La composizione batterica è un fattore di rischio
e può guidare la diagnosi precoce
Un recente studio congiunto tra l’Università degli Studi di Bari Aldo Moro, l’Università di Firenze e l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) ha scoperto che il microbioma intestinale può predire il rischio di sviluppare il tumore al colon-retto e potrebbe diventare un sensore precoce di salute. La ricerca, pubblicata sulla rivista a impact factor di riferimento del settore Gut Microbes, ha utilizzato l’Intelligenza Artificiale Spiegabile (XAI) per analizzare dati di sequenziamento genetico da campioni fecali di 453 pazienti. Lo studio è nato nell’ambito di un progetto finanziato dal PNRR, è coordinato dalla Prof.ssa di UniBa Sabina Tangaro.
Il ruolo del microbioma intestinale
Dallo studio emerge che il microbioma intestinale gioca un ruolo cruciale nella genesi e progressione del carcinoma al colon, influenzando lo stato infiammatorio, la risposta immunitaria tramite le placche del Peyer, il metabolismo cellulare e l’influenza epigenomica tramito la produzione di sostanze volatili di scarto. In particolare la ricerca ha identificato particolari biomarcatori microbici predittivi della presenza di adenomi o tumore e ha mostrato ottime prestazioni nel riconoscere i soggetti a rischio. In pratica una determinata composizione batterica del microbioma può essere causa dello sviluppo di una tumorigenesi e dunque essere anche suscettibile di predizione di malattia e di terapia mirata a modificare la composizione del microbioma stesso. Alcuni ceppi batterici infatti si correlano a un rischio aumentato, altri ad un rischio ridotto.
L’approccio innovativo
Lo studio è stato portato avanti con un approccio innovativo: l’utilizzo dell’XAI ha permesso di identificare le specie batteriche più rilevanti, come Fusobacterium e Peptostreptococcus (associate a rischio aumentato) e il gruppo Eubacterium eligens (associato a rischio ridotto). Lo studio ha anche svelato le connessioni nascoste tra i batteri e ha identificato sottogruppi di pazienti con adenoma che presentano profili batterici simili a quelli osservati nei pazienti con carcinoma.
Implicazioni per la diagnosi e la prevenzione
La scoperta potrebbe portare a test di screening non invasivi e personalizzati per il cancro al colon-retto. Il modello predittivo sviluppato nello studio potrebbe essere utilizzato per identificare i soggetti a rischio e prevenire la malattia. La ricerca offre un approccio innovativo e facilmente verificabile per la diagnosi precoce del tumore al colon-retto, basato sull’analisi del microbioma intestinale che mostra sempre più di essere implicato nella salute e nella malattia in molti campi clinici e si candida ora a diventare un vero e proprio sensore precoce di salute alla base di test di screening non invasivi e personalizzati.
Il carcinoma del colon-retto (CRC) rappresenta la seconda causa di morte per cancro nel mondo. Per scoprirlo, lo standard diagnostico oggi prevede la colonscopia, un’analisi invasiva con limitata adesione da parte della popolazione, per cui fioriscono studi per identificare altri segnali oltre all’evidenza della presenza di sangue occulto nelle feci e metodi di analisi non invasivi ed efficaci per identificare precocemente le persone a rischio.
Lo sviluppo del tumore al colon avviene attraverso una sequenza evolutiva ben definita – da epitelio sano ad adenoma, fino al carcinoma invasivo – ma i meccanismi molecolari alla base di questa progressione sono ancora in parte sconosciuti ma certamente riconducibili all’influenza del microambiente intestinale, alla dieta e a fattori genetici e ambientali.
In questo caso il modello sviluppato è riuscito ad identificare con una certa efficienza i soggetti a rischio anche su un gruppo indipendente di pazienti italiani, dove ha raggiunto un livello di precisione pari all’89% nel riconoscere i casi realmente a rischio, riducendo al minimo i falsi allarmi. Oltre a predire il rischio, l’intelligenza artificiale ha permesso di svelare le connessioni nascoste tra i batteri. Uno degli aspetti più innovativi dello studio è stato infatti l’impiego degli SHAP interaction values, che hanno permesso di andare oltre l’identificazione dei singoli batteri, analizzando le interazioni tra generi microbici e la loro influenza combinata sul rischio di tumore. Il microbioma è stato così interpretato come una rete complessa, in cui i microrganismi possono agire in modo sinergico o antagonista. L’analisi ha permesso di identificare sottogruppi di pazienti con adenoma che presentano profili batterici simili a quelli osservati nei pazienti con carcinoma, suggerendo l’esistenza di stati di transizione microbica potenzialmente rilevabili prima della comparsa clinica del tumore.
In particolare, in questi sottogruppi a più alto rischio sono emersi generi batterici centrali (hub) che sembrano svolgere un ruolo chiave nella rete microbica: in alcuni casi, Peptostreptococcus è risultato il nodo più connesso, con forti interazioni con Fusobacterium, Parvimonas e Porphyromonas; in altri, il centro della rete era dominato da Fusobacterium, con contributi da parte di altri generi come Lachnospiraceae UCG-010. Queste configurazioni microbiche ricorrenti, più che la presenza isolata di singoli batteri, sembrano associarsi ai profili di rischio più elevato, aprendo la strada a una valutazione del rischio basata sulle dinamiche dell’ecosistema microbico piuttosto che su singoli marcatori.
📎 L’articolo è disponibile in open access su Gut Microbes (Taylor & Francis) https://doi.org/10.1080/19490976.2025.2543124
📎Autori dell’articolo: Pierfrancesco Novielli, Simone Baldi, Donato Romano, Michele Magarelli, Domenico Diacono, Pierpaolo Di Bitonto, Giulia Nannini, Leandro Di Gloria, Roberto Bellotti (rettore dell’Università di Bari), Amedeo Amedei, Sabina Tangaro.





