La società, l’ambiente, i media e persino i medici a volte tendono a banalizzare e sminuire il processo che i pazienti infertili attraversano, rendendo ancora più complicato il percorso che si trovano a dover affrontare. Ecco perché IVI – In collaborazione con l’associazione Strada Per Un Sogno e il movimento Oneofmany di Loredana Vanini, e grazie alle testimonianze di donne e uomini che hanno scelto di condividere le proprie esperienze – ha realizzato un manifesto per cambiare il “Linguaggio della Fertilità”
“Se vuoi te lo spiego io come si fanno i figli!”, “È solo un aborto, fanne subito un altro”, “Ah, fate PMA? E di chi è colpa: tua o sua?”, “Ma la mamma vera lo sa che sono nate le bambine?”.
Sono solo alcune delle tante frasi che molte donne sentono ogni giorno, il più delle volte pronunciate inconsciamente, come risultato di anni di stigma sociale intorno all’infertilità. La società, l’ambiente, i media e persino i medici a volte tendono a banalizzare e sminuire il processo che i pazienti infertili attraversano, rendendo ancora più complicato il percorso che si trovano a dover affrontare. È necessario analizzare e, quindi, modificare il modo in cui gli specialisti, i mezzi di comunicazione e la società in generale si esprimono su questi argomenti.
Promuovere un linguaggio più rispettoso
Ecco perché IVI, leader mondiale in Medicina Riproduttiva, sta cercando di ridefinire il modo in cui l’infertilità viene comunicata, rappresentata, raccontata. In collaborazione con l’associazione Strada Per Un Sogno e il movimento Oneofmany di Loredana Vanini, e grazie alle testimonianze di donne e uomini che hanno scelto di condividere le proprie esperienze, ha realizzato un manifesto per cambiare il “Linguaggio della Fertilità”, con un importante obiettivo: promuovere un linguaggio più empatico, inclusivo e rispettoso, che possa riflettere adeguatamente la complessità delle sfide affrontate da chi vive l’infertilità.
“L’infertilità in Italia riguarda il 15% delle coppie, equivalente a circa una coppia su sette – commenta la dottoressa Daniela Galliano medico chirurgo, specializzata in Ginecologia, Ostetricia e Medicina della Riproduzione, Responsabile del Centro PMA di IVI Roma – Nonostante dal 2009 sia ufficialmente riconosciuta come una malattia dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), oggi l’infertilità viene ancora descritta attraverso un linguaggio poco empatico, inappropriato, che a volte può persino risultare aggressivo. Di conseguenza, coloro che cercano una cura e ricorrono alla medicina della riproduzione per avere un figlio possono sentirsi giudicati, colpevolizzati o incompresi nel loro percorso verso la genitorialità. Per questo, è importante demistificare, rompere i tabù, evitare eufemismi. È essenziale che il linguaggio della fertilità sia equo e adeguato, evitando qualsiasi sfumatura di aggressività o mancanza di delicatezza. Vogliamo migliorare la conversazione sull’infertilità nei nostri ambienti personali e anche medici.”
Al centro del progetto le persone con problemi di fertilità e le situazioni che si trovano a vivere quotidianamente per far comprendere al meglio in che maniera interagire e dove bisogna intervenire per un cambiamento nel linguaggio della fertilità, ma soprattutto proporre una serie di impegni affinché questo cambiamento sia reale. In diversi ambiti, dai media agli studi medici. Negli ultimi anni abbiamo assistito a una rivoluzione nel modo in cui si parla del corpo femminile, ma nonostante i progressi compiuti, c’è ancora moltissimo lavoro da fare in questa direzione. “Il linguaggio che la società utilizza per descrivere l’infertilità o la perdita di un bambino può avere un impatto enorme su come una persona può sentirsi. Potremmo cominciare a parlare di difficoltà di concepimento più che di sterilità o di mancato impianto, invece che impianto fallito. Sembrano sfumature, ma non lo sono: diventano messaggi di comprensione, vicinanza e accoglienza che fanno stare meglio l’altro”, sottolinea la dottoressa Vincenza Zimbardi, psicologa IVI Roma.
