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Cancro e malattie rare: nel Lazio corsa a ostacoli per l’accesso alle terapie innovative

A mettere a fuoco opportunità e urgenze di una riforma regionale e nazionale del modello di accesso alle cure innovative nel nostro Paese è stato il tavolo di lavoro “L’accesso regionale alle terapie innovative

  • L’esempio delle Car-t: in tre anni 74 procedure al Policlinico Umberto I
  • Difficoltà per tutte le regioni, il deficit di bilancio condiziona la governance: serve una riforma

A mettere a fuoco opportunità e urgenze di una riforma regionale e nazionale del modello di accesso alle cure innovative nel nostro Paese è stato il tavolo di lavoro “L’accesso regionale alle terapie innovative. L’esempio della regione Lazio”, organizzato a Roma da Motore Sanità, presso la Sala della Piccola Spezieria, Asl Roma 1, tappa laziale del tour tra le regioni messo in campo per scavare nelle realtà dei singoli territori.

Nel Lazio circa il 78 per cento dei pazienti eleggibili riesce ad accedere alle Car-t, terapia innovativa introdotto in clinica da alcuni anni e confermatasi capace di cambiare il destino e la storia clinica di malati affetti da vari di tipi di tumori del sangue in stadio avanzato. Grande la variabilità di accessibilità dei pazienti arruolabili nel confronto tra le regioni: in Toscana la cura è assicurata al 90 per cento dei malati, ma si scende al 28 per cento in Abruzzo passando per il 56 per cento in Campania e ancora meno nel Lazio dove peraltro i dati sono incerti. A guardare poi il tasso complessivo della disponibilità di farmaci innovativi rimborsati dal servizio sanitario nazionale nel 2023, si va dal 4% in Sardegna al 96% in Lombardia, con una media italiana del 50%. Tra le regioni virtuose, sopra la media dopo la Lombardia c’è la Campania (80%), poi Liguria e Piemonte (71%), Sicilia (67%), Puglia e Toscana (63%). Regioni in cui esiste anche un fondo regionale ad hoc per sostenere la tagliola che scatta allo scadere dei tre anni e che sposta dal fondo nazionale ai bilanci regionali i costi delle terapie innovative. La Regione Lazio dunque, condizionata dal deficit di bilancio, si colloca a metà del guado ma c’è piena disponibilità di Giunta e Consiglio a voltare pagina per imboccare la strada di una riforma complessiva su una materia che tocca la carne viva dei malati e delle famiglie. 

LE CAR-T

L’Ematologia è un settore chiave per l’uso delle nuove terapie a disposizione dei malati di cancro o affetti da malattie rare  – ha sottolineato Claudio Cartoni, ematologo presso il Policlinico Umberto I di Roma – e l’esempio delle Car-T è emblematico: stanno scadendo i tre anni che ne definiscono l’innovatività ma si sono aggiunte nuove indicazioni (ad esempio nel mieloma e nel trattamento di pazienti adulti con linfoma diffuso a grandi cellule B e linfoma a cellule B ad alto grado refrattario) in cui hanno migliorato notevolmente la prognosi. Ciò allargherà la platea dei beneficiari, ma si pone il problema da della sostenibilità e della riorganizzazione dei centri autorizzati”. 

In Italia sono 45 ma ognuno con soluzioni organizzative diverse: hub e spoke in Lombardia, mono hub in Emilia Romagna, in rete in Toscana. Nel Lazio funzionano 3 centri: il Policlinico Umberto I, il Gemelli e il pediatrico Bambin Gesù: “Finora al Policlinico Umberto I abbiamo valutato 74 pazienti – aggiunge Cartoni – infusi 45 e 5 inviati al Gemelli perché non ce la facevamo a farle tutte. Ciononostante non riusciamo a rispettare il fabbisogno che è destinato a crescere e supererà le 800 richieste nel 2025 solo per le attuali 6 patologie autorizzate mentre altre stanno per varcare questa soglia”. Come negare questa terapia che, nel 40% dei pazienti trattati, privi di altre opportunità di cure, a 40 mesi dall’infusione sono vivi e stanno bene?

I nodi da sciogliere sono le differenze di accesso alle Car-t tra le regioni, la necessità di una governance tra i vari centri, la condivisione di protocolli tra i centri autorizzati in ogni regione, il reperimento di risorse economiche adeguate e dedicate (regionali ed aziendali) oltre che l’adeguamento del Drg.

Loredana Bertazzo, Direttore della Farmacia territoriale Asl Roma 4,ha puntato il ditosulla mancanza di un coordinamento regionale nel Lazio capace di incrociare i dati, le attività, le residenze dei pazienti e i rispettivi recapiti a fronte di patologie molto impegnative e impattanti sul piano clinico ed economico.  

