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Ospedali sotto pressione. Medicina interna in overbooking

Tasso di occupazione dei reparti sotto i riflettori al congresso Fadoi

Una analisi chiara, per certi versi impietosa, quella che emerge dall’ultimo congresso Fadoi sulla medicina interna. I numeri raccontano una realtà fatta di soluzioni tappabuchi con reparti alle prese con un sovraccarico di lavoro, carenza di personale sanitario e una crescente difficoltà nell’erogare cure adeguate ai pazienti più fragili. Secondo le statistiche il 58% dei reparti di Medicina interna registra un tasso di occupazione superiore al 100%, mentre il 40,28% è stabilmente tra il 70 e il 100%. A questo si aggiunge un altro dato che fa riflettere: l’85,65% delle unità operative da Nord a Sud soffre di una carenza di personale. Un problema che, secondo la Federazione dei medici internisti ospedalieri italiani (FADOI), è diventato un ostacolo serio alla gestione di pazienti sempre più complessi, in particolare anziani con patologie croniche e comorbilità.

“I reparti di medicina interna – spiega il presidente FADOI, Francesco Dentali – sono essenziali per l’intero sistema ospedaliero. La difficoltà nella gestione non dipende solo dalla mancanza di risorse, ma anche da un’errata classificazione: i nostri reparti vengono considerati a bassa intensità di cura, quando invece necessitano di personale e strumentazione adatti a una medio-alta complessità assistenziale”. Per quanto riguarda la ricerca scientifica, i dati raccolti indicano che quasi la metà dei medici internisti non ha più tempo per portare avanti studi e pubblicazioni. Il 43% degli specialisti afferma che potrebbe contribuire di più, se solo ne avesse la possibilità.

Un elemento che potrebbe alleggerire la pressione sugli ospedali? Una gestione più efficace della sanità territoriale. Circa un terzo dei ricoveri potrebbe essere evitato con una presa in carico migliore. Un dato positivo viene comunque registrato: oggi, i pazienti dimessi dagli ospedali sono meno soli, grazie all’aumento delle attivazioni dell’assistenza domiciliare integrata, che ha raggiunto il 43,98%. Ma i numeri dimostrano che la riforma territoriale procede ancora a rilento. “La situazione dei nostri ospedali è critica, ma non irrecuperabile. Un’azione concreta sulla classificazione dei reparti, una riorganizzazione della medicina territoriale e un maggiore investimento sul personale potrebbero cambiare il volto della medicina interna italiana,” conclude Dentali.

L’annuncio del ministro Schillaci

Collegato da remoto al congresso, Orazio Schillaci ha annunciato un Decreto Ministeriale destinato a ridefinire gli standard ospedalieri. Un’azione che potrebbe segnare una svolta per la medicina interna, spesso classificata come a bassa intensità di cura, con conseguenti limitazioni nelle risorse umane e strumentali. “Ancora troppo di frequente, la medicina interna non trova pieno riconoscimento nei modelli organizzativi regionali – ha dichiarato Schillaci – e questo ha un impatto sulla qualità delle cure. Proverò a correggere questa situazione con un decreto che ridefinirà anche gli standard ospedalieri”. L’obiettivo dichiarato è potenziare le cure territoriali e domiciliari, correggendo al contempo la carenza di personale. Secondo il ministro, il nodo critico non riguarda solo la relativa scarsità di medici disposti a impiegarsi in questi comparti, ma anche la poca attrattività di alcune specializzazioni per le nuove generazioni. “Si tratta di una criticità che coinvolge soprattutto specializzazioni meno appetibili per i giovani – ha sottolineato Schillaci – e per questo, nell’ultima finanziaria, abbiamo aumentato del 50% la parte variabile del trattamento economico per queste discipline, inclusa la medicina interna”.

Prevenzione come investimento
Nel corso del collegamento il ministro Schillaci ha ribadito un concetto fondamentale: la prevenzione non deve essere vista come una voce di spesa, ma come un investimento per la sanità pubblica. “Se vogliamo che il servizio sanitario resti un motivo di orgoglio e un modello invidiato all’estero, serve un cambio culturale. La prevenzione non è una spesa, è un investimento. Oggi le Regioni spendono solo il 5% del Fondo e dobbiamo portarlo almeno all’8%” .Un impegno che il ministero sta cercando di consolidare, affinché la medicina interna possa operare in condizioni migliori e con un ruolo più centrale nel sistema sanitario nazionale.

La riforma in mezzo al guado

La riforma della sanità territoriale è ancora in fase di gestazione, e tra i medici internisti prevale un mix di speranza e scetticismo. La creazione delle Case di Comunità e degli Ospedali di Comunità, fulcro del piano sanitario nazionale che guarda al futuro, dovrebbe rafforzare l’assistenza di prossimità e razionalizzare i ricoveri ospedalieri. Tuttavia, la sua concreta attuazione è ancora un punto interrogativo. Secondo un’indagine condotta dalla Federazione dei medici internisti ospedalieri italiani (FADOI) su 216 unità operative, il 72,22% dei medici ritiene che le Case di Comunità potrebbero ridurre i ricoveri ospedalieri, ma con un’avvertenza: molto dipenderà da come verranno realizzate.

