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Dieta Mediterranea, il paradosso delle cattive abitudini alimentari in mezzo a tante eccellenze

Rapporto OIPA, l’Italia si allontana dal suo modello nutrizionale più celebrato nel mondo. Cresce il consumo di prodotti ultra‑processati, si allarga il divario sociale nell’accesso a derrate fresche naturali



La dieta mediterranea è molto più di un modello nutrizionale: è un patrimonio culturale, un simbolo identitario e un pilastro della salute pubblica. Riconosciuta dall’UNESCO come patrimonio immateriale dell’umanità, rappresenta un equilibrio virtuoso tra tradizione agricola, biodiversità, sostenibilità e benessere. L’Italia, con le sue eccellenze agroalimentari – dall’olio extravergine d’oliva ai legumi, dai cereali integrali alle verdure di stagione, fino ai prodotti ittici e ai latticini freschi – è storicamente uno dei Paesi che meglio incarnano questo stile alimentare. Non a caso, molte ricerche internazionali continuano a indicare la dieta mediterranea come uno dei modelli più protettivi contro malattie cardiovascolari, diabete, obesità e alcune forme di tumore.

Eppure, negli ultimi anni, questo patrimonio sembra essere messo alla prova da trasformazioni sociali, economiche e culturali. Da un lato, l’Italia continua a distinguersi per la qualità delle sue produzioni: il settore agroalimentare è tra i più dinamici dell’economia nazionale, con esportazioni record e un crescente interesse globale per i prodotti DOP e IGP. Dall’altro, però, si osserva un progressivo allontanamento dei cittadini – soprattutto dei più giovani – dai principi fondamentali della dieta mediterranea. Le ragioni sono molteplici. L’aumento dei prezzi dei prodotti freschi, la diffusione capillare di cibi pronti e ultra‑processati, i ritmi di vita frenetici e la crescente disuguaglianza economica stanno modificando le scelte alimentari quotidiane. A ciò si aggiungono le difficoltà di molte famiglie nel conciliare qualità e convenienza, con il rischio di privilegiare alimenti più economici ma meno salutari. Un esempio emblematico è quello delle merendine e degli snack industriali, spesso più accessibili rispetto a frutta fresca o yogurt di qualità: un fenomeno che, secondo diversi osservatori, contribuisce all’aumento dell’obesità infantile e alla perdita di abitudini alimentari tradizionali. In questo contesto, il nuovo rapporto dell’OIPA, Osservatorio Insicurezza e Povertà Alimentare del CURSA (Consorzio Universitario per la Ricerca Socioeconomica e per l’Ambiente, organismo di diritto pubblico riconosciuto dal Ministero dell’Università e della Ricerca) offre una fotografia dettagliata e preoccupante delle abitudini alimentari degli italiani, evidenziando come la dieta mediterranea sia oggi “tradita” da una larga parte della popolazione.

Dieta Mediterranea “tradita” da sei italiani su dieci
“Aumentano obesità dei minori e malattie croniche”

Dal rapporto OIPA apprendiamo che nelle aree del Paese dove si registra più povertà e insicurezza alimentare si osserva anche il più elevato consumo di carne e alimenti ultra‑processati. Solo il 32% degli under 24 sceglie alimenti sani. L’insicurezza alimentare non riguarda soltanto l’accesso alle derrate alimentari, ma incide in modo diretto sulla qualità delle diete e sulla salute, soprattutto nelle fasce sociali più deboli. Il volume Povertà e insicurezza alimentare in Italia. Dalla misurazione alle politiche, a cura dell’OIPA, mostra come degrado, emarginazione e altri svantaggi siano associati a modelli alimentari di bassa qualità e a un aumento del rischio di malattie croniche non trasmissibili.

In Europa, queste patologie causano circa l’86% dei decessi complessivi, confermando il ruolo centrale della prevenzione attraverso la dieta ai fini della sostenibilità dei sistemi sanitari. E i dati italiani destano preoccupazione: solo il 43% della popolazione segue oggi un’alimentazione riconducibile alla dieta mediterranea, considerata uno dei modelli più protettivi per la salute. La frattura è soprattutto generazionale: l’adesione riguarda il 53,1% degli adulti tra 55 e 64 anni, ma scende al 32,8% tra i giovani 15–24 anni.

Ancora più critico il quadro che emerge dall’analisi dei comportamenti alimentari: il 61,9% degli italiani presenta una dieta non conforme al modello mediterraneo, mentre solo il 4,7% raggiunge un livello di adesione considerato adeguato. Parallelamente, il 23% della popolazione segue un modello alimentare di tipo occidentale, caratterizzato da un elevato consumo di carne e alimenti ultra‑processati; la quota sale al 31% tra i giovani adulti, un dato particolarmente rilevante alla luce dell’associazione tra questo modello alimentare e l’aumento del rischio di obesità e obesità viscerale. Si fa strada un paradosso evidente: diete spesso sufficienti dal punto di vista calorico, ma povere di qualità nutrizionale. In questo contesto, più di un bambino su cinque convive con l’obesità, una quota che arriva a quasi uno su tre nelle aree caratterizzate da maggiore povertà e privazione. I dati contenuti del volume, presentato a Roma dagli autori, con la partecipazione di Maurizio Martina, Vice Direttore Generale della FAO, hanno rilanciato il confronto pubblico sul ruolo delle politiche alimentari nella prevenzione e nella riduzione delle disuguaglianze.

La fotografia dell’OIPA conferma dunque un’urgenza che riguarda non solo la salute individuale, ma anche la coesione sociale e la sostenibilità del sistema sanitario. La dieta mediterranea, con la sua ricchezza di nutrienti e la sua capacità di prevenire le malattie croniche, resta un modello di riferimento, ma rischia di essere travolta dal marketing aggressivo, dalla corsa ad abbassare i costi degli ingredienti e della lavorazione, e dagli effetti perversi della globalizzazione senza etica. Sono tuttavia auspicabili politiche alimentari trasparenti, campagne istituzionali rivolte al grande pubblico, che favoriscano una educazione nutrizionale diffusa e un impegno collettivo per valorizzare ciò che l’Italia produce meglio: cibo sano, sostenibile e di qualità.

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