Uno studio della Northwestern University descrive l’efficacia di un composto derivato da batteri intestinali benefici nel rallentare la progressione della malattia e favorire la ripigmentazione
La vitiligine è una condizione autoimmune caratterizzata dalla progressiva perdita di melanina, il pigmento che conferisce colore alla pelle. Colpisce tra lo 0,5% e il 2% della popolazione mondiale ed è associata a un maggior rischio di problemi cardiovascolari, endocrini e psicologici. Le lesioni cutanee interessano spesso aree come viso, cuoio capelluto, mani e zone periorali e genitali. Nelle persone con carnagione più scura, la vitiligine può risultare più evidente, con possibili implicazioni sul benessere psicologico.
Un recente studio preclinico, condotto dalla Northwestern University e pubblicato sul Journal of Investigative Dermatology, ha mostrato che un composto naturale derivato da batteri intestinali benefici potrebbe rallentare in modo significativo la progressione della vitiligine e contribuire al ripristino della pigmentazione cutanea. La ricerca ha coinvolto topi geneticamente predisposti alla malattia, sottoposti a somministrazioni settimanali del composto per 18 settimane. Al termine del periodo di osservazione, la perdita di pigmento sulla schiena si è ridotta del 74%.
I dati indicano che il trattamento interviene in particolare sulle cellule T killer, coinvolte nell’eliminazione dei melanociti, e sulle cellule T regolatrici, fondamentali per l’equilibrio del sistema immunitario. La professoressa di dermatologia e microbiologia-immunologia presso la Feinberg School of Medicine della Northwestern University, I. Caroline Le Poole, ha sottolineato che i risultati ottenuti derivano da un modello sperimentale particolarmente aggressivo della patologia.
Nel 2022, la Food and Drug Administration (FDA) ha approvato per la prima volta un trattamento dedicato alla ripigmentazione nella vitiligine. Tuttavia, gli studi clinici hanno rilevato che solo il 30% dei pazienti ha raggiunto una ripigmentazione superiore al 75% sul viso. Secondo Le Poole, il composto individuato nel corso della ricerca potrebbe aprire prospettive a chi non ottiene risultati soddisfacenti con i trattamenti disponibili.
Il passo successivo consiste nell’adattare il trattamento all’uso clinico, valutando sia la durata dell’effetto sia il metodo di somministrazione ottimale, che potrebbe spostarsi verso modalità come additivi alimentari o unguenti topici. Ulteriori ricerche dovranno chiarire se il composto può essere utile anche per altre malattie autoimmuni della pelle, in cui le cellule T killer rivestono un ruolo rilevante. I ricercatori intendono collaborare con istituzioni diverse per perfezionare la formulazione, approfondire i meccanismi d’azione e valutare possibili combinazioni con i trattamenti già approvati.
Il laboratorio di Le Poole fa parte del Robert H. Lurie Comprehensive Cancer Center della Northwestern University, un centro di ricerca e trattamento oncologico riconosciuto dal National Cancer Institute per l’eccellenza nella ricerca traslazionale e nella cura dei pazienti. Se l’efficacia del trattamento sarà confermata negli esseri umani, potrebbe costituire un nuovo approccio per il controllo della vitiligine e di altre patologie autoimmuni cutanee, ampliando le possibilità terapeutiche disponibili.