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Anoressia e disturbi del comportamento alimentare: un’emergenza silenziosa

Si celebra oggi il World Eating Disorders Day. Attese dagli 8 ai 13 mesi per ottenere un ricovero in una struttura pubblica

Più di tre milioni di persone in Italia convivono con un disturbo del comportamento alimentare più o meno grave, tra anoressia, bulimia e binge eating disorder. Solo l’anoressia nervosa, che all’inizio viene scambiata erroneamente per inappetenza, colpisce circa l’1% della popolazione, con oltre 540mila casi, di cui il 90% sono donne. Secondo dati dell’Istituto Superiore di Sanità, l’età di insorgenza più frequente è tra i 15 e i 25 anni, ma i casi tra i minori sono in aumento: nel primo semestre del 2020, le nuove diagnosi sono aumentate del 40% rispetto all’anno precedente. Anche in Europa il quadro preoccupa: la prevalenza nei bambini raggiunge il 2%, la più alta a livello globale. Questi numeri evidenziano l’urgenza di un approccio fondato su basi cliniche solide, lontano da strumentalizzazioni mediatiche o interpretazioni superficiali che riducono la patologia a un problema di mera immagine corporea. “L’età di esordio dei disturbi alimentari – ha affermato Laura Dalla Ragione, psichiatra e fondatrice della Rete DCA Umbria 1 – si è abbassata attorno ai 12-13 anni, con alcuni casi registrati anche nei bambini di 8-9 anni. La pandemia da Covid-19 ha determinato un aumento del 30% di questi disturbi. L’anno scorso le richieste di aiuto al numero verde SOS Disturbi del comportamento alimentare, istituito dalla Presidenza del Consiglio, sono più che triplicate”.

Oltre all’impatto della pandemia, tra i fattori che contribuiscono alla diffusione dei disturbi del comportamento alimentare troviamo pressioni sociali e culturali (un martellamento che arriva anche via social e che influenza negativamente la percezione del disegno corporeo e dell’autostima), fattori psicologici individuali (come ansia e stress), predisposizione genetica, che in via ipotetica potrebbe influenzare il rischio di sviluppare la patologia. Questi aspetti mostrano come i disturbi alimentari siano molto più complessi di una semplice questione estetica. Per questo, la giornata mondiale dei disturbi alimentari (World Eating Disorders Day) che si celebra oggi mira a promuovere un’informazione più accurata.

Recentemente, il dibattito sui disturbi del comportamento alimentare si è intrecciato con movimenti sociali e ideologici, spesso creando confusione tra salute, estetica e inclusività. “Negli ultimi anni si sono moltiplicate le campagne per combattere stereotipi estetici e stimoli sociali negativi, e tuttavia – ha osservato Liliana Dell’Osso, presidente della Società Italiana di Psichiatria – questo slancio comunicativo ha spesso generato sovrapposizioni tra concetti diversi (salute e politica, malattia e cultura, natura e ambiente) trascurando la base clinico-biologica della malattia”. Uno degli esempi più evidenti di questa confusione è il movimento della body positivity. L’idea di contrastare gli stereotipi estetici e promuovere l’accettazione del proprio corpo è fondamentale per la salute mentale. Tuttavia, alcuni messaggi rischiano di ridurre l’importanza della cura clinica o di normalizzare comportamenti alimentari dannosi. “La giusta lotta agli stereotipi estetici si è fusa con il principio dell’inclusività, rischiando però di incoraggiare, inconsapevolmente, comportamenti errati o di ostacolare l’accesso alle cure”, continua la psichiatra. Un peso corporeo eccessivo, ad esempio, non deve essere motivo di vergogna o esclusione sociale, ma va comunque monitorato per prevenire complicanze metaboliche e cardiovascolari, che possono avere conseguenze gravi sulla salute.

L’eco mediatica sui disturbi alimentari ha contribuito a una maggiore consapevolezza, ma spesso semplifica la natura complessa della malattia. Anoressia, bulimia e binge eating disorder non sono solo problemi di immagine corporea, ma hanno una forte base neurobiologica e richiedono un trattamento specifico. Gli esperti sottolineano che è fondamentale mantenere un approccio scientifico, senza lasciare che la comunicazione pubblica ostacoli l’accesso alle cure o distorca la percezione della patologia. Proprio l’accesso alle cure è ancora difficoltoso, si arriva ad attendere anche più di un anno per una corretta presa in carico. Secondo l’ultimo censimento dell’Istituto Superiore di Sanità, le 214 strutture specializzate presenti nel Paese (79 al Nord, 34 al Centro e 51 tra Sud e Isole) non sono sufficienti a coprire la crescente domanda di assistenza. A causa di lunghe liste d’attesa, i pazienti possono attendere dagli 8 ai 13 mesi prima di ottenere un ricovero in una struttura pubblica. L’alternativa è rivolgersi alle strutture private, sostenendo (chi può) le spese di tasca propria. Per gli altri, l’attesa può diventare frustrante.

In occasione della Giornata Mondiale dei Disturbi Alimentari torna in primo piano l’esigenza di comprendere come un familiare deve muoversi quando si rende conto che in casa c’è una adolescente con comportamenti problematici, che richiedono un trattamento multidisciplinare, basato su interventi clinici, supporto psicologico e sensibilizzazione sociale. A chi rivolgersi e come muoversi? Ecco dunque, in estrema sintesi, l’impegno dei promotori del World Eating Disorders Day: migliorare l’accesso alle cure, riducendo le liste d’attesa e garantendo un sistema più efficace, distinguere la salute mentale dalle narrative ideologiche, promuovere iniziative di solidarietà e mutuo aiuto. Se il problema non viene affrontato tempestivamente con misure adeguate, le persone che convivono con disturbi come anoressia e bulimia peggiorano o cronicizzano, e la maggior parte di queste sono giovani che vanno a ingrossare le fila di una epidemia silenziosa che a volte sembra inarrestabile.

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