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Denatalità, uno tsunami per l’intera Europa

La denatalità è uno tsunami che invece in pieno l’intera Europa e che minaccia la sostenibilità della società occidentale. Il calo registrato da Eurostat nel 2023 segna un record con soltanto 3,67 milioni di nati e l’Italia che continua a detenere il tasso di fertilità tra i più bassi dell’intera area. I numeri confermano un trend che negli anni risulta inarrestabile. Il tasso di fertilità totale nel 2023 in Europa è stato di 1,38 nati vivi per donna (contro 1,46 nel 2022), e i livelli più bassi di nascite si registrano a Malta (1,06 per donna), Spagna (1,12) e Lituania (1,18) con l’Italia che segna 1,21. I dati Istat, in Italia, al novembre scorso confermano che nel 2023, nel nostro Paese, c’è stato un nuovo record al ribasso per le nascite scese a 379.890 registrando un calo del 3,4% sul 2022. E stando ai primi numeri del 2024 relativo al semestre da gennaio a luglio la caduta prosegue anche nel 2024 con 4.600 nati in meno rispetto allo stesso periodo del 2023. Il numero medio di figli per donna è attestato attesta a 1,20, in flessione sul 2022 (1,24) mentre la stima provvisoria elaborata sui primi 7 mesi del 2024 evidenzia una fecondità pari, come segnalato da Euroastat, a 1,21.
In Europa dunque il tasso di fertilità totale nel 2023 è stato di 1,38 nati vivi per donna nell’UE, in calo rispetto a 1,46 nel 2022 (era dell’1,53 nell’anno precedente). A tenere alta la bandiera delle nascite con il più alto tasso è la Bulgaria (1,81 nati vivi per donna), seguita da Francia (1,66) e Ungheria (1,55).
La denatalità per l’Italia prefigura una vera e propria emergenza sociale, una piaga che negli anni si è estesa progressivamente anche al Sud e che rischia di contagiare tutti gli aspetti della vita economica, compresa la sostenibilità dei servizi di assistenza e welfare. La portata di questa debacle può essere compresa guardando la fotografia degli ultimi 20 anni, dal 2002 al 2022: in due lustri l’indice medio di natalità nel nostro Paese è passato da 9,4 nati per mille abitanti a 6,7 e al Sud, in particolare in Campania, è sceso percentualmente di più passando da 11,4 a 7,9. “Nel 2021 l’indice di fertilità misurato come numero di figli per ciascuna donna – avverte Maria Gabriella Grassia docente di Statistica presso il dipartimento di Scienze sociali della Federico II – è stato di 1,25 in media in Italia, 1,26 nel Nord ovest del Paese, 1,31 nel Nord est, 1,19 al Centro, 1,23 al Sud, e 1,27 nelle isole. La Campania, con 1,28, si allinea a quest’ultimo dato ma con sensibili differenze tra le varie province e solo Napoli (1,33) e Caserta (1,26) e in parte Salerno (1,25) tengono alta questa media mentre Avellino e Benevento, rispettivamente a 1,11 e 1,12, nati per donna scivolano ai livelli più bassi nel Paese”.
Non è un caso che nel 2022, la provincia di Caserta è l’unica al Sud a segnare un rapporto positivo tra lavoratori attivi e pensionati (104 su 100 percettori di assegno di vecchiaia o anzianità), in linea con quello del Nord est, zona trainante per il Paese, e tra 2021 e 2022 registra un sensibile incremento del tasso di natalità, del 3,8%, contro il 2,5% di Napoli, l’1,4% di Salerno, l’arretramento di Avellino di 3,1 punti percentuali mentre non fa testo l’avanzamento del 6,3 per cento di Bebevento dove i tassi di fertilità e di natalità sono talmente bassi da non mutare il quadro. La Provincia autonoma di Bolzano registra una diminuzione importante (da 1,64 figli per donna nel 2022 a 1,56 nel 2023) ma conserva il primato della fecondità in Italia. Seguono la Sicilia (1,32), la Campania (1,29) e la Calabria (1,28). La Sardegna continua a presentare il più basso livello di fecondità (0,91), ulteriormente ridottosi sull’anno precedente (0,95).
La diminuzione dei primi figli riguarda tutte le aree del Paese, con il Nord che nel 2023 registra il calo minore sul 2022 (-2,8%) e il Centro quello più intenso (-3,6%). La diminuzione dei figli di ordine successivo al primo interessa in misura lievemente maggiore il Centro: -3,9%, contro il -3,8% del Nord e il -3,6% del Mezzogiorno. Quanto si osserva nel 2023 non è altro che la prosecuzione di una tendenza che da diversi anni caratterizza il Paese e che vede, accanto alla diminuzione dei nati del secondo ordine e più, anche una forte contrazione dei primi figli
Non solo quindi persistono le difficoltà nel passaggio dal primo al secondo figlio, emergono anche criticità importanti nell’avere il primo figlio. L’allungarsi dei tempi di formazione e di uscita dal nucleo familiare di origine da parte dei giovani, le loro difficoltà nel trovare un lavoro stabile, il problematico accesso al mercato abitativo, non ultima la scelta volontaria di rinunciare, o comunque rinviare al futuro il voler diventare genitori, sono tra i fattori che contribuiscono alla contrazione dei primi figli nel Paese.
