli interventi e aumentando i costi farmacologici e sanitari”.
“Pur riconoscendo elementi condivisibili del Pansm – conclude AltraPsicologia – riteniamo necessaria una revisione attenta delle sue declinazioni operative, per evitare che principi corretti vengano poi disattesi nella prassi a discapito della salute dei cittadini. Per un Piano quinquennale di tale importanza e influenza è inoltre fondamentale prevedere, nella sua stesura, monitoraggio e valutazione, un coinvolgimento più attento anche della psicologia, dei professionisti che lavorano nei servizi e nelle istituzioni che li rappresentano, anche nell’ottica di valorizzare e mettere a sistema le diverse buone pratiche aziendali e regionali”.
Il Piano d’azione nazionale per la Salute mentale, 2025-2030, che il Ministero della Salute ha trasmesso a metà luglio alla Conferenza Unificata Astato Regioni – è stato analizzato, individuando i punti di forza e quelli di debolezza, da parte dell’Associazione “Altra Psicologia, Associazione nazionale di politica professionale che da anni si cui occupa di promuovere la professione psicologica, tutelare la salute psicologica della cittadinanza e che esprime la guida, ad oggi, di 9 Ordini professionali regionali (segnatamente quelli del Veneto, Emilia-Romagna, Marche, Abruzzo, Lazio, Campania, Basilicata, Puglia e Sicilia) e di Enpap (Ente nazionale di Previdenza e assistenza per gli psicologi). “In spirito di piena collaborazione e a garanzia di una maggiore tutela del benessere delle persone – scrive in una nota l’associazione – abbiamo elaborato una serie di riflessioni in attesa di un auspicato coinvolgimento della nostra associazione per contribuire a un dibattito costruttivo su un documento che consideriamo di grande rilevanza strategica”.
Al centro della proposta da tramutare in legge vi sono sei ambiti principali di intervento: dalla promozione della salute mentale alla prevenzione e cura dei disturbi, passando per l’infanzia e l’adolescenza, l’ambito penale e forense, la gestione del rischio clinico, l’integrazione tra servizi sanitari e sociali, e infine la formazione e la ricerca.
“L’introduzione del Piano è, a nostro avviso, un punto di forza – spiega l’Associazione – riconosciamo e apprezziamo la sottolineatura della necessità di un approccio basato sul ciclo di vita, con misure volte a promuovere la salute mentale e il benessere per tutti. La prospettiva di spostarsi dai servizi specialistici a una rete territoriale e preventiva, in un’ottica di prossimità e integrazione, è pienamente in linea con le esigenze emerse durante la pandemia. L’enfasi sull’approccio bio-psico-sociale e sull’importanza dei determinanti sociali della salute mentale, e non solo sulla cura della patologia, rappresenta un cambio di paradigma molto importante”. Apprezzata dunque anche l’importanza della valutazione di esito e di processo come elementi fondamentali delle buone pratiche cliniche: “Aspetti questi che come Associazione e negli Enti amministrati sosteniamo fortemente”.
Dito puntato, tuttavia, sugli sviluppi e declinazioni del documento ministeriale che “sembrano discostarsi da questi presupposti, orientandosi verso una concezione più tradizionale e medico-centrica, focalizzata sulla patologia grave piuttosto che sulla prevenzione e sulle azioni trasversali di promozione del benessere”. Al di là delle premesse che sembrano ribadire questa esigenza gli psicologi rilevano che nonostante nell’introduzione del Piano si sottolinei la “necessità di un approccio basato sul corso della vita e l’attuazione di misure volte a promuovere la salute mentale e il benessere per tutti, al fine di prevenire problemi di salute mentale, garantire un’assistenza sanitaria adeguata e integrata e attuare strategie di promozione e prevenzione anche rafforzando i sistemi informativi, la formazione e la ricerca” (pag. 11), facendo riferimento al DM 77/2022 “che supera il modello per singolo servizio e favorisce un approccio multidisciplinare, integrato e centrato sulla persona” (p. 22), nelle pagine a seguire ci sono alcune criticità e incongruenze, che rischiano di indebolire l’efficacia e snaturare gli obiettivi del Piano”.
