In Sardegna la talassemia colpisce circa 1500 abitanti, gran parte dei quali trattati a Cagliari. Le nuove terapia garantiscono una vita migliore e più longevità ai pazienti ma servono maggiori finanziamenti per garantire cure di eccellenza.
La talassemia è una malattia del sangue di tipo ereditario, ed è caratterizzata da un’anemia cronica dovuta alla sintesi ridotta o assente di una delle catene polipeptidiche (alfa o beta) presenti nella molecola dell’emoglobina, proteina responsabile del trasporto di ossigeno attraverso tutto l’organismo.
Esistono diverse forme di talassemia: quella più diffusa nel bacino del Mediterraneo è la beta talassemia, conosciuta anche come anemia mediterranea. In Italia, si stima che i pazienti talassemici siano circa 7.000, con concentrazione massima in alcune regioni del Centro-Sud: la regione più colpita è la Sicilia, in cui si contano 2.500 pazienti, seguita dalla Sardegna con 1.500; i restanti 3.000 pazienti sono abbastanza uniformemente distribuiti in tutta la Penisola, con una frequenza più alta fra Puglia, Emilia Romagna, Lazio e Calabria. L’impatto e le necessità di questi pazienti sono stati raccontati da Susanna Barella, Direttrice SSD Talassemia, Anemie rare, Dismetabolismi del Ferro ed Ematologia Pediatrica non Oncologica Ospedale Pediatrico Microcitemico Antonio Cao ASL Cagliari: “La Sardegna è terra di mare, è terra di talassemia.
Come isola siamo un isolato genetico quindi abbiamo una forte prevalenza di portatori sani di talassemia e una forte prevalenza di pazienti. In Sardegna nascono dagli otto ai tredici bambini talassemici ogni anno e sull’isola sono presenti circa il 10% dei pazienti italiani con emoglobinopatie, di questi oltre 500 sono gestiti dal centro ospedaliero di Cagliari. Siamo all’avanguardia – continua Barella – riguardo la gestione clinica e le sperimentazioni cliniche ma abbiamo un lungo cammino da percorrere perché il nostro obiettivo è quello di accompagnare i pazienti verso una lunghezza di vita, e una qualità della vita, che si avvicini sempre di più a quella di un individuo di pari età. La qualità della vita è particolarmente importante visto il grado debilitante di questa patologia e noi dobbiamo riuscire a garantire al paziente un obbiettivo di vita, di socialità, di lavoro e di attività sportive che sia sempre più vicino alla normalità”.
Fino a 50 anni fa l’aspettativa di vita di un paziente con talassemia era di 10-15 anni, ma grazie ai risultati della ricerca e quindi dei nuovi farmaci a disposizione questa è nettamente migliorata. La sopravvivenza dei pazienti oggi prevede, oltre a regimi dietetici particolari, trasfusioni ogni 2-3 settimane e assunzione quotidiana di terapia ferrochelante, che eviti i danni da accumulo/intossicazione di ferro in organi vitali (cuore, fegato e pancreas). Una aspettativa di vita più lunga richiede però che il SSR adegui la sua organizzazione alle nuove necessità di questi pazienti.
“Stiamo già lavorando su un cambio di passo dell’offerta sanitaria – aggiunge Barella – per riuscire a curare bene i pazienti gestendo le complicanze che sono più numerose e più gravi man mano che il paziente avanza con l’età. Oggi alcuni nostri pazienti hanno superato i 65 anni, un traguardo che un tempo era imprevedibile e nemmeno immaginabile, attualmente la maggior parte dei pazienti ha una età tra i 35-50 anni”. La talassemia major è una condizione che comporta la dipendenza da trasfusione di sangue, ma la raccolta non sempre copre le necessità regionali.
“Abbiamo bisogno di un piano regionale di raccolta del sangue – sottolinea Barella – perché non va dimenticato che per questi pazienti il sangue è un farmaco salvavita e questi sono gli unici pazienti al mondo che non possono acquistare il proprio farmaco ma devono basarsi sulla generosità dei donatori. Serve sensibilizzare di più la popolazione e organizzare più imponenti campagne di raccolta di sangue”.
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