Restringendo il focus ai soli nati da genitori entrambi stranieri, la geografia rimane analoga, con intensità meno elevate: nel 2023 il 19,1% dei nati nel Nord e il 15,4% dei nati nel Centro ha genitori entrambi stranieri. Nel Mezzogiorno la quota è invece pari al 5,5%.
La regione con la più alta incidenza di nati stranieri rispetto al totale è l’Emilia-Romagna (21,9%). Tra le altre regioni del Nord, un nato su cinque è straniero in Liguria e Lombardia; seguono il Veneto (18,6%), il Piemonte e il Friuli Venezia Giulia (17,9%). Al Centro spicca la Toscana (18,1%), mentre nel Mezzogiorno la percentuale è decisamente più contenuta, con un minimo in Sardegna del 3,9% e un massimo in Abruzzo del 10%.
Il calo delle nascite, oltre che dalla ormai stabile bassa tendenza ad avere figli (1,2 figli per donna nel 2023) – si spiega nel documento -, è anche causato dai mutamenti strutturali della popolazione femminile in età feconda, convenzionalmente fissata tra i 15 e i 49 anni. Le donne comprese in questa fascia di età sono sempre meno numerose. Oggi, quelle nate negli anni del baby-boom (dalla seconda metà degli anni Sessanta alla prima età dei Settanta) hanno ormai superato la soglia convenzionale dei 49 zaanni. Gran parte di quelle che ancora sono in età feconda appartengono all’epoca del cosiddetto baby-bust, ovvero sono nate nel corso del ventennio 1976-1995 durante il quale la fecondità scese da oltre 2 al minimo storico di 1,19 figli per donna».
Secondo i dati dell’Istituto nazionale di statistica, la diminuzione dei nati è dovuta per la quasi totalità al calo delle nascite da coppie di genitori entrambi italiani, che costituiscono oltre i tre quarti delle nascite totali. I nati da genitori italiani, pari a 298.948 nel 2023, sono circa 12mila in meno rispetto al 2022 (-3,9%) e 181mila in meno rispetto al 2008 (-37,7%). I nati da coppie in cui almeno uno dei genitori è straniero sono invece 80.942, in calo dell’1,5% sul 2022 e del 25,1% rispetto al 2012, anno in cui si è registrato il numero massimo. A diminuire sono state in particolar modo le nascite da genitori entrambi stranieri, in calo del 3,1% sul 2022 e del 35,6% nel confronto con il 2012 (-28.447 unità).
Diminuisce anche il numero medio di figli per donna, che passa da 1,24 nel 2022 a 1,20 nel 2023, mentre rimane stabile l’età media delle madri alla nascita del primo figlio (31,7 anni).
Anche al Sud la crisi è senza precedenti con un rapido impoverimento demografico e un aumento della popolazione che invecchia ed emigra. Fenomeni inediti che possono condurre il Mezzogiorno ad un’involuzione nella funzionalità e sostenibilità della propria struttura sociale. Quello del Sud Italia è il più vasto dei territori che arretrano in area euro e che potrebbero preludere al collasso del principale patrimonio su cui il Sud ha potuto contare.
 La riduzione della fecondità nel 2023 è infatti ormai territorialmente omogenea in Italia. Il Centro, che presenta la fecondità più bassa, registra un calo da 1,15 figli per donna nel 2022 a 1,12 nel 2023. Anche nel Nord il numero medio di figli per donna continua la discesa, da 1,26 a 1,21. Nel Mezzogiorno, dopo la lieve ripresa dello scorso anno, si evidenzia un calo da 1,26 a 1,24 figli per donna. Nonostante questa flessione, dopo quasi 20 anni il Mezzogiorno torna a registrare una fecondità superiore a quella
Quanto posticipazione e calo della fecondità siano connessi è evidente proprio dal caso delle Isole, con la Sardegna che presenta la fecondità più bassa e tardiva, e la Sicilia che, con le madri più giovani di Italia, presenta una fecondità tra le più alte nel panorama nazionale. Confrontando i tassi di fecondità per età del 1995 (totale residenti), del 2010 (italiane e totale residenti) e del 2023 (italiane e totale residenti) è ancor più evidente lo spostamento della fecondità verso età sempre più mature. Rispetto al 1995 i tassi di fecondità sono cresciuti nelle età superiori a 30 anni mentre continuano a diminuire tra le donne più giovani.

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