Contraddizione tra principi ispiratori e struttura organizzativa
L’introduzione del PANSM si focalizza su benessere, prevenzione, integrazione sociosanitaria e prossimità. Tuttavia nei capitoli operativi la struttura del Piano appare fortemente medico-centrica e orientata alla gestione della grave patologia psichiatrica. Il modello organizzativo individuato come preferibile, quello dei DSM, rischia di non valorizzare adeguatamente le sinergie che possono crearsi tra i Dipartimenti di Cure primarie e la Sanità pubblica, che in alcuni esempi virtuosi come in Emilia-Romagna, ma non solo, stanno aprendo a interessanti percorsi trasversali di promozione della salute di persone e comunità.
Sottorappresentazione della psicologia nei dati di attività
Il Piano riporta che solo il 7,2% delle prestazioni nei servizi territoriali è di tipo psicologico-psicoterapico (pag. 18). Questa percentuale risulta significativamente inferiore rispetto all’attività infermieristica (30,7%) e psichiatrica (25,2%), ma soprattutto appare solo di poco superiore al carico devoluto al coordinamento (6,7%). Dato che evidenzia – secondo l’analisi degli Psicologi – “una grave carenza strutturale di personale psicologico nel SSN e di fluidità organizzativa che, oltre a generare stress per i professionisti, si traduce in un minor numero di prestazioni dirette ai cittadini. Il Piano però non sembra dare indicazioni chiare rispetto a queste carenze”.
Percorsi di cura e livelli assistenziali
Quando si parla di adolescenti e del loro progetto di cura è importante contemplare un progetto di vita, obiettivi personali, aspirazioni che esulano da un mero approccio medico. Non a caso la maggior parte dei ragazzi seguiti dalle UONPIA fino ai 18 anni ne escano senza un trattamento farmacologico o coinvolgimento della figura medica del servizio e hanno ricevuto trattamenti prevalentemente di tipo psicologico, educativo, logopedico, abilitativo e di supporto. Tale elemento cruciale va modificato anche successivamente, a pag. 40, dove viene riportato che nella fase di transizione i due interlocutori assolutamente necessari sono le due figure mediche e non il referente clinico del caso e suo omologo nel servizio adulti. I referenti clinici potrebbero garantire anche una preziosa continuità dell’intervento e della presa in carico. “Inoltre, la composizione delle équipe di transizione giovanile dà centralità esclusiva a figure mediche, trascurando il ruolo primario svolto da psicologi, educatori e professionisti sociali nel lavoro con l’adolescente”.
Sarebbe necessario quindi, in sintesi, promuovere un’organizzazione multiprofessionale, valorizzando le competenze non mediche nei percorsi di prevenzione e di supporto allo sviluppo.
Collocazione dello psicologo di primo livello
A pag. 22 viene declinato un modello assistenziale declinato su 4 livelli dove non sussiste differenza tra l’équipe del livello 1 e quella del livello 2, pur citando il DM 77. La Psicologia dell’Assistenza Primaria costituisce un innovativo presidio di promozione della salute, intercettazione precoce, benessere di comunità, che si integra con i livelli specialistici della Salute Mentale, realizzando un elemento di connessione fra i diversi livelli della Stepped Care, sia in senso ascendente che discendente.
Il PANSM propone un’organizzazione dove il primo livello assistenziale viene collocato fisicamente e operativamente nelle Case della Comunità, come previsto dal DM 77/2022, sottolineando quanto sia importante che questo livello resti dentro le cure primarie anche fisicamente, rafforzando una politica assistenziale territoriale di prossimità non di livello specialistico. Ma, a seguire, viene indicato che tale livello debba essere “pienamente integrato nei Dipartimenti di Salute Mentale”. Questa formulazione si pone in contraddizione con quanto sostenuto in precedenza nel testo del Piano, con il rischio di ricondurre lo psicologo delle cure primarie all’interno della Salute mentale specialistica. Viene ribadito nel documento degli Psicologi che “La figura dello psicologo di base è già stata normata dalla legge regionale 35/20 della Campania e resa operativa nelle Case di comunità della Regione Emilia-Romagna con approvazione delle Linee di indirizzo per l’implementazione della psicologia nelle case della comunità” (DGR 2185-2023). “Tale figura ha il compito di intercettare il disagio lieve-moderato e/o moderato, promuovere il benessere, offrire interventi a bassa soglia, consultazioni e trattamenti focali brevi (individuali e gruppali) anche per il trattamento dei disturbi emotivi comuni e supporto delle cronicità e agire in ottica preventiva e di empowerment individuale e di comunità.
