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Marco Tullio Barboni: “I miei libri nascono camminando”

Il noto sceneggiatore e scrittore racconta, in questa intervista inedita, il segreto del suo successo: vita sana e tante belle camminate per favorire l’ispirazione. Come Charles Dickens.

Noto sceneggiatore, con qualche incursione nella regia. Negli ultimi anni, soprattutto scrittore di successo: parliamo di Marco Tullio Barboni, appartenente ad una illustre famiglia che ha segnato tratti importanti del cinema italiano d’Autore. Lo zio Leonida è stato un magistrale direttore della fotografia, amatissimo da Anna Magnani; il padre Enzo, prima operatore alla macchina poi direttore della fotografia ed infine regista con lo pseudonimo di E.B. Clucher, ha legato gran parte della sua fama a film interpretati da Bud Spencer e Terence Hill e all’indimenticabile filone dei fagioli western. Un titolo per tutti: “Lo chiamavano Trinità”. Frequentatore di set fin da bambino, ha proseguito la carriera familiare con caparbietà e notevole talento. Uomo di profonda cultura e variegati interessi, vede il suo prossimo futuro come scrittore ed autore di nuovi testi teatrali, da tradurre anche in lingua inglese e magari da esportare in America. Il suo primo libro, in realtà, dal titolo “…e lo chiamerai destino”, già si trova tradotto ed immesso nel mercato americano.

Dopo l’esordio letterario, ricordiamo i volumi “A spasso con il mago. Merlino e io” e “Matusalemme Kid. Alla scoperta di un cuore bambino”. Si trovano pubblicati per i tipi di Paguro Edizioni, compresa l’ultima fatica: una seconda edizione di “…e lo chiamerai destino” con il testo del suo adattamento teatrale. Quest’ultima è un’operazione editoriale originale e capace di fornire al lettore una duplice chiave di lettura della vicenda di cui narra.

Cos’è il benessere per Marco Tullio Barboni?

“Istintivamente mi verrebbe da rispondere l’assenza di patologie. E se questo è sicuramente fondamentale, altrettanto sicuramente non è sufficiente, poiché il benessere non può essere disgiunto da una condizione di serenità psichica e mentale. Personalmente ritengo che il benessere possa essere colto in quella condizione in cui ci si impegna senza stancarsi”.

Uno scrittore riesce a fare una vita salutare, o quando si immerge a scrivere non si alza davanti al computer per ore, dimenticando persino di mangiare?

“La capacità di coniugare la propria attività di scrittore con una vita sana credo che, alla fin fine, sia una questione di fortuna. Hemingway e Hugo scrivevano in piedi mentre Truman Capote lo faceva a letto;  Flaubert lavorava solo di notte, Moravia solo di mattina e Balzac giorno e notte fino allo stremo delle forze. Esempi discutibili dal punto di vista salutare. Per non citare Sartre che consumava tre pacchetti di sigarette al giorno ed almeno un litro di alcolici. E quanto a Bukowski neanche a parlarne. Di Dickens si dice favorisse la sua ispirazione camminando tre ore al giorno e questo è l’esempio nel quale maggiormente, ed immodestamente, mi ritrovo. Anche a me piace camminare per mettere ordine nelle idee, per favorirne di nuove e per entrare in quello stato di flusso che è quella condizione magica nella quale ci si sente talmente immersi in ciò che si sta scrivendo che tutto il resto svanisce. Detto questo, e premesso che il mio stile di vita è tendenzialmente salutare a prescindere dalla mia passione per la scrittura, confesso che mi abbandonerei impunemente a qualche sgarro se servisse a trasferirmi frammenti del talento appartenuto ai giganti che ho citato”.

Lei ha avuto una brutta esperienza con il Covid. Ce ne vuole parlare? Che insegnamento ne ha tratto?

“L’esperienza è stata pessima. Probabilmente quanto di più diverso dal benessere mi sia capitato di  sperimentare nella mia vita. Nonostante abbia dovuto affrontare alcuni momenti difficili nel corso dei miei settant’anni, non esclusi alcuni interventi chirurgici di una certa importanza, mai ho avvertito una tale cappa di dolore, di smarrimento e di morte come nei primi giorni del mio ricovero nel Pronto Soccorso Covid dell’Ospedale San Camillo di Roma, con il fiato corto ed i polmoni ardenti, quando ancora non si sapeva che piega avrebbe preso la malattia. Una condizione condivisa con una trentina di compagni di sventura dei quali alcuni maledivano la sorte, altri piangevano e altri ancora venivano portati precipitosamente in terapia intensiva. L’insegnamento? Quello che si può trarre da una improvvisa e indesiderata lezione di umiltà, in linea con quanto suggerito da Neem Karoli Baba: per quanto tu possa programmare tutto alla perfezione non saprai mai cosa ti succederà tra mezz’ora”.

Per parafrasare il titolo di uno dei suoi ultimi libri “Matusalemme Kid. Alla scoperta di un cuore bambino”, quanto Matusalemme c’è in lei e quanto Kid?

“Non posso essere io a dirlo. Posso solo augurarmi di aver conservato vividi gli aspetti migliori del mio bambino interiore. Il fatto che abbia dedicato un libro all’importanza di vivere in accordo con il proprio Puer Aeternum credo dimostri la mia attenzione per l’argomento e la sorveglianza che esercito per non scadere nella sclerosi da attaccamento al ruolo e da assenza di empatia di tanti miei coetanei. Ma questa è materia regolata del cuore e le buone intenzioni spesso non sono sufficienti”.

Per saper scrivere occorre soprattutto… Che cosa? Ce lo dica lei.

“Jean Gabin diceva che per fare un grande film occorrono tre cose: una grande idea, una grande idea e una grande idea. Ovviamente è una semplificazione al limite del paradosso. Per fare un grande film occorrono tante altre cose: il talento degli autori e degli interpreti, conoscenze tecniche, capacità di entrare in sintonia con il pubblico e via dicendo. E Gabin lo sapeva meglio di chiunque altro. Tuttavia riferirsi reiteratamente ad una grande idea significava soprattutto sottolineare la capacità di narrare una vicenda carica di significati, che genera emozioni e che di sicuro non lascia indifferenti. Ecco, secondo me tutto questo, mutatis mutandis, è valido anche per un grande libro”.

Impegni futuri: un nuovo libro imminente?

“Un nuovo libro, certamente. Sto lavorando, concedetemi l’immodestia, su una grande idea”.

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