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Il cambiamento sociale dei papà italiani: paternità ritardata e implicazioni sulla salute

L’età media dei nuovi papà italiani si sposta sempre più avanti nel tempo, con conseguenze sulla fertilità maschile e sulla salute dei figli. Un’analisi approfondita del fenomeno e delle sue implicazioni sociali e mediche

In Italia, diventare padre per la prima volta è un passo sempre più posticipato rispetto ad altri Paesi europei. Secondo i dati più recenti dell’Istituto nazionale di statistica (Istat), l’età media in cui gli uomini italiani diventano padri è di 35,8 anni, superando quella di Francia, Germania, Inghilterra e Galles. Questa tendenza, che coinvolge circa il 70% dei nuovi papà italiani, evidenzia un cambiamento significativo rispetto al passato, con un terzo degli uomini che ancora non ha figli oltre i 36 anni.

L’analisi condotta dagli esperti della Società italiana di andrologia (Sia) mette in luce l’importanza di affrontare la paternità in età più giovane e di preservare la fertilità fin dalla gioventù. Il professor Alessandro Palmieri, presidente della Sia e docente di Urologia all’Università Federico II di Napoli, sottolinea che in Italia si è assistito a un aumento di 10 anni dell’età media del primo figlio, passando dai 25 anni alla fine degli anni ’90 ai circa 36 anni attuali, posizionando il Paese al vertice della classifica europea per età media del concepimento.

Questo spostamento verso una paternità più tardiva non è privo di conseguenze. Gli spermatozoi, con l’avanzare dell’età, subiscono alterazioni sia a livello di funzionalità che di struttura, con un declino nella motilità, nella morfologia e possibili danni al DNA. Inoltre, l’esposizione prolungata agli inquinanti ambientali, come le microplastiche, e gli effetti dei cambiamenti climatici contribuiscono a ridurre la fertilità maschile.

Per contrastare questi effetti negativi sull’età della paternità, la Sia ha sviluppato, in collaborazione con l’Istituto di Farmacologia clinica dell’Università degli Studi di Catanzaro, un nuovo integratore chiamato Drolessano. Questo integratore, composto da sette sostanze naturali, tra cui l’escina estratta dai semi e dal guscio dell’ippocastano e il licopene presente nei pomodori, ha dimostrato effetti positivi sulla salute maschile, inclusa la fertilità.

Tuttavia, ritardare la paternità può non solo influenzare la fertilità maschile, ma anche mettere a rischio la salute dei figli. Gli uomini che diventano padri dopo i 45 anni possono trasmettere mutazioni genetiche aggiuntive ai propri figli, aumentando il rischio di problemi di salute come autismo e schizofrenia.

Il dottor Tommaso Cai, direttore dell’Unità operativa di urologia dell’ospedale di Trento e segretario della Sia, sottolinea l’importanza di informare le giovani generazioni sull’importanza di una fertilità sana fin dalla giovane età e di promuovere strategie di prevenzione e preservazione della fertilità maschile.

In conclusione, diventare padre è un passo cruciale nella vita di un uomo, ma è essenziale considerare l’età e gli effetti che questa scelta può avere sulla salute propria e dei propri figli. Investire nella salute riproduttiva maschile fin dalla gioventù può contribuire a garantire un futuro più sano per le famiglie italiane.

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