Case di Comunità: incognita ambulatori
Le Case di Comunità nascono per creare un punto di riferimento sanitario territoriale, dove medici di famiglia, specialisti ambulatoriali delle ASL e altri professionisti sanitari lavorino in team. Oltre alle visite, le strutture dovrebbero consentire accertamenti diagnostici di primo livello, come elettrocardiogrammi ed ecografie. Questa nuova visione di sanità territoriale potrebbe alleggerire la pressione sugli ospedali, ma resta il dubbio sulla reale implementazione. Il 72,69% dei medici manifesta la stessa cautela anche nei confronti degli Ospedali di Comunità, strutture a gestione infermieristica pensate per facilitare le dimissioni ospedaliere e seguire quei pazienti che non necessitano più di cure intensive ma non possono ancora tornare a casa. Non tutti, però, credono nei benefici delle nuove strutture: il 20,37% dei medici non vede vantaggi concreti dalle Case di Comunità, il 12,04% è scettico anche sugli Ospedali di Comunità. D’altra parte, un modello territoriale ben organizzato potrebbe accelerare il processo di dimissione dei ricoverati. Secondo FADOI, il 32,87% degli internisti stima che una percentuale compresa tra l’11% e il 20% dei ricoveri potrebbe essere gestita più rapidamente. Una quota che sale al 21-30% per il 33,33% dei medici, mentre il 24,54% crede che oltre il 30% dei pazienti potrebbe lasciare il reparto in tempi più brevi.

Entro giugno 2026, il progetto delle Case di Comunità dovrà essere completato, altrimenti i due miliardi del PNRR stanziati per la sanità territoriale potrebbero andare persi. “Il futuro dell’assistenza sanitaria passa attraverso la medicina di prossimità – sottolineano gli esperti FADOI – ma è necessario che questi progetti non restino solo sulla carta”. Resta invece immutata l’esigenza presente riguardante la razionalizzazione dei ricoveri e delle giornate di degenza.

Ricoveri impropri, degenze evitabili
La riforma della sanità territoriale potrebbe essere la chiave di volta per ridurre i ricoveri impropri, ma i dubbi sulla sua effettiva realizzazione restano. Al congresso, il presidente della Fondazione FADOI, Dario Manfellotto, ha affrontato il tema con realismo, analizzando il problema delle giornate di degenza evitabili, le difficoltà legate alla riforma delle Case di Comunità. “Comprendo lo scetticismo dei miei colleghi riguardo la possibilità che la riforma della sanità territoriale riesca a porre un freno ai ricoveri impropri e a favorire le dimissioni in strutture intermedie dei pazienti fragili”, ha dichiarato Manfellotto, evidenziando un dato incontrovertibile: oltre 2 milioni di giornate di degenza evitabili. Ma qual è il vero ostacolo alla riforma? “Le perplessità – ha sottolineato il presidente Manfellotto – non nascono tanto dalla conformazione di Case e Ospedali di Comunità, ma soprattutto dalle difficoltà di reperire personale medico e infermieristico. Inoltre, manca una regia efficace per garantire il collegamento tra le nuove strutture e gli ospedali. Se questo collegamento non viene costruito su basi solide, rischiamo di generare soltanto ulteriore burocrazia”.

L’impiego dei farmaci nei trial
Al 30° Congresso FADOI, il presidente dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), Robert Nisticò, ha posto l’accento su un altro aspetto fondamentale: il contributo della Medicina interna alla sperimentazione clinica dei farmaci. “I reparti medicina, con la loro capacità di reclutare pazienti complessi e di valutare gli effetti dei trattamenti su popolazioni reali, rivestono un ruolo cruciale nelle sperimentazioni cliniche dei farmaci”, ha dichiarato. Secondo il presidente AIFA, gli internisti hanno una capacità unica di testare l’efficacia e la sicurezza delle nuove terapie in contesti che rispecchiano fedelmente la realtà del sistema sanitario. “La Medicina interna assume un ruolo strategico e insostituibile. Gli internisti rappresentano un pilastro fondamentale per garantire appropriatezza, efficacia e umanizzazione delle cure”, ha aggiunto. Nisticò ha poi sottolineato l’importanza della medicina di precisione, un ambito che AIFA considera prioritario. “La promozione della medicina di precisione è oggi una delle nostre priorità: lungi dall’essere una mera iper-specializzazione, questa metodologia intende coniugare l’indagine molecolare con una visione integrata del paziente”.

Prospettive e difficoltà
Gli internisti ospedalieri, in occasione del tradizionale congresso, hanno indicato le prospettive e le difficoltà che abbiamo di fronte. Da un lato, la necessità di rafforzare la sanità territoriale e creare un vero collegamento tra Case di Comunità e ospedali. Dall’altro, la consapevolezza che la medicina interna resta un asset strategico sia per la gestione dei pazienti complessi che per l’innovazione scientifica nel campo farmaceutico. Il dibattito resta aperto, ma una cosa è certa: il futuro della medicina interna dipenderà dalla capacità di tradurre le riforme in realtà concreta.

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