Una nuova scoperta potrebbe aprire nuove prospettive nella comprensione e nel trattamento del disturbo da stress post-traumatico (DSPT), una condizione che colpisce milioni di persone in tutto il mondo.
Una nuova scoperta potrebbe aprire nuove prospettive nella comprensione e nel trattamento del disturbo da stress post-traumatico (DSPT), una condizione che colpisce milioni di persone in tutto il mondo. Si tratta della proteina MECP2, che secondo uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) sarebbe coinvolta nei meccanismi che regolano la risposta allo stress e la sua persistenza nel tempo.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Translational Psychiatry, ha coinvolto 132 pazienti con DSPT, che hanno raccontato le loro esperienze traumatiche e hanno donato un campione di sangue per l’analisi dei livelli di MECP2. I ricercatori hanno scoperto che i pazienti con DSPT avevano livelli più bassi di questa proteina rispetto ai soggetti sani, e che questa riduzione era correlata alla gravità dei sintomi. Inoltre, i pazienti che avevano subito eventi stressanti nell’infanzia mostravano una maggiore vulnerabilità al DSPT da adulti.
La proteina MECP2 è un fattore epigenetico, cioè una molecola che modifica l’espressione dei geni in base all’ambiente e alle esperienze vissute. In particolare, MECP2 regola l’attività di alcuni geni coinvolti nella neuroplasticità, la capacità del cervello di adattarsi e modificarsi in risposta agli stimoli. Questa funzione è fondamentale per la memoria e l’apprendimento, ma anche per la resilienza, cioè la capacità di superare le situazioni difficili.
Gli autori dello studio ipotizzano che una ridotta espressione di MECP2 possa compromettere la neuroplasticità e favorire la persistenza dei ricordi traumatici, tipica del DSPT. Al contrario, un aumento di MECP2 potrebbe facilitare l’estinzione dei ricordi negativi e la ripresa psicologica. Questa ipotesi apre la possibilità di sviluppare nuove terapie basate sulla modulazione di MECP2, sia farmacologiche che comportamentali.
“La nostra ricerca – spiegano gli autori – rappresenta un importante passo avanti nella comprensione dei meccanismi biologici alla base del DSPT e della sua relazione con le esperienze precoci. Speriamo che questi risultati possano contribuire a migliorare la diagnosi, la prevenzione e il trattamento di questo disturbo, che ha un forte impatto sulla qualità della vita delle persone colpite e dei loro familiari”.
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