Cercare una correlazione tra SARS-Covid 2 e inquinamento, è un obiettivo di molti ricercatori che vorrebbero così spiegare la presenza di focolai sempre in prossimità di grandi città o di grandi ed affollati distretti produttivi. Questo è il caso di Whuan, delle grandi città Lombarde satelliti del comparto produttivo Milanese, delle metropoli europee come Madrid, Parigi e Londra solo per citarne alcune e New York per andare oltreoceano.
Due studi italiani, uno del CNR pubblicato il 20 aprile sulla rivista “Atmosphere”, l’altro dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, pubblicato sulla rivista “Applied Sciences”, hanno esaminato la possibile correlazione tra inquinamento dell’aria e diffusione del contagio.
In che modo le polveri sottili da più parti citate come concausa del facile propagarsi delle infezioni possono avere costituito un terreno ottimale per il coronavirus? In che maniera queste sostanze che si accumulano nelle vie respiratorie delle persone che abitano zone altamente inquinate, possono rendere più grave la malattia? Possono fare in modo di aumentare quella carica virale dei pazienti che è così legata alla gravità della malattia? Quali sono le polveri più pericolose per la diffusione del Virus presenti in questi territori?
Vi sono molte difficoltà nel poter rispondere con certezza a queste domande, poiché la numerosità dei tamponi eseguiti nelle diverse zone di pandemia ed il trasporto del virus in aree a diverso livello di inquinamento, ad esempio sono certamente fattori confondenti. Certo è che le polveri sottili in gioco, secondo lo studio effettuato nel laboratorio del CNR, porterebbero ad una permanenza del Coronavirus nell’aria per circa 1 ora e potrebbero consentirne un trasporto a distanze ben maggiori di quelle ipotizzate dal distanziamento sociale. Però questo difficilmente potrebbe accadere all’aria aperta, a causa della forte diluizione della carica virale durante trasporto attraverso l’aria che si ridurrebbe a tal punto da non rappresentare più un pericolo. Nel caso invece degli ambienti chiusi, in particolare quelli ad alto rischio come le strutture di ricovero e cura (come gli ospedali, le RSA, le aree di quarantena, gli ambulatori medici) o sui mezzi di trasporto pubblico affollati, la carica virale potrebbe essere così alta da rappresentare un grave pericolo.
Nello studio dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia si sono invece studiati i licheni, organismi frutto dell’associazione fra un fungo e un’alga, che vivono in ambienti estremi e sono ottimi indicatori di non inquinamento. La zona della pianura padana in cui la diffusione della pandemia è stata drammatica ha condizioni climatiche particolari caratterizzate da scarso ricambio d’aria, inversione termica, inverni rigidi e umidi. La forte industrializzazione rende questa area una delle zone del mondo più inquinate da particolato fine. Sono state esaminate quindi le caratteristiche delle polveri sottili accumulate dai licheni esposti per tre mesi in 25 punti della città di Milano. La combinazione di analisi effettuate sui Licheni in particolare relative al loro accumulo di metalli pesanti, ha permesso di individuare che le polveri sottili magnetiche più pericolose sono quelle generate dai freni delle automobili.
Ma i dati emersi dimostarno un rischio più elevato di infezione SARS-Covid2 rispetto ad altre zone meno inquinate? Da questi studi non è possibile trarre conclusioni certe.