Per la prima volta uno studio clinico getta luce sul legame esistente tra scompenso cardiaco e patologie concomitanti non cardiache
Secondo un’analisi condotta dall’Irccs MultiMedica e dall’università Statale di Milano, pubblicata sullo European Journal of Internal Medicine, i pazienti dimessi dall’ospedale con diagnosi di scompenso accompagnato da più di quattro comorbidità, rispetto a chi non ne ha alcuna, hanno un rischio doppio di re-ricovero, durante il quale trascorreranno in ospedale più del doppio dei giorni, e un rischio di mortalità per tutte le cause due volte superiore. Oltre all’età, anche il genere è risultato una variabile in grado di influenzare la prognosi dei pazienti, con gli uomini che hanno un rischio di re-ospedalizzazione del 15% superiore rispetto alle donne. “Oggi- ha illustrato Antonio E. Pontiroli, professore di medicina interna all’università Statale di Milano, ideatore e coordinatore dello studio e consulente di Irccs MultiMedica- lo scompenso cardiaco viene valutato sulla base delle classi Nyha, New York Heart Association, basate solo sui sintomi della cardiopatia, senza una descrizione della sua possibile evoluzione nel tempo”. “Il nostro lavoro- ha proseguito- dimostra come la concomitanza di altre patologie non cardiache rappresenti un valido indicatore di gravità dello scompenso e della sua probabile traiettoria clinica, candidandosi a diventare un nuovo e utile strumento per stratificare il rischio dei pazienti e selezionare quelli in cui intensificare precocemente le cure, per evitare seconde ospedalizzazioni”. Secondo Pontiroli, si tratta di “un’opportunità quanto mai importante, se si considera che lo scompenso è la prima causa di ricovero negli ultra 65enni ed è considerato un problema di salute pubblica di enorme impatto. Scongiurare che pazienti già ricoverati tornino in ospedale una seconda o una terza volta permetterebbe di contribuire alla riduzione degli alti costi sanitari generati da questa patologia”.