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Educazione sessuale, quando parlarne con i figli? I pediatri Sipps rispondono

A che età è corretto parlare di educazione sessuale con il proprio figlio o la propria figlia? Quali parole utilizzare? E poi, c’è un tempo ideale per farlo? Vengono in aiuto dei genitori i pediatri della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (Sipps) che spiegano che un intervento di educazione sessuale è una educazione che si costruisce e che coinvolge sia la sessualità sia il comportamento, la costruzione del sé e l’autostima. Insomma, anche l’educazione alla sessualità comincia già dall’educazione generale che i genitori danno ai propri figli.

Rispondono Giuseppe Di Mauro, presidente della Società Italiana di pediatria preventiva e sociale (Sipps) che ha realizzato il progetto ‘Chiedi a me‘, (https://www.sipps.it/wp/wpcontent/uploads/2023/12/SIPPS_booklet_2023_HR_singole.pdf), un vero e proprio booklet di ginecologia e di educazione alla salute che contiene video della durata di un minuto, destinati agli adolescenti e ai genitori, proprio per sapere come e quali parole usare per rispondere alle domande dei propri figli, ma possibilmente anche per intuire tali domande; Maria Carmen Verga, pediatra di libera scelta Asl Salerno, Vietri sul Mare e segretario nazionale della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (Sipps) e Immacolata Scotese, pediatra di famiglia a Campagna, provincia di Salerno.

Punto uno: è importante intervenire molto presto, prima dell’adolescenza. Le linee guida dell’Oms e dell’Unesco pubblicate nel 2020, quelle in base alle quali dobbiamo parlare di una educazione sessuale completa, la ‘Comprehensive sexuality education’, suggeriscono a pediatri e genitori di affrontare l’argomento fin dalla primissima infanzia. “Dai 3 ai 5 anni si può iniziare ad insegnare i nomi corretti dei genitali senza usare soprannomi, per esempio perché i predatori sessuali hanno la tendenza a fare richiesta utilizzando il soprannome, per esempio, degli organi genitali maschili e femminili. Se noi indichiamo l’organo genitale con il nome corretto e non con il soprannome, a quell’età gli conferiamo già una maggiore autoconsapevolezza e uno strumento per potersi difendere” spiega la dottessa Scotese.

‘In queste linee guida – aggiunge Immacolata Scotese – sia l’Oms che l’Unesco pongono molto l’accento sulle emozioni, sulle emotività, sul rispetto e sull’accettazione del sé. Quando poi il ragazzo, la ragazza, sono un po’ più maturi, quindi verso i 12-13 anni, le linee guida individuano le modalità per parlare anche di prevenzione delle malattie sessualmente trasmesse e di contraccezione. Probabilmente, però, parlare di contraccezione a 13 anni è un po’ tardi, se si considera che l’età del primo rapporto sessuale si è notevolmente abbassata. L’importante è non far radicare in questi ragazzi concetti sbagliati’.

Punto due: dai 3 ai 5 anni, l’età prescolare, bisogna favorire il rispetto delle proprie parti, cioè avere rispetto delle zone intime del proprio corpo ma anche del proprio spazio corporeo. Nei bambini un po’ più grandi, quelli tra i 6 e gli 8 anni, la cosa importante sarebbe rispondere alle domande spontanee sulla riproduzione senza anticiparle. Ma bisogna farlo in modo semplice, non fantasioso, non poetico, cercando di aumentare la consapevolezza dei propri limiti e del proprio corpo. Quando entriamo nella pre-adolescenza e nell’adolescenza, quindi a partire dai 9 anni, l’Organizzazione mondiale della sanità e l’Unesco invitano poi ad ‘accogliere i cambiamenti della pubertà e, soprattutto, delle emozioni che l’accompagnano’.

Punto tre: mai trascurare le differenze culturali. Punto quattro: se l’adolescente ha scarsa autostima di sé, l’educazione alla sessualità deve cominciare necessariamente prima di tutto dalla costruzione dell’autostima per costruire relazioni sane, rispettose e soddisfacenti, “perché – come spiega la dottoressa Maria Carmen Verga – se non abbiamo un carattere ben strutturato, su quelle insicurezze e su quelle fragilità si può poi innescare anche un vissuto della sessualità distorto, poco sereno e soddisfacente. Su tutti, il rischio di vivere rapporti che non sono sani ed equilibrati’.

Punto cinque: contestualmente, oltre alle specifiche conoscenze legate alla sessualità, ci sono anche quelle conoscenze normative, di legge, dei propri diritti, che devono essere portate a conoscenza del ragazzo. Ecco perché si parla di una educazione sessuale completa.

Punto sei: cosa può fare in tutto questo il pediatra? ‘Il pediatra dovrebbe entrare nell’ambito dei programmi di educazione alla sessualità, perché è ormai dimostrato da anni che gli interventi soggettivi occasionali non servono assolutamente a nulla, bisogna, invece, perseguire obiettivi e metodologie anche multidimensionali che non siano focalizzate solo sulla sessualità ma anche sulle capacità personali, promuovendo le proprie competenze di vita, le cosiddette ‘Life skills’, coinvolgendo direttamente i ragazzi. È però necessario che il pediatra, ma anche gli operatori scolastici e i genitori, abbiano poi una specifica formazione su come approcciare questo tipo di problema con i ragazzi’ come spiega la dottoressa Verga.

Punto sette: bisogna stabilire degli obiettivi mirati all’età e costruire una serie di strumenti come poster, storie, brain storming, giochi di ruolo in cui devono essere stimolate anche le capacità comunicative e di confronto, di ascolto attivo.

Punto otto: secondo il Global Early Adolescent Study dell’Oms, intervenire più precocemente è davvero fondamentale, si assiste a una diminuzione delle gravidanze precoci e delle malattie sessualmente trasmesse, a un aumento dell’uso dei contraccettivi e a un numero inferiore di relazioni insane.

Punto nove: purtroppo, di un tema così importante come l’educazione sessuale si parla poco a scuola e se ne parla male. L’Italia è uno dei pochi Paesi in Europa che non ha programmi istituzionali e nazionali di educazione alla sessualità, non c’è alcun investimento su questo problema educativo e preventivo. “Ai ragazzi, a volte, sono offerte semplici lezioni di scienze. È proprio per questo che è importante una formazione specifica tra gli operatori, anche scolastici, che devono occuparsi di educazione alla sessualità, che non può essere improvvisata. Vi sono proprio linee guida su come impostare le lezioni” invita la dottoressa Verga.

Punto dieci: l’adolescente deve sempre avere a disposizione la doppia contraccezione. La femminuccia deve assumere la pillola anticoncezionale e pretendere che il ragazzo usi il condom, che deve essere indossato prima di qualsiasi contatto con i genitali: il ragazzino che è alle prime esperienze non conosce infatti il proprio corpo come un uomo maturo e potrebbe essere travolto dall’atto sessuale. Pertanto si corre il rischio di una gravidanza indesiderata ma anche di contrarre una delle tante malattie sessualmente trasmesse’.

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