L’Alzheimer, una delle malattie neurodegenerative più impegnative da affrontare, continua a rappresentare una sfida per la comunità scientifica e per le famiglie. Recentemente, dopo tanti trial deludenti, un nuovo studio ha riacceso l’interesse su un anticorpo monoclonale che attacca le placche di amiloide. Un farmaco sperimentale testato in un protocollo in buona parte riformulato, il gantenerumab, sembra ora in grado di ritardare l’insorgenza della malattia nelle persone predisposte geneticamente. Questo risultato è stato riferito dagli specialisti della Washington University School of Medicine a St. Louis in un lavoro pubblicato su The Lancet Neurology.
La malattia da debellare è caratterizzata dalla presenza di placche di amiloide nel cervello, una sostanza che, in condizioni patologiche, si accumula e interferisce con le normali funzioni superiori. Le persone affette da forme familiari della malattia, come quelle causate da rare mutazioni genetiche, sono destinati a sviluppare i sintomi in età relativamente giovane. Lo studio ha coinvolto 73 partecipanti con tali mutazioni, offrendo per la prima volta la possibilità di intervenire in fase precoce.
I risultati di particolare interesse riguardano un sottogruppo di 22 partecipanti, che non presentavano problemi cognitivi all’inizio dello studio, e che hanno ricevuto il trattamento per un periodo medio di otto anni: in questi casi gantenerumab ha dimezzato il rischio di sviluppare sintomi. Questo rappresenta un dato oggettivo nella lotta contro il deterioramento mentale, i risultati suggeriscono che un trattamento precoce, avviato ben prima dell’insorgenza dei sintomi, può avere un impatto positivo duraturo, scongiurando la progressione della malattia.
Randall Bateman, uno degli autori del lavoro, ha sottolineato così i risultati: “Tutti i partecipanti a questo studio erano destinati ad ammalarsi, eppure anche a distanza di tempo non l’hanno ancora sviluppata. Non sappiamo per quanto tempo ancora rimarranno asintomatici, forse qualche anno o forse decenni. Per dare loro le migliori opportunità, al fine di preservare la riserva cognitiva, abbiamo continuato il trattamento con un altro anticorpo anti-amiloide”.
Se confermati da ulteriori ricerche, questi risultati potrebbero rivoluzionare il modo in cui affrontiamo l’Alzheimer. L’idea di somministrare farmaci in fase sperimentale a persone geneticamente predisposte prima che compaiano i sintomi rappresenta un nuovo paradigma nella prevenzione della malattia. Questo approccio non solo potrebbe anche ridurre il carico economico e sociale associato alla malattia.
Le implicazioni di questo studio vanno oltre i singoli partecipanti. Potrebbero riaprire la strada al trattamento anti-amiloide, magari combinato con altre forme di terapia, inclusi interventi di modifica dello stile di vita e trattamenti farmacologici mirati. La somministrazione di farmaci a persone sane, anche se geneticamente predisposte, solleva tuttavia interrogativi pratici, richiede un consenso informato, chiaro e trasparente.
Inoltre, la comunità scientifica dovrà monitorare attentamente gli effetti a lungo termine del gantenerumab e di altri trattamenti simili. Anche se i risultati iniziali sono promettenti, la ricerca sui cosiddetti “vaccini contro l’Alzheimer” è complessa e richiede tempo per stabilire l’efficacia e la sicurezza dei farmaci, e la modalità ottimale per impiegarli. Gantenerumab è un anticorpo monoclonale IgG1 umano somministrabile sottocute progettato per attivare le cellule della microglia allo scopo di rimuovere le placche amiloidi e prevenire ulteriori formazioni.
Nella malattia di Alzheimer le funzioni intellettuali superiori vengono progressivamente compromesse.
Ecco di seguito alcune delle principali difficoltà, le capacità cognitive e comportamentali che risultano appannate:
Amnesie: la perdita di memoria è uno dei deficit più evidenti, specialmente la difficoltà a ricordare eventi recenti.
Linguaggio: si possono verificare problemi nel trovare le parole giuste, o nel comprendere le conversazioni.
Ragionamento e problem-solving: indecisioni, incapacità a risolvere problemi, tentennamenti.
Funzioni esecutive: queste includono la capacità di organizzare, pianificare e gestire compiti complessi.
Disorientamento spazio-temporale: difficoltà a riconoscere luoghi familiari, ricordare date e orari.
Agnosia: difficoltà nel riconoscere oggetti o volti familiari.
Disabilità: problemi nel compiere movimenti coordinati o sequenziali (aprassia).
Disattenzioni: la concentrazione e la vigile attesa possono risultare compromesse.
Questi deficit sono riconducibili alla degenerazione progressiva delle cellule cerebrali, che colpisce diverse aree del cervello responsabili di queste funzioni.