Esperti sottolineano l’importanza della diagnosi precoce e della ricerca di terapie efficaci per contrastare l’aumento preoccupante di questa patologia
La malattia renale cronica rappresenta una crescente minaccia per la salute globale, affliggendo oltre il 10% della popolazione mondiale e interessando attualmente più di 800 milioni di individui. Questo allarme è stato lanciato da Annalisa Noce, professore associato di Nefrologia all’Università Tor Vergata di Roma, in occasione della Giornata Mondiale del Rene del 14 marzo 2024.
Secondo Noce, negli ultimi vent’anni, la malattia renale cronica è diventata una causa emergente di mortalità e si stima che entro il 2040 possa diventare la quinta causa di morte nel mondo. È particolarmente prevalente negli anziani, nelle donne, nelle minoranze etniche e nei pazienti con diabete mellito e ipertensione arteriosa.
La diagnosi precoce è fondamentale, poiché la malattia renale cronica spesso è asintomatica e può rimanere misconosciuta per anni. Per diagnosticarla, è necessario sottoporsi a prelievo ematico per valutare la velocità di filtrazione glomerulare e ad un esame delle urine per rilevare la presenza di albuminuria o proteinuria.
Inoltre, la malattia renale cronica è associata a un aumentato rischio cardiovascolare e a disordini cognitivi e demenza. Uno studio ha evidenziato che i pazienti affetti da questa patologia presentano un rischio maggiore di sviluppare tali condizioni, correlato ad una serie di fattori di rischio come l’ipertensione arteriosa e il diabete mellito.
Tuttavia, ci sono speranze nell’utilizzo di molecole mirate a contrastare gli effetti della malattia renale cronica. La Pea (palmitoiletanolamide), un lipide naturale presente in diverse fonti alimentari, ha dimostrato di regolare l’infiammazione neurologica cronica di basso grado e di favorire il mantenimento dell’omeostasi tissutale.
In conclusione, la lotta contro la malattia renale cronica richiede un impegno globale per la sensibilizzazione, la diagnosi precoce e l’attuazione di terapie efficaci. Solo così sarà possibile ridurre l’incidenza di questa grave condizione e migliorare la qualità della vita dei pazienti affetti.
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