La controversia sui dispositivi medici torna alla ribalta dopo che il Tar del Lazio ha rigettato i ricorsi delle aziende che contestano il payback, meccanismo che impone ai produttori il versamento di una quota per il ripiano del superamento del tetto di spesa regionale. Una decisione destinata ad avere ripercussioni sul mercato e sulle forniture. Secondo i giudici amministrativi, le aziende avrebbero dovuto essere consapevoli del meccanismo, noto dal 2015, e adeguare le loro strategie di conseguenza. Il tribunale ha infatti sottolineato che le imprese del settore erano “edotte, ex ante, dei rischi contrattuali insiti nella fornitura dei dispositivi medici”, e pertanto avrebbero dovuto orientare i propri comportamenti di mercato. I produttori contestano la mancanza di trasparenza sulla spesa pubblica legata ai dispositivi. Secondo questi ultimi, per quanto il tetto di spesa fosse noto, la quota di compartecipazione (payback) non era prevedibile, mettendo le imprese in una posizione di estrema incertezza.
Di fronte a una misura che giudicano ingiusta e potenzialmente dannosa per il comparto, le aziende lasciano presagire una possibile ricaduta negativa sulle forniture agli ospedali. Una ipotesi che metterebbe in difficoltà il Servizio Sanitario Nazionale. A sollevare la questione è la Federazione Italiana Fornitori in Sanità (Fifo) Confcommercio, che mette in guardia sui rischi per i pazienti: “Migliaia di persone potrebbero subire conseguenze dirette dalla mancanza di dispositivi, dai ventilatori polmonari agli stent coronarici, dalle protesi ortopediche fino ai dispositivi per la dialisi”. Se il braccio di ferro proseguirà, la sanità pubblica rischia di trovarsi senza strumenti essenziali per le terapie.
Un miliardo di euro da restituire: il nodo economico
La sentenza impone alle aziende di versare alle Regioni circa un miliardo di euro per gli anni 2015-2018. Un esborso che molte realtà produttive considerano insostenibile, tale da mettere a rischio la loro sopravvivenza e portare a riduzione di posti di lavoro, investimenti e PIL. La reazione del settore non si è fatta attendere. Sette sigle rappresentative delle imprese hanno rilasciato un comunicato congiunto, nel quale definiscono le argomentazioni del Tar “giuridicamente inconsistenti”, ribadendo che non era possibile conoscere con precisione la spesa nazionale per dispositivi medici.
Ricorso al Consiglio di Stato e pressing sul governo
Le aziende hanno annunciato un ricorso al Consiglio di Stato, nella speranza di ottenere una revisione della sentenza. Intanto, chiedono un intervento urgente del governo, affinché il Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) trovi una soluzione per evitare il collasso del settore. A sostegno della protesta, le imprese citano il ministro Giancarlo Giorgetti, che aveva definito il payback “un cerotto a una emorragia che merita altri tipi di cure”. Il comparto privato sottolinea inoltre che non spetta alle aziende sostenere economicamente il Servizio Sanitario Nazionale, ribadendo che nessun altro settore è soggetto a una misura simile.
Il futuro del payback: soluzione politica?
Le aziende insistono sulla necessità di riformare il sistema dei tetti di spesa, evidenziando che la sostenibilità del sistema sanitario non può gravare esclusivamente sui fornitori dei dispositivi medici. Se non si troverà una soluzione politica, il futuro della sanità pubblica italiana potrebbe essere segnato da disagi per pazienti e ospedali, con una spirale di difficoltà che potrebbe mettere a dura prova l’intero settore. Il prossimo passo sarà, come si diceva, il ricorso al Consiglio di Stato, ma nel frattempo la pressione sul governo aumenta.