Non colpevolizzarsi
“Essere sterili non è qualcosa per cui bisogna sentirsi in colpa o essere costretto a nascondere la necessità di aiuto medico per risolvere questo problema. Storicamente, il modo in cui ci siamo riferiti all’infertilità e alle persone che ne soffrono da diverse aree sociali, mediche e persino mediatiche hanno generato alcune situazioni di disagio a cui oggi, con questo progetto, vogliamo rispondere con sensibilità ed empatia. Nonostante i fattori che determinano l’infertilità possano riguardare sia gli uomini che le donne, forse le donne più degli uomini possono vivere questa esperienza con una sensazione di rimpianto per scelte passate, magari per non aver iniziato prima la ricerca di una gravidanza. Oppure possono provare paura, senso di inadeguatezza o vergogna. Che si tratti di un commento fuori luogo di un professionista in ambito sanitario, di una battuta di un’amica o di un articolo di giornale che utilizza un linguaggio insensibile e inappropriato, il modo in cui la società rappresenta l’infertilità e i possibili rischi legati agli aborti, può avere un enorme impatto sulle emozioni che una persona può provare, sulle scelte che compie e sui risultati che può ottenere”, sottolinea la dottoressa Galliano.
“Io sono una donna infertile e, prima di avere mio figlio, ho vissuto la poliabortività – racconta Martina, paziente IVI Roma -. Durante gli anni di infertilità mi sono scontrata spesso con parole inopportune, pronunciate da persone poco empatiche, che poi ho capito con il tempo non essere crudeli o insensibili, ma piuttosto non abituate ad avere a che fare con questa condizione. Non lo fanno con cattiveria, dicono solo la prima cosa che viene loro in mente, non sapendo che di fronte hanno una persona che sta soffrendo terribilmente. Perché spesso, chi soffre molto, indossa una maschera per non lasciar trapelare il proprio dolore e il resto del mondo percepisce di sentirsi libero di dire qualsiasi cosa. Ho dovuto confrontarmi con frasi insensibili anche in riferimento ai miei aborti. Oggi con il mio bambino tra le braccia, ho finalmente quella forza di rispondere che mi è sempre mancata e adesso rispondo sempre che Tommaso è il mio quarto figlio.”
Agente di cambiamento
Sul sito ivitalia.it è possibile scaricare un manifesto, una guida, un vademecum per tutti coloro che come IVI, Oneofmany, Strada per il Sogno, Martina, si rendono conto che è necessario un cambiamento di rotta per sensibilizzare il mondo intero su un argomento spinoso, delicato e per qualcuno fonte di grande dolore.
“Questo progetto è fondamentale come strumento di visibilità e sensibilizzazione sull’importanza del linguaggio della fertilità. Vogliamo essere un agente di cambiamento in modo che le persone con infertilità sentano il sostegno, l’empatia e la complicità di cui hanno bisogno per affrontare le loro circostanze nelle migliori condizioni; condividere con la società come ci sentiamo, su quali frasi e come vorremmo essere trattati apre la porta al rispetto e alla complicità”, dichiara Loredana Vanini, autrice del libro fotografico “Unadelletante” e dal 2019 fondatrice del movimento per l’infertilità Oneofmany, che è diventato il punto di riferimento in Italia per l’informazione, il supporto e l’assistenza alle coppie infertili.
Sicuramente in questi anni le associazioni hanno contribuito a imprimere una modifica al linguaggio della PMA o almeno a far partire quella svolta che vede oggi la coppia maggiormente complice, e questo giova anche al confronto medico/paziente, che è alla base anche del percorso terapeutico. Il loro ruolo era e resta ancora quello di essere portatrici di un sostegno destinato al mero interesse delle persone che vivono un’esperienza totalizzante come quella della fecondazione assistita.“La pandemia ha accelerato alcuni processi, portando in qualche modo l’informazione “in casa” e aumentando l’offerta, facilitando la partecipazione anche di quelle persone più ritrose a mostrarsi, ma ha anche dato spazio, in parte, a un’informazione meno “scientifica e rigorosa”, che è qualcosa che non si può non considerare. Fino ad allora, era abitudine rivolgersi ad interlocutori più istituzionali, che hanno costruito un know-how grazie ad anni di attività e al concorso di esperti riconosciuti e, soprattutto, lo hanno fatto senza alcun fine di lucro. La semplicità con cui ora, grazie ai social, è possibile fare di questo addirittura un lavoro può divenire paradossalmente negativa. L’informazione cessa in quel caso di essere libera e disinteressata”, aggiunge Luisa Musto di Strada Per Un Sogno, associazione no-profit dedicata al tema dell’infertilità e al percorso per diventare genitori
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