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Dispositivi medici impiantabili: ecco la nuova difesa contro gli attacchi informatici

Una tecnologia basata su segnali magnetoelettrici previene accessi non autorizzati e semplifica le emergenze

I dispositivi medici impiantabili stanno acquisendo un alto livello di complessità, consentendo al personale sanitario di monitorare e regolare trattamenti a distanza per diverse patologie. Con questi progressi, tuttavia, aumentano anche le vulnerabilità: come qualunque oggetto connesso, anche gli impianti medici intelligenti possono essere esposti ad attacchi informatici. Un gruppo di ricerca della Rice University, guidato dal professore associato di ingegneria elettrica e informatica Kaiyuan Yang, ha ideato un protocollo di sicurezza progettato espressamente per proteggere i dispositivi miniaturizzati e wireless, senza ostacolare la rapidità d’intervento necessaria in situazioni di emergenza.

Poiché la batteria interna ha una durata limitata, molte soluzioni si orientano verso un’alimentazione wireless, in cui il dispositivo riceve energia da un hub esterno, spesso indossabile. Nel contempo, per garantirne la funzione terapeutica, può inviare dati o ricevere istruzioni in modalità remota. Questa esposizione alla connettività può comportare rischi, se non esistono adeguate protezioni contro gli accessi non autorizzati.

Il gruppo di Yang ha presentato le novità del proprio sistema all’International Solid-State Circuits Conference (ISSCC), organizzata dall’Institute of Electrical and Electronics Engineers (IEEE). Durante l’evento, Yang ha anche ricevuto il IEEE Solid-State Circuits Society New Frontier Award, riconoscimento destinato a ricercatori emergenti che propongono soluzioni tecnologiche pionieristiche. Il lavoro è stato possibile grazie al sostegno della National Science Foundation.

Il prototipo, chiamato ME-DTLS (Magnetoelectric Datagram Transport Layer Security), impiega la peculiarità dei segnali magnetoelettrici che alimentano e comunicano con l’impianto. Invece di considerare la variazione di potenza come un difetto, fenomeno che può verificarsi quando il dispositivo esterno si muove, i ricercatori hanno sfruttato questa instabilità come chiave di sicurezza.

L’hub esterno indossato dal paziente genera un campo magnetico che trasporta energia all’impianto. Piccoli spostamenti dell’hub modificano la quantità di energia trasferita e, di conseguenza, il segnale che l’impianto riceve. Il sistema, progettato da Yang e colleghi, trasforma queste microscosse in un codice di accesso: movimenti minimi dell’hub possono corrispondere a bit, come un “1” per uno spostamento breve e uno “0” per uno spostamento più lungo. Ripetendo la sequenza, l’utilizzatore compone un PIN per autenticarsi. In tal modo, soltanto chi è fisicamente vicino e conosce il pattern può ottenere l’accesso al dispositivo.

L’approccio stabilisce un doppio fattore di sicurezza:

  1. Presenza fisica: Per muovere l’hub e generare il codice, l’operatore dev’essere nel raggio di ricarica del dispositivo.
  2. PIN magnetoelettrico: Lo schema di movimento definisce una chiave cifrata che l’impianto riconosce e accetta.

Grazie a questa idea, si evita il rischio di intrusioni da remoto, poiché chi non è presente nelle vicinanze non può riprodurre il pattern di movimento esatto. Inoltre, il sistema rende gestibili le urgenze: i soccorritori possono utilizzare un movimento predefinito, una sorta di “password d’emergenza”, per intervenire anche se il paziente non è cosciente o non ha modo di eseguire manualmente l’autenticazione.

I test condotti hanno mostrato un tasso di riconoscimento superiore al 98% nel distinguere i movimenti corretti da quelli falsi. Contrariamente ad alcune soluzioni concorrenti che richiedono componenti aggiuntivi o antenne, la tecnologia sfrutta in modo nativo il fenomeno della potenza magnetoelettrica, senza incrementare il peso o le dimensioni del dispositivo impiantabile. Ciò risulta particolarmente importante per i pazienti, i quali traggono vantaggio da dispositivi più confortevoli e meno invasivi.

Secondo Yang, “questo compromesso raggiunge una sintesi ottimale tra sicurezza, efficienza e semplicità d’uso.” Il fatto che l’intero procedimento avvenga senza necessità di connessione a Internet costituisce un ulteriore punto di forza, specialmente in contesti in cui la rete può essere assente o poco affidabile.

La proposta di Yang e dei colleghi potrebbe trovare applicazione in dispositivi per la gestione del dolore cronico, nella neuromodulazione del Parkinson, oppure nei pacemaker cardiaci di ultima generazione. Il tema della cybersecurity in ambito medicale ha acquistato rilievo man mano che i dispositivi diventano sempre più intelligenti e connessi, alzando il livello di attenzione degli enti regolatori e delle strutture sanitarie.

Prima di un’eventuale diffusione su scala commerciale, tuttavia, saranno necessari ulteriori studi e validazioni cliniche, sia in termini di praticità d’uso sia in merito alla durevolezza dei materiali e dei circuiti. La capacità di resistere all’usura e alla variazione delle condizioni fisiologiche del paziente è fondamentale per dispositivi destinati a rimanere impiantati a lungo.

In un panorama in cui patologie croniche, come l’epilessia o la depressione farmacoresistente, potrebbero trarre beneficio da impianti neurali sempre più sofisticati, la sicurezza informatica riveste un ruolo di primo piano per proteggere la privacy del paziente e la stabilità del trattamento. Il lavoro presentato all’ISSCC dimostra come la ricerca stia anticipando tali rischi, sviluppando soluzioni che permettano di combinare l’avanzamento tecnologico con la necessaria protezione da manomissioni o utilizzi illeciti.

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