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Pattern del sonno e coma: un nuovo indicatore per la ripresa della coscienza

Un recente studio collega le onde cerebrali del sonno alla possibile uscita dallo stato comatoso

Un gruppo di ricercatori della Columbia University e del NewYork-Presbyterian ha individuato un possibile legame tra l’analisi dei pattern di sonno e il recupero della coscienza nei pazienti in coma con gravi lesioni cerebrali. Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature Medicine, concentra l’attenzione su specifici segnali cerebrali noti come fusi del sonno, suggerendo che la loro presenza possa anticipare il ritorno della coscienza e offrire ai medici un indicatore più affidabile delle prospettive cliniche.

I fusi del sonno – definiti anche sleep spindles – sono brevi raffiche di attività elettrica che si manifestano durante la fase 2 del sonno NREM (Non-Rapid Eye Movement). Si presentano come onde cerebrali a frequenza media (generalmente 11–16 Hz), della durata di circa mezzo secondo o più, e svolgono funzioni essenziali per il consolidamento della memoria e la regolazione della coscienza. Nei soggetti sani, i fusi compaiono regolarmente, contribuendo a un sonno di buona qualità e aiutando il cervello a filtrare gli stimoli ambientali, garantendo un riposo continuo.

Ricerche condotte negli ultimi dieci anni hanno evidenziato che una percentuale consistente dei pazienti in stato di incoscienza, con lesioni cerebrali recenti, potrebbe in realtà mantenere una forma di attività cerebrale non rilevata dalle tecniche di valutazione standard. Questo quadro, chiamato dissociazione cognitivo-motoria, si verifica quando la persona non è in grado di rispondere fisicamente, ma il suo cervello conserva una certa capacità di elaborare informazioni.

Il professor Jan Claassen, autore principale dello studio e direttore medico dell’unità di terapia intensiva neurologica presso il NewYork-Presbyterian/Columbia University Irving Medical Center, sottolinea la necessità di disporre di strumenti che possano distinguere tra uno stato di incoscienza effettivo e un’attività cerebrale “nascosta”. “Le famiglie dei pazienti vogliono sapere se i loro cari riprenderanno coscienza e quale sarà la loro qualità di vita. Avere indicatori più precisi è cruciale per pianificare le cure e gestire le aspettative”, afferma Claassen.

Nello studio, i ricercatori hanno analizzato i tracciati EEG di 226 pazienti in stato comatoso, concentrandosi in particolare sulla presenza e frequenza dei fusi del sonno. Queste brevi esplosioni di attività elettrica sono spesso associate, nei soggetti sani, a processi di consolidamento mnemonico e di riduzione delle interferenze sensoriali durante il sonno. Nei pazienti con lesioni cerebrali, invece, i fusi si mostrano come un possibile marcatore fisiologico in grado di indicare la probabilità di un recupero neurologico.

I risultati hanno rivelato che i pazienti che presentavano fusi del sonno, unitamente a segni di dissociazione cognitivo-motoria, erano significativamente più propensi a manifestare un recupero della coscienza. Al momento della dimissione, la maggior parte di questi pazienti mostrava segnali di miglioramento, e a un anno di distanza dalla lesione, il 41% raggiungeva un livello di indipendenza sufficiente nelle attività quotidiane. Al contrario, nei pazienti privi di fusi, il recupero appariva più limitato, con solo il 7% in grado di ottenere risultati analoghi.

Lo studio non prova che indurre artificialmente i fusi del sonno migliori direttamente l’esito clinico, ma suggerisce che promuovere la qualità del riposo in terapia intensiva neurologica possa influire positivamente sulle prospettive di guarigione. I reparti di terapia intensiva, infatti, sono spesso caratterizzati da continui rumori e stimoli luminosi, che disturbano la regolarità del sonno. Limitare tali interferenze potrebbe aumentare la probabilità di generare fusi e, di conseguenza, favorire un recupero neurologico più efficace.

Il lavoro si concentra sui pazienti con lesioni cerebrali acute, lasciando aperta la questione se i fusi del sonno possano costituire un indicatore anche nelle forme di disturbo della coscienza a lungo termine. Inoltre, alcuni pazienti privi di fusi hanno comunque mostrato miglioramenti, implicando che il quadro sia più complesso di una semplice presenza/assenza dei segnali EEG. I ricercatori intendono ora integrare questi dati con altri metodi diagnostici, come risonanze magnetiche o biomarcatori, per definire ulteriormente la relazione tra attività cerebrale e ripresa della coscienza.

Claassen e il suo gruppo puntano a sviluppare sistemi di valutazione più completi, che possano includere parametri ambientali (come livello di rumore o intensità luminosa) e un monitoraggio EEG prolungato, al fine di identificare strategie di intervento personalizzate.

L’individuazione dei fusi del sonno in pazienti comatosi rappresenta un potenziale avanzamento nella comprensione dei processi di recupero neurologico. Se confermati da ulteriori indagini, questi risultati potrebbero avere un impatto significativo sulla gestione clinica dei pazienti con gravi danni cerebrali, fornendo un criterio di valutazione aggiuntivo per stabilire prognosi e programmare interventi di riabilitazione. Promuovere condizioni ospedaliere più favorevoli al sonno, ridurre stimoli disturbanti e integrare la valutazione dei fusi nella pratica clinica potrebbero, in definitiva, contribuire a una migliore qualità delle cure e a un incremento delle probabilità di ripresa della coscienza.

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