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Leucemia Linfatica Cronica, congresso ASH. Speranze dalla terapia orale con acalabrutinib

Un recente studio ha aperto nuove prospettive nella cura della leucemia linfatica cronica, una malattia che colpisce ogni anno circa tremila persone in Italia. I risultati dello studio di Fase III denominato AMPLIFY, presentati al congresso annuale dell’American Society of Hematology a San Diego, mostrano che una nuova combinazione di farmaci potrebbe cambiare il modo in cui trattiamo questa malattia.

Che cosa è

La leucemia linfatica cronica (CLL) è un tipo di cancro del sangue che coinvolge un eccesso di un tipo di globuli bianchi chiamati linfociti B. Alcuni pazienti non presentano sintomi e scoprono di avere la malattia solo durante controlli di routine, mentre altri possono avvertire segni come anemia, ingrossamento dei linfonodi o della milza. Per molti, i trattamenti diventano necessari quando la malattia progredisce.

Tradizionalmente, il trattamento di prima linea per la CLL includeva la chemio-immunoterapia, che combina farmaci chemioterapici con anticorpi. Tuttavia, le terapie mirate, come gli inibitori di BTK e BCL-2, stanno guadagnando terreno e dimostrando di essere più efficaci.

Risultati

Lo studio AMPLIFY ha testato una combinazione di due farmaci: acalabrutinib e venetoclax. Acalabrutinib è un inibitore di BTK di seconda generazione, mentre venetoclax agisce su un’altra via importante nella morte cellulare. Questo nuovo regime, completamente orale e a durata fissa, ha mostrato risultati promettenti.

Dopo un follow-up di 41 mesi, i pazienti che hanno ricevuto la combinazione di acalabrutinib e venetoclax hanno visto il rischio di progressione della malattia o di esito infausto ridotto del 35% rispetto a quelli trattati con la chemio-immunoterapia. Inoltre, una combinazione ancora più potente che includeva un terzo farmaco, obinutuzumab, ha portato a una riduzione del rischio del 58%.

Entrambi i regimi sperimentali hanno mostrato tassi di risposta molto alti, con circa il 93% dei pazienti che ha mostrato segni di miglioramento. Questo è particolarmente importante nelle casistiche ad alto rischio, che hanno maggiori difficoltà nel trattamento.

Vantaggi

Una delle grandi novità di queste terapie è che sono completamente orali, il che significa che i pazienti possono assumere i farmaci per bocca, a casa loro, senza doversi recare in ospedale per le infusioni. Questo non solo migliora la qualità della vita, ma riduce anche i costi per il sistema sanitario.

Inoltre, il fatto che i trattamenti abbiano una durata fissa permette ai medici di gestire meglio la malattia e ridurre gli eventi avversi a lungo termine. Questo è un passo avanti significativo rispetto ai trattamenti di chemioterapia, che possono avere effetti collaterali più gravi e duraturi.

Testimonianze

Alessandra Tedeschi, medico specialista della struttura complessa di ematologia, ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda di Milano, e uno degli autori dello studio AMPLIFY, sottolinea che questi nuovi regimi offrono vantaggi clinici significativi e una tollerabilità migliore rispetto ai trattamenti precedenti. “La malattia ha un andamento clinico eterogeneo, infatti una percentuale significativa di pazienti non presenta sintomi, arriva alla diagnosi in seguito a controlli eseguiti per altri motivi e rimane stabile per molto tempo, senza necessità di terapia. In altri pazienti, invece, la malattia progredisce e determina sintomi come anemia, ingrossamento dei linfonodi, piastrinopenia o ingrossamento della milza. In questi casi diventano fondamentali i trattamenti. I pazienti sono, nella maggior parte dei casi, anziani, spesso con comorbidità determinate anche dall’età avanzata. La chemio-immunoterapia, un tempo, rappresentava lo standard di cura in prima linea, ma oggi è superata dalle terapie mirate, costituite dagli inibitori di BTK e di BCL-2, anche in combinazione con altri farmaci. In particolare, acalabrutinib, inibitore di BTK di seconda generazione, ha già evidenziato benefici significativi in termini di efficacia e tollerabilità a lungo termine come monoterapia nel trattamento in prima linea”.

