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Sonnolenza da narcolessia, agire sulle cause: ora si può ripristinare il peptide mancante

La narcolessia, patologia neurologica rara e altamente invalidante, è da decenni una condizione poco conosciuta e spesso sottovalutata, nonostante il suo impatto devastante sulla vita di chi ne è affetto. Caratterizzata da sonnolenza diurna eccessiva, cataplessia, disturbi cognitivi e dell’umore, la malattia colpisce circa 10mila persone in Italia, ma solo una minima parte riceve una diagnosi tempestiva. L’esordio precoce, spesso in età pediatrica, ne amplifica le conseguenze, interferendo con l’apprendimento, le relazioni sociali e la costruzione dell’identità. Per anni, le terapie si sono limitate a contenere i sintomi, lasciando i pazienti in una condizione di sopravvivenza più che di vita. Oggi, però, la ricerca scientifica apre una nuova strada: quella della cura causale, grazie a farmaci capaci di sostituire l’orexina, il peptide cerebrale la cui assenza è alla base della malattia.

All’indomani del Congresso Mondiale del Sonno di Singapore e in vista della Giornata Mondiale della Narcolessia del 22 settembre, un incontro tenutosi a Roma, presso l’Istituto di Santa Maria in Aquiro, iniziativa della senatrice Elisa Pirro, ha puntato i riflettori sulle nuove molecole orexinergiche, attualmente nelle fasi finali di sperimentazione, e che promettono di agire direttamente sul meccanismo biologico della malattia, offrendo una prospettiva di cura risolutiva.

«Nelle persone che soffrono di narcolessia, l’orexina è assente o ha livelli molto bassi – ha spiegato il Prof. Giuseppe Plazzi, Professore di Neuropsichiatria infantile presso l’Università di Modena e Reggio Emilia – I farmaci disponibili fino ad oggi sono intervenuti solo sui sintomi, con benefici limitati. Negli ultimi anni, la ricerca si è dedicata alla necessità di sostituire l’orexina per intervenire alla base della patologia». I risultati delle sperimentazioni sono promettenti: «Le nuove molecole attivano il recettore dell’orexina e dimostrano un’ottima efficacia nel controllo dei sintomi. Almeno il 40% dei pazienti trattati è completamente senza sintomi. I farmaci, da assumere con continuità, presentano effetti collaterali minimi o transitori».

Il centro di Bologna, diretto dal professor Plazzi, ha già trattato 70 pazienti su un totale di 300, con risultati che fanno ben sperare. «L’impatto sulla qualità della vita, soprattutto nei bambini e negli adolescenti, è eccezionale», aggiunge il professore, sottolineando come questa nuova frontiera terapeutica possa finalmente restituire dignità e prospettiva a chi convive con la narcolessia.

A confermare la portata rivoluzionaria di questi progressi è anche il Prof. Raffaele Lodi, Presidente della Rete IRCCS Neuroscienze e Neuroriabilitazione: «Per la prima volta un farmaco agisce non solo sui sintomi, ma sul meccanismo biologico alla base della malattia. Come Rete IRCCS crediamo che la forza stia nella collaborazione tra centri, per condividere conoscenze e accelerare l’accesso dei pazienti alle terapie più innovative». Lodi ha inoltre evidenziato il ruolo dell’Intergruppo Parlamentare Neuroscienze e Alzheimer nel rafforzare l’attenzione istituzionale sulle malattie rare, con l’obiettivo di trasformare la ricerca in percorsi diagnostici efficaci e cure concrete.

Ma la narcolessia non è solo una questione clinica: è anche una battaglia sociale. Lo ha ribadito Massimo Zenti, Presidente dell’Associazione Italiana Narcolettici (AIN), che ha partecipato ai trial clinici: «Le terapie disponibili fino ad oggi intervenivano sul riposo notturno o aiutavano a stare svegli di giorno. Oggi intravediamo la conquista di una nuova qualità di vita, una dignità, una prospettiva del futuro. La narcolessia provoca la perdita di anni di scuola, non si trova lavoro, si subisce mobbing, si genera un complesso di inferiorità». Zenti descrive con lucidità i sintomi che vanno ben oltre la sonnolenza: nervosismo, ansia, deconcentrazione, cataplessia, incubi notturni. Una condizione che, se non riconosciuta e trattata, può compromettere profondamente l’esistenza.

A ribadire l’urgenza di una diagnosi precoce è stato il Prof. Lino Nobili, Presidente dell’Accademia Italiana Medicina del Sonno (AIMS) e Direttore della Neuropsichiatria infantile presso l’IRCCS G. Gaslini di Genova: «La narcolessia è una patologia che spesso rimane nell’ombra, eppure il suo impatto è particolarmente grave, perché in oltre il 50% dei pazienti esordisce in età pediatrica, ma viene diagnosticata con anni di ritardo. Parlare di narcolessia e creare consapevolezza è fondamentale, tanto più adesso che esistono finalmente i nuovi farmaci orexinergici che riescono a controllare completamente i sintomi». Nobili auspica che queste terapie siano presto disponibili anche per i più giovani, per evitare che la malattia comprometta irrimediabilmente il loro sviluppo.

La narcolessia, dunque, non è più condannata a essere una malattia invisibile e intrattabile. Grazie alla ricerca, alla collaborazione tra istituzioni e centri clinici, e alla voce dei pazienti, si apre una nuova era: quella della cura causale, della diagnosi precoce e della qualità della vita. Un passo avanti che non è solo scientifico, ma profondamente umano.

“Come istituzioni abbiamo il compito di accompagnare e sostenere tutti i progressi – ha concluso la senatrice Pirro, componente della Commissione Bilancio di Palazzo Madama – affinché le innovazioni non siano un privilegio per pochi ma una concreta opportunità di cura per tutti quei pazienti che ne hanno effettivamente bisogno, a partire dai bambini e dai ragazzi. Investire in ricerca, diagnosi precoce e accesso alle cure significa restituire dignità e futuro a migliaia di persone”.

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