I rischi di questa ambiguità potrebbero portare alla patologizzazione del disagio, a un inquadramento all’interno della salute mentale specialistica e alla perdita dell’accessibilità territoriale i timore paventato nel documento. Le Case di Comunità (CdC) sono infatti il punto di riferimento dell’assistenza territoriale – viene sostenuto – ed è qui, non solo a nostro parere, che deve rimanere l’adeguata collocazione dello psicologo delle cure primarie, al fine di non rallentare le procedure di accesso a un intervento che deve essere rapido e di bassa soglia e coordinato laddove necessario.
Altra criticità sarebbe l’incoerenza con il modello Stepped care, promosso sempre dal DM 77/2022 e dalla Consensus Conference (2021). Se tutte queste incongruenze non dovessero essere riviste – viene argomentato – le liste di attesa potrebbero paradossalmente aumentare, riducendo la tempestività, l’appropriatezza degli interventi e aumentando i costi farmacologici e sanitari.
Si rende quindi necessario fare chiarezza tra l’autonomia e la specificità dello psicologo delle cure primarie, promuovendo protocolli di collaborazione specifici tra i livelli.
Rischi connessi a task-shifting e task-sharing
Nel Piano si legge che “Inoltre va perseguita la collaborazione fattiva con le Cure Primarie sfruttando la contiguità logistica al fine di sperimentare forme di contatto più dirette con l’utenza e politiche attive di intercettazione precoce. Rispetto al secondo livello, nel ribadire anche in questo caso i principi di task-shifting e task-sharing precedentemente accennati, indipendentemente dalla prossimità garantita presso le Case della Comunità si conferma il ruolo centrale e di regia dei CSM e la possibilità di accesso diretto agli stessi” (pag. 23). In questo passaggio vengono citati e ripresi il task-shifting e il task-sharing, concetti su cui è fondamentale una riflessione approfondita e cauta.
Il task shifting potrebbe far trasferire compiti da professionisti sanitari con qualifiche più elevate a operatori con formazione più breve, portando a una svalutazione delle competenze dei professionisti originari e a una potenziale perdita di qualità delle prestazioni sanitarie se non gestito adeguatamente.
Come inteso dalla lettura del documento, si avrebbe una definizione incerta dei ruoli e delle responsabilità, mentre è opportuno che sia fatta e data una definizione delle responsabilità e dei limiti di ciascun operatore, onde evitare sovrapposizioni, confusioni e una minore qualità del servizio (anche in caso di trattamento EB, ne verrebbero meno i presupposti per cui è stato validato), garantendo altresì la sicurezza del paziente.
Il task-sharing potrebbe portare a instabilità delle competenze, se non viene fatta una chiara definizione dei ruoli, supervisione, e superate le difficoltà nell’implementazione pratica (ostacoli di natura finanziaria e organizzativa).
La tutela della salute del cittadino passa anche dal rispetto del suo diritto a ricevere cure di qualità, vigilando affinché queste pratiche non sfocino in un abuso della professione altrui in particolare di quella psicologica. Rischio attualmente già presenti in molti servizi di salute mentale.
Altro punto cotroverso è nel modello di cura per la depressione Stepped Care (NICE 2019) e la declinazione che prende subito dopo sostenendo che:
“Il percorso di cura in rapporto con il MMG si può articolare in quattro modalità̀ principali, in funzione della gravità del caso:
1) i casi più lievi sono gestiti dal MMG in autonomia (presa in cura semplice);
2) i casi di complessità̀ moderata sono gestiti dal MMG rapportandosi con il CSM (presa in cura condivisa), prevedendo un livello “minore” in cui lo psichiatra interviene solo per l’inquadramento (consulenza), e un livello “maggiore” in cui la micro équipe collabora con il MMG anche al fine del trattamento (collaborazione)” (pag. 23).
Il documento cita correttamente il modello Stepped Care per la depressione, ma lo declina secondo una logica che esclude o marginalizza la figura dello psicologo nel primo livello, facendo centro, ancora una volta, sulla figura medica. Teniamo però a ricordare che al primo posto del modello di intervento Stepped Care per la depressione viene messa la psicoeducazione e il supporto tra pari. Il livello crescente prevede la psicoterapia anche senza farmaci in alternativa al trattamento farmacologico semplice o la combinazione dei due. Sempre in coerenza col DM 77, alla sopra citata Consensus Conference 2021 e forti dell’esperienza dello psicologo della CdC in Emilia-Romagna si ritiene manchi questo fondamentale livello, nonostante si citi uno psicologo di livello 1.
