Il diabete giovanile, diabete di tipo 1, è una malattia autoimmune che colpisce milioni di persone in tutto il mondo. Chi ne soffre è costretto a ricorrere all’insulina per aggiustare la glicemia: una volta appreso il meccanismo si può vivere una vita piena, senza limitazioni. Da tempo si profila una nuova frontiera: il trapianto di isole pancreatiche, un intervento che potrebbe liberare molti pazienti dal bisogno di somministrare insulina quotidianamente ricorrendo agli infusori e al monitoraggio glicemico. Recenti studi condotti presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano offrono risultati promettenti che potrebbero cambiare radicalmente la vita di chi vive con questa condizione.
Le isole pancreatiche sono piccole strutture endocrine presenti nel pancreas che producono insulina. Nel diabete di tipo 1, queste isole vengono attaccate dal sistema immunitario, con conseguente deficit di insulina. Il trapianto di isole pancreatiche consiste nel prelevare nidi di cellule (isole) da un donatore e impiantarle nel pancreas di un paziente affetto da diabete. Questo intervento è ancora a livello sperimentale.
Uno studio pubblicato sulla rivista The Lancet Diabetes & Endocrinology, coordinato da Lorenzo Piemonti, direttore dell’Unità di Medicina Rigenerativa presso il San Raffaele ha analizzato l’esito di trapianti effettuati dal 2001 al 2023, si tratta di una delle retrospettive per singolo centro con le casistiche più ampie al mondo, con un follow-up di vent’anni, e fornisce importanti indicazioni per le future terapie di sostituzione delle cellule beta nei pazienti con diabete di tipo 1.
L’indagine ha seguito l’andamento nel tempo di 79 pazienti di età compresa tra i 18 e i 67 anni. I risultati sono incoraggianti: circa il 73% dei pazienti ha mantenuto un buon controllo dell’insulina per un periodo di tempo variabile, tra i 6 e i 7 anni dopo l’intervento. Inoltre, la sopravvivenza delle isole trapiantate si è attestata intorno ai 9,7 anni, un dato che evidenzia l’efficacia di questa terapia a lungo termine.
Il trapianto di isole pancreatiche dunque libera dalle costrizioni legate alla somministrazione di insulina dall’esterno, e segna un netto miglioramento nella qualità della vita dei pazienti. Siamo però ancora a livello sperimentale. I pazienti, accuratamente selezionati e trattati, devono seguire un protocollo di terapia immunosoppressiva per evitare il rigetto delle isole pancreatiche ricollocate in situ. Questa terapia, sebbene necessaria, può comportare effetti collaterali come complicanze infettive e ripercussioni sulla funzionalità renale, rendendo necessario un attento, costante monitoraggio post-operatorio.
L’autore dello studio sottolinea l’importanza di continuare la ricerca. Secondo il professor Piemonti, che è direttore del Diabetes Research Institute, Università Vita Salute, Ospedale San Raffaele, i risultati ottenuti forniscono informazioni preziose per ottimizzare le terapie cellulari, e possono anche aprire la strada allo sviluppo di nuove tecniche basate su cellule staminali, per ricreare isole pancreatiche funzionanti in laboratorio. Questo approccio potrebbe, in un prossimo futuro, ridurre la necessità di donatori e ampliare l’accesso a questa terapia innovativa. La strada da percorrere è ancora lunga, ma la ricerca sta facendo passi da gigante.