“Fare il chirurgo è una professione bellissima se fatta con passione. Le donne chirurgo, però, rispetto ai colleghi uomini chiedono di essere supportate di più sul fronte della formazione, dell’organizzazione e a livello strutturale per praticare la professione senza ostacoli e pregiudizi, come è avvenuto nel mercato industriale”.
È successo in un ospedale italiano che due specializzande in chirurgia, dopo un anno, hanno lasciato il posto di lavoro, hanno appeso il camice verde e scelto di indossare quello bianco di medico di base. È successo. E con grande dispiacere di due donne, che avevano scelto sin da giovanissime di diventare chirurghe con la speranza di salvare vite in sala operatoria e farlo ad alti livelli. Lasciare un posto di lavoro così inseguito, anni di studi e di sacrifici, ma perché?
Cecilia Pompili, dirigente medico di chirurga toracica presso l’azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona, membro dell’associazione Women in Surgery Italia della quale è referente per l’area della chirurgia toracica, e fondatrice del Comitato Donne in Chirurgia toracica della Società europea dei chirurghi toracici (ESTS), l’ha visto con i suoi occhi e il suo desiderio è che ci sia un cambiamento strutturale del sistema di assistenza sanitaria, soprattutto nella chirurgia.
Perché succede che le donne lasciano la professione di chirurgo?
“Perché gli orari di lavoro, soprattutto in chirurgia, sono duri e sono diventati difficili da gestire con gli impegni familiari; perché per entrare in sala operatoria ne passa di tempo; purtroppo c’è ancora un problema che ha a che fare con la discriminazione: è purtroppo ancora difficile trovare le condizioni, perché una donna possa svolgere il suo lavoro di chirurgo senza ostacoli. E tutto si aggrava se c’è l’ambizione di crescere nella carriera anche accademica”.
E i fatti parlano chiaro. Secondo diversi studi a cui la dottoressa Pompili ha condotto e pubblicati su prestigiose riviste internazionali sulle “Donne in chirurgia toracica”, le donne sono ancora in inferiorità numerica rispetto agli uomini tra le più alte posizioni mediche e la chirurgia e le sottospecialità chirurgiche come la cardio-toracica, hanno la minor rappresentanza di donne in generale e a livelli di leaderships.
Cecilia Pompili ha svolto la professione di chirurgo in Inghilterra e a ottobre 2021 è tornata in Italia. “Fare il chirurgo è una professione bellissima se fatta con passione. Le donne chirurgo, però, rispetto ai colleghi maschi chiedono di essere più supportate sul fronte della formazione, dell’organizzazione e a livello strutturale per praticare la professione senza ostacoli e potenziali discriminazioni, come è avvenuto nel mercato industriale”.
“Come spieghiamo nel nostro studio – prosegue la dottoressa Pompili – negli ultimi decenni le donne sono state scoraggiate dall’entrare nella carriera medica e in particolare nelle specialità chirurgiche. Questa situazione sta cambiando un po’ ovunque, e diverse iniziative cercano di sostenere le aspiranti chirurghe nel perseguire la carriera attraverso programmi di mentoring e borse di studio come quelle promosse dalla Women in Surgery Italia o ESTS”.
Ci spiega quali sono i nodi da sciogliere?
“Nel nostro Paese l’organizzazione del lavoro è basato sull’orario, in quelli più virtuosi invece è basato sulle attività e se così fosse negli ospedali italiani dedicheremmo un tempo di qualità alle attività e non saremmo costrette a lavorare in condizioni di stress oltre 12 ore al giorno. Questo sistema innesca altre criticità, come la difficoltà a gestire gli impegni familiari quando in altri Paesi il concetto di parental live, di diritti espansi ai genitori e condivisi sono una regola. Non dovrebbe, infatti, essere necessario prendere delle aspettative, rinunciando anche al salario e aumentando il cosiddetto “gender pay gap”. Invece succede”.
Cosa auspica in un mondo ideale?
“Un’organizzazione del lavoro che ruoti attorno al professionista e ai suoi bisogni; asili negli ospedali per permettere ai chirurghi di lavorare in serenità evitando di accollarsi spese ulteriori di baby sitter o dopo scuola; un tempo protetto per la ricerca clinica che permetta ai medici in formazione di avere tempo da dedicarci senza fare le notti, come accade normalmente; una vera mentorship che sia di supporto alle donne chirurgo e ai medici in generale. L’importanza degli esempi è inoltre critica, ma anche in Italia le cose stanno cambiando e possiamo vedere nella mia specialità e in particolare in chirurgia robotica, veri “role model”, come la professoressa Veronesi, leader internazionale anche nello screening per il tumore del polmone e la professoressa Melfi, prima donna presidente di una prestigiosa società europea come lo EACTS”.
Negli ultimi anni, la Società europea dei chirurghi toracici (ESTS) ha istituito iniziative come la prima sessione scientifica ESTS Women in Thoracic Surgery o la Women in Thoracic ESTS Academy, organizzate per incoraggiare tutte le chirurghe a fare networking, aumentare l’opportunità di condividere la loro esperienza e incontrare potenziali mentori. Simili iniziative che in Italia sono promosse dalle Women in Surgery Italia. “Miriamo a fornire alla prossima generazione gli esempi che possono influenzare la scelta delle donne nella carriera chirurgica e le possibili strategie e iniziative per ridurre la discriminazione di genere nell’assistenza sanitaria” conclude Cecilia Pompili.
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