Si fa presto a dire longevità: su cosa si basa
una vita mediamente più lunga di quella attesa: vale più la genetica o l’ambiente e gli stili di vita, conta più il genoma o l’epigenoma? E poi vanno misurati solo gli anni vissuti o anche la qualità della vita e gli anni liberi dalle conseguenze delle principali malattie croniche e degenerative. Ed è possibile agire per aumentare le potenzialità della genetica e incidere sulla lunghezza programmata della nostra vita. E’ dunque possibile superare il limite di 120 anni suggerito dalla Bibbia in Genesi dopo il taglio ai Matusalemme dell’antichità intervenuto dopo il Diluvio universale. E che ruolo può avere la riprogrammazione cellulare non solo nel guarire da alcune malattie degenerative come il cancro e le demenze ma anche per riparare l’inesorabile accorciamento dei telomeri a ogni mitosi?
Gli studi in materia sono davvero tanti alcuni seri e attendibili altri meno documentati altri ancora delle vere e proprie fake per cui occorre mettere ordine, fare chiarezza e sfatare i falsi miti.
La premessa è che in tema di longevità la scienza non sempre riesce a dare risposte chiare e univoche ma piuttosto aggiunge ogni volta un tassello a precedenti scoperte consolidate. Così sempre più si attribuisce un valore all’epigenetica piuttosto che alla genetica.
Cosa hanno dunque in comune Okinawa, Sardegna, Cilento, Icaria, Nicoya, Loma Linda cioè le aree abitate da un’alta concentrazione di centenari. L’elisir di lunga vita è quindi davvero nascosto nelle loro abitudini? «In realtà no», chiarisce Annibale Puca, Research Group Leader presso l’IRCCS MultiMedica e Preside della Facoltà di Medicina all’Università di Salerno impegnato da molti anni nello studio del DNA dei centenari – molti credono che basti seguire la loro dieta per vivere più a lungo ma la longevità è determinata da una combinazione di genetica, ambiente e stile di vita. Copiare una dieta senza il contesto sociale e ambientale non garantisce infatti gli stessi effetti. In base ai nostri studi, i centenari che abitano quelle zone possono essere definiti “isolati genetici“, ovvero individui che presentano delle caratteristiche genetiche particolari che avendo anche un valore protettivo da alcuni tipi di malattia, garantiscono una maggiore longevità».
Tra i sentieri più battuti c’è quello del digiuno intermittente che avrebbe la capacità di aumentare le espressioni dei geni Sirt 1 e Sirt 2 e di agire su altri fattori in grado di rallentare i processi ossidativi e di invecchiamento. Cosa c’è di vero? Di certo esistono benefici metabolici sui livelli di glicemia e di lipemia indirettamente collegati con le malattie cardiovascolari che sono la prima causa di morte ma migliorano anche altri biomarcatori di salute tuttavia da qui a dire che la vita degli uomini e donne che la praticano si allunghi ce ne corre. Gli studi in questo campo sono partiti dai moscerini della frutta il dorsophila melanogaster per poi estendersi alle cavie da laboratorio in cui si è visto che la restrizione calorica controllata e regimi dietetici carenziali senza intaccare gli stessi principi la dieta mediterranea povera di grassi saturi e ricca di antiossidanti dell’Olio Evo, della frutta, dei legumi e un piccolo contributo dei bioflavonoidi del vino rosso dà un certo contributo metabolico.
Uno studio recente, pubblicato su Nature e condotto su topi geneticamente diversificati, ha tuttavia evidenziato come sia la restrizione calorica e il digiuno intermittente possano aumentare la durata della vita ma la genetica ha sempre un ruolo più significativo rispetto alla dieta nel determinare la longevità. E orniamo alla diatriba tra genetica ed epigenetica. Nel mezzo sta la verità: una buona genetica unita a uno stile di vita sano consentono di esprimere tutte le potenzialità.
Dallo studio è emerso comunque che la restrizione calorica ha avuto una effetto positivo sulla longevità ma ha anche aumentato la suscettibilità alle infezioni probabilmente agendo sugli effettori cellulari e sulla loro attività. Conosciamo abbastanza bene in questo campo i benefici a breve termine della rinuncia a una quota di calorie da grassi e carboidrati e del digiuno intermittente ma non gli effetti e i benefici che ne possono derivare sul lungo periodo ma è chiaro che a parità di condizioni lo stile di vita gioca un ruolo cruciale. E una persona sfavorita geneticamente ma con uno stile di vita impeccabili può ottenere risultati migliori di un altro favorito dai geni ma che vive all’insegna della sregolatezza per cui alimentazione sana, controllo dello stress, il sonno, la vita in ambienti non inquinati sono tutti fattori cruciali in chiave anti-age ma se tutto questo si innesta su una genetica favorevole si ottiene il massimo.
Negli Usa uno studio pubblicato l’anno scorso ha acceso i fari sugli stili di vita di poco meno di 300mila veterani individuando otto fattori (alimentazione sana, attività fisica regolare, qualità del sonno, buona gestione dello stress, non fumare e non bere alcolici, vivere il luoghi salubri, mangiare poco) poteva aumentare la media della vita fino a 24 anni in linea dunque con le evidenze di studi su animali. L’Analisi tuttavia di tutti i fattorini gioco è molto più complessa. Sappiamo ad esempio che se un giapponese che è avvantaggiato dai suoi geni si trasferisce in un’altra nazionale per buona parte perde il vantaggio genetico che evidentemente si sposa anche con la particolare cura dell’igiene e dello stile di vita presente nei giapponesi. Così gemelli che hanno lo stesso genoma possono avere destini in termini di longevità completamente differenti rispetto alle abitudini di vita che sviluppano nel corso della loro esistenza.
Da una particolare ricerca come il Long Life Family Study emerge poi un paradosso interessante: anche famiglie in cui si fuma, si beve e ci si muove poco possono raggiungere dagli 80 ai 90 anni di età in relazione a fattori protettivi di ordine genetico. Per metterla in cifre la lancetta pende per una predominanza dal 25% sul fattore ambientale nel determinare la longevità e la salute anche se più ci si avvicina all’età anziana più le abitudini di vita incidono nella prospettiva di vita in salute.
Ma quando si parla di genetica a cosa si fa esattamente riferimento? Analizzando la doppia elica dei cromosomi dei longevi cosa emerge? Gli studi anche qui sono molteplici e le più recenti acquisizioni vanno ad un particolare alleale del gene BPIFB4 associata alla longevità che codifica per una proteina molto più frequente tra gli individui che superano la soglia dei 100 anni che incide soprattutto sulle patologie cardiovascolari. Ora si studia il modo per comprendere se il livello di espressione di queste proteine della longevità cambi o possa cambiare con le abitudini di vita e comprendere anche se la loro trasmissione alla progenie dia qualche vantaggio anche nell’età riproduttiva per cui si spiegherebbe una pressione selettiva sulla loro trasmissione oppure se questa è neutra rispetto al vantaggio riproduttivo. Chiaramente questi geni si trasmettono alla progenie e infatti in una stessa famiglia l’indice di mortalità segue tra fratelli una ereditarietà simil mendeliano. L’obiettivo delle cure anti age è somministrare con farmaci e integratori i fattori protettivi individuati nelle famiglie dei centenari.