L’Ospedale Niguarda è il centro che, in Italia, ha arruolato il maggior numero di pazienti dello studio AMPLIFY. Nel trial, che ha coinvolto 867 pazienti, sono stati confrontati i due regimi costituiti dalla ‘doppietta’ acalabrutinib più venetoclax, che è un inibitore di BCL-2, e dalla ‘tripletta’ acalabrutinib più venetoclax e obinutuzumab, un anticorpo monoclonale, rispetto alla chemio-immunoterapia. AMPLIFY paragona quindi 3 schemi di terapia in prima linea, tutti a durata fissa: la doppietta e la tripletta, con durata del trattamento di 14 mesi, e la chemio-immunoterapia per 6 mesi.

“Nei due regimi sperimentali con acalabrutinib – ha precisato la dottoressa Tedeschi – si evidenzia un netto vantaggio rispetto alla chemio-immunoterapia, che è particolarmente evidente nei malati a più alto rischio, cioè nei pazienti con immunoglobuline di superficie non mutate. Sono state osservate anche risposte globali profonde, pari a circa il 93% in entrambi i regimi con acalabrutinib, e durature. Inoltre si conferma l’alto livello di tollerabilità di acalabrutinib. Le linee guida ESMO raccomandano l’utilizzo di terapie a durata fissa laddove sia stata identificata pari efficacia dei trattamenti. Da un lato, grazie alla possibilità di sospendere il trattamento, si riducono gli eventi avversi a lungo termine. Dall’altro, i clinici riescono a gestire meglio la malattia, con una sensibile riduzione dei costi per il sistema sanitario”.

Al Congresso ASH sono stati presentati anche i risultati aggiornati dello studio ECHO su acalabrutinib in combinazione con chemio-immunoterapia (bendamustina e rituximab) nel trattamento di prima linea di pazienti over 65 con linfoma mantellare. Questa neoplasia rappresenta il 6% dei linfomi non Hodgkin e si stimano in Italia, ogni anno, circa 860 nuovi casi. “Il linfoma mantellare è un tumore del sangue che ha origine nei linfonodi, diffusi in tutto l’organismo, e deriva dai linfociti B – ha scritto Carlo Visco, professore associato di ematologia e coordinatore dell’Unità Linfomi all’Università di Verona -. L’età media dei pazienti è di circa 65 anni. La malattia può presentarsi in diverse forme, ad esempio con l’ingrossamento di un linfonodo del collo, dell’ascella o dell’inguine oppure può localizzarsi a livello gastroenterico. Un’altra forma di presentazione è costituita da alterazioni dell’emocromo, ad esempio con aumento dei linfociti. La malattia è caratterizzata da una particolare aggressività clinica e da caratteristiche biologiche peculiari su cui si sta focalizzando, nonostante la relativa rarità, l’attenzione della ricerca scientifica”.

Rosalba Barbieri, Vicepresidente dell’Associazione Italiana contro Leucemie Linfomi e Mieloma (AIL), evidenzia come queste nuove terapie possano cambiare radicalmente la vita dei pazienti, dando loro la possibilità di vivere meglio anche con una malattia cronica. AIL da più di mezzo secolo è al fianco dei pazienti ematologici, supportando la ricerca scientifica per migliorare la qualità di vita, le aspettative, assistendo i pazienti e le famiglie in tutte le fasi del loro percorso.

Sviluppi

L’innovazione nel trattamento della leucemia linfatica cronica sta aprendo nuove strade e speranze per i pazienti. Con risultati promettenti come quelli dello studio AMPLIFY, ci si aspetta che queste terapie possano diventare il nuovo standard di cura, offrendo una vita di qualità migliore a chi combatte contro questa malattia. La ricerca continua a fare passi avanti, e gli esperti sono ottimisti riguardo al futuro.

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