Perinatalità: centrale la funzione dei Consultori
I Consultori, collocati organizzativamente nelle Cure primarie, intercettano situazioni meritevoli di invio a un secondo livello e fanno interventi di prevenzione e supporto in sinergia con i centri per le famiglie e senza connotazioni di “disagio o malattia”, quando ci si trova in presenza di sola fragilità. Un potenziamento dei Consultori Familiari, con la forte mission preventiva e di empowerment, alleggerirebbe di molto i secondi livelli. Nel Piano, però, manca la sede in cui avviene la prevenzione, che non è nei DSM, ma nella comunità, nella prossimità più vicina alla persona. Occorrerebbe un cambio di paradigma, più orientato alla psicologia di comunità e una forte interconnessione socio-sanitaria.
Salute mentale nelle carceri
Non risulterebbe chiara la direzione strategica che si intende assumere per il variegato mondo del carcere, in cui sono presenti tutte le principali casistiche psicopatologiche (dalle gravi psicosi, al ritardo mentale, alle demenze, alle dipendenze, fino ai disturbi di personalità). Va inoltre chiarito che spesso è il carcere stesso a produrre malattia e sofferenza mentale, e che il sanitario dovrebbe pretendere per i propri assistiti un ambiente salubre, quale primo presupposto igienico per l’appropriatezza e l’efficacia delle cure, mentre il Piano non spende una sola parola per stigmatizzare la grave situazione delle carcere dal punto di vista della salubrità, ma sembra invece quasi passivamente prenderne atto. A questo si aggiunga che i professionisti sanitari in carcere sono in numero già carente anche solo per garantire i LEA, e non vi sono certo le risorse per attivare interventi nuovi, che il documento stesso definisce sperimentali. Preoccupa l’intendimento riportato a pagina 45, di voler “limitare il ricorso alla incompatibilità con il contesto carcerario”, che è invece un provvedimento civile e necessario, che il sanitario dovrebbe sempre prediligere quando le condizioni di salute di una persona detenuta lo richiedono. Tale proposito rischia di creare discriminazioni importanti verso i detenuti, che resterebbero pazienti di serie B la cui cure resterebbero sempre subordinate ad obiettivi di controllo. Un proposito molto lontano anche dalle migliori indicazioni internazionali di umanizzazione dei contesti di cura.
Temi rilevanti assenti o marginali
Il PANSM tralascia o affronta in modo marginale aree fondamentali per la salute mentale nel ciclo di vita:
● Come gestire il complesso rapporto e possibili interferenze del potere giudiziario, le richieste dei tribunali, le valutazioni richiesti con il complesso rapporto fiduciario, di salute e del rispetto del segreto professionale.
● Psicologia dell’emergenza e dei disastri
● Psicologia ospedaliera nei reparti non psichiatrici
● Supporto a caregivers e persone con cronicità
● Violenza di genere e trauma
● Integrazione con il privato sociale e i professionisti in regime libero-professionale
● Salute mentale e nuove dipendenze
● Disturbi emergenti in adolescenza
● Psicologia delle povertà, marginalità, processi migratori
● Psicologia del fine vita
● Manca una definizione chiara degli obiettivi in termini di efficacia ed efficienza che potrebbero essere raggiunti attraverso l’utilizzo di strumenti basati sull’Intelligenza Artificiale
Anche il tema formativo potrebbe essere ulteriormente approfondito, soprattutto rispetto le scuole di psicoterapia, un forte lavoro con gli Ordini Territoriali per la formazione continua e le attuali difficoltà di inserimento degli specializzandi e tirocinanti di psicologia all’interno dei servizi di salute mentale.
Conclusioni
Pur riconoscendo gli elementi innovativi e condivisibili del PANSM, riteniamo che il documento necessiti di una revisione attenta delle sue declinazioni operative, per evitare che principi corretti vengano poi disattesi nella prassi a discapito della salute dei cittadini. Importante inoltre, per un Piano quinquennale di tale importanza e influenza è che possa prevedere nella sua stesura, monitoraggio e valutazione un coinvolgimento più attento anche della psicologia, dei professionisti che lavorano nei servizi e nelle istituzioni che li rappresentano, anche nell’ottica di valorizzare e mettere a sistema le diverse buone pratiche aziendali e regionali.





