Il governatore annuncia l’arrivo a Campobasso dei rimpiazzi dai Caraibi, modello già sperimentato in Calabria. Ma per i sindacati è una soluzione che lascia il tempo che trova: servono investimenti e politiche lungimiranti
La crisi della sanità non è uniforme, e in alcune regioni assume contorni talvolta drammatici. Il Molise è l’esempio emblematico: da oltre quindici anni vive sotto la spada di Damocle di un piano di rientro dal disavanzo. La gestione commissariale, secondo gli analisti, ha provato a risanare in qualche modo, ma le misure drastiche hanno poi accentuato le fragilità del sistema. I numeri non dicono tutto, sono le storie quotidiane di reparti sguarniti, concorsi andati deserti e cittadini costretti a spostarsi altrove per ricevere cure adeguate a raccontare la reale portata di un’emergenza strutturale.
In questo contesto, il presidente della Regione Molise, Francesco Roberti, ha annunciato un nuovo accordo per l’arrivo di medici cubani, sul modello già sperimentato in Calabria, con l’obiettivo di garantire la presenza di professionisti nei presidi ospedalieri. “Senza medici non si può andare avanti” ha dichiarato, “l’intesa con i medici cubani rappresenta un’idea concreta per assicurare la presenza di un numero necessario di professionisti in servizio”.
Non è la prima volta che la regione ricorre a soluzioni esterne per tamponare la carenza di organico. Durante l’emergenza Covid, furono i medici venezuelani a prestare servizio negli ospedali molisani. Ma la situazione, oggi, appare ancora più paradossale: nonostante il passaggio da più Aziende sanitarie a un’unica struttura regionale, i costi appaiono aumentati. “Abbiamo ereditato una programmazione errata e una situazione disastrosa,” ha commentato il governatore, “non si comprende come, con l’eliminazione delle vecchie Asl e l’introduzione di un’unica Azienda sanitaria, siano aumentati i costi e, di conseguenza, il debito”.
Il quadro è aggravato da una scarsa attrattività del territorio per i giovani medici, che preferiscono altre destinazioni o il settore privato. I concorsi pubblici vanno spesso deserti, si ricorre a medici in pensione, a professionisti stranieri, e si stipulano accordi con strutture sanitarie di fuori regione. Nel 2019, l’allora Commissario ad Acta per la sanità, Angelo Giustini, arrivò persino a ipotizzare il ricorso a medici militari in pensione per “superare questo agonico stallo nella governance del Servizio sanitario regionale e del diritto all’equità e universalità di accesso dei cittadini”.
Ma non tutti vedono con favore l’arrivo dei medici cubani. Gianluca Giuliano, segretario nazionale Ugl Salute, ha definito l’iniziativa “una soluzione tampone che non affronta i veri nodi della crisi della sanità pubblica”. Secondo Giuliano, “non è accettabile che in un Paese come l’Italia non si investa seriamente sul personale interno, preferendo ricorrere a soluzioni estemporanee. Servono contratti stabili, retribuzioni adeguate, migliori condizioni di lavoro e incentivi concreti, così da fermare la fuga all’estero e verso il privato di medici e infermieri italiani”.
Il governatore Roberti, consapevole della natura transitoria di queste misure, guarda al futuro e punta sul ruolo dell’Università del Molise. “Stiamo formando giovani medici nelle specializzazioni oggi carenti nei nostri ospedali,” ha spiegato, “e nei prossimi cinque anni gli specializzandi Unimol potranno entrare, crescere professionalmente, e al tempo stesso rafforzare la sanità molisana”.
Diciotto anni di Piano di rientro e sedici di gestione commissariale non sono bastati a risanare il disavanzo né a traghettare il sistema sanitario regionale fuori dalle secche. Per Roberti, le cause vanno cercate anche “in un sistema che in passato ha difeso logiche di casta, senza guardare al futuro dei territori e delle nuove generazioni”. E ha ribadito la missione della politica: “abbassare i costi e ridurre i ricoveri ospedalieri inappropriati”.