Ad accendere i fari sulla necessità di una riforma complessiva del modello di accesso ai farmaci innovativi è stato Paolo Marchetti, Ordinario di Oncologia medica alla Sapienza di Roma e Direttore scientifico dell’Irccs Idi: “L’Aifa è l’unico ente pubblico che definisce la spesa di nuovi farmaci senza prevedere una specifica copertura economica rispetto al fabbisogno – spiega – e ciò determina disparità regionali: chi ha meno risorse tende a dilazionare nel tempo la disponibilità per il paziente”. L’altro scoglio è quello dei centri prescrittori: “Potevano valere quando non esistevano le reti oncologiche ma oggi sono solo un danno per il paziente che deve girovagare da un ospedale all’altro per recuperare il farmaco che gli occorre”.

I PASSAGGI CHIAVE

Il Professor Marchetti suggerisce dunque alcuni passaggi chiave: definire le risorse necessarie per ciascun anno di autorizzazione, prevedere una disponibilità di cassa dedicata per il privato accreditato, garantire l’accesso al farmaco di prossimità dopo la conferma da parte dei gruppi oncologici multidisciplinari. Tutto ciò definendo a monte una chiara volontà politica di affrontare le difficoltà attuali che ricadono su pazienti e famiglie. “Indispensabile su questi temi – avverte Marchetti – un confronto tra Aifa, Ministero della Salute, Mef e Regioni”.

LA PROFILAZIONE GENOMICA

Da risolvere anche la confusione generata sul fronte della diagnostica: la tecnica di NGS (Next generation system), è erroneamente identificata con l’esame di laboratorio a cui serve (la profilazione genomica). Qui mancano tariffe specifiche e un criterio omogeneo per identificare i centri regionali deputati ad eseguirle. Marchetti suggerisce di prevedere la standardizzazione e diffusione di piccoli pannelli di profilazione genomica a disposizione dell’attività clinica routinaria degli oncologi per la prescrizione di farmaci già autorizzati da Aifa o comunque disponibili per uso compassionevole riservando, invece, la profilazione genomica estesa nell’ambito di specifici percorsi alla cui definizione è deputato il Molecular tumor board con fini di ricerca clinica.

In Italia sono stati istituiti 8 Molecular tumor board il cui ruolo va chiarito.  Il problema – spiega ancora Marchetti -non è chi paga il test di profilazione Ngs in esteso ma chi paga il farmaco che emerge come opportuno e necessario dopo la profilazione”.

I compiti del Molecular tumor board? Identificare quando e in quali pazienti effettuare la profilazione genomica, integrare le informazioni cliniche con i dati di profilazione genomica, definire una raccomandazione terapeutica, discutere le diverse opzioni, garantire percorsi di formazione, ricerca e innovazione non solo tecnologica verificando in un ristretto numero di casi perché lo stesso farmaco indicato in una determinata mutazione agisce con effetti diversi se il cancro si sviluppa in organi diversi.   

Quanto all’accesso ai farmaci al di fuori dell’indicazione registrativa (off label) esiste una selva di norme ma nessuna è stata pensata per governarne l’impiego derivante dalla profilazione genomica. La proposta è attuare un nuovo modello regolatorio sperimentale per l’oncologia mutazionale cosiddetto “sub judice” in cui il farmaco viene fornito senza oneri a carico del Ssn per un numero definito di pazienti e per un periodo di tempo concordato. I dati emergenti dalla ricerca clinica condotta al Molecular tumor board costituiranno la base per la richiesta ad Aifa della rimborsabilità e per la negoziazione del prezzo che non sarà lo stesso di un farmaco che segue la via autorizzativa ordinaria ma molto più basso. Una proposta unica al mondo che unisce ricerca clinica, Intelligenza artificiale a nuovi modelli regolatori con l’obiettivo di curare pazienti che oggi non rispondono alle nuove terapie e per garantire più facilmente l’accesso ai farmaci sperimentali nella routine clinica a cui tutti hanno diritto.

Tutti nodi che presuppongono una nuova governance complessiva dell’accesso alle cure innovative in Italia. “La sostenibilità economica non è una condizione ma è una scelta politica e serve una programmazione adeguata per i farmaci innovativi: spostando l’asse dal costo del farmaco all’investimento in salute, mentre il risparmio e l’appropriatezza sono conseguibili eliminando cure obsolete, prestazioni diagnostiche inappropriate, sprechi diffusi– avverte Elio Rosati, Segretario regionale Cittadinanzattiva Lazio -. I fondi per le cure innovative devono essere vincolati. Lo chiedono i malati cronici e rari che hanno voglia di partecipare e hanno conoscenza della loro malattia e delle opportunità di curarsi meglio e di sopravvivere più a lungo”.

Il dato di fondo è insomma che una confusa programmazione complessiva della partita dei farmaci innovativi nel nostro Paese – al netto delle buone pratiche espresse in alcune regioni – pesa sul destino di migliaia di pazienti. La tavola rotonda e il confronto si è svolto con il contributo incondizionato di Bristol Myers Squibb, Lilly, Astellas, Takeda e